VIII. I grigioni assoldati dai francesi giunti a Cravina ritornano in
patria. I francesi perdono Biagrassa; la peste a Milano. Bonnivet a Novara,
quindi a Romagnano, ed al di là della Sesia inseguito dai nemici; assalti e
scaramuccie; ferita e morte di Baiardo. Ritorno di Bonnivet in Francia. L'Italia
liberata pel momento dalle molestie della guerra, ma non dal sospetto che si
rinnovino.
In queste
difficoltà due erano le speranze dell'ammiraglio, l'una della diversione
l'altra del soccorso; perché il re mandava per la montagna di Monginevra
quattrocento lancie alle quali doveano unirsi diecimila svizzeri, e Renzo da
Ceri conduceva per la via di Val di Sasina nel territorio di Bergamo cinquemila
fanti grigioni, onde doveano passare a Lodi a congiugnersi con Federico da
Bozzole col quale erano molti fanti italiani: persuadendosi l'ammiraglio che
l'esercito di Cesare sarebbe costretto a ripassare, per la sicurtà di Milano,
il fiume del Tesino. Incontro a questi mandò il duca di Milano Giovanni de'
Medici con cinquanta uomini d'arme trecento cavalli leggieri e tremila fanti;
il quale, unitosi con trecento uomini d'arme trecento cavalli leggieri e
quattromila fanti de' viniziani, si accostò agli inimici venuti alla villa di
Cravina, tra i fiumi dell'Adda e del Brembo, e lontana otto miglia da Bergamo;
e corse con una parte delle genti insino a' loro alloggiamenti: i quali, il
terzo dì dappoi, querelandosi non avere trovato a Cravina né danari né cavalli
né altri fanti, come dicevano essere stato promesso da Renzo, ritornorno al
paese loro. Risoluto il movimento de' grigioni, Giovanni de' Medici spugnò
Caravaggio, e di poi passato Adda messe con l'artiglierie in fondo il ponte che
i franzesi aveano a Bufaloro in sul Tesino. Rimaneva ancora in potestà de'
franzesi, tra Milano e il Tesino, la terra di Biagrassa, ove erano molte
vettovaglie e a guardia mille fanti sotto Ieronimo Caracciolo napoletano. Alla
spugnazione della quale, perché posta in sul canale grande impediva le
vettovaglie che molte [si] sogliono per quello canale condurre a Milano, si
mosse Francesco Sforza, chiamato a sé Giovanni de' Medici; e seguitandolo oltre
a' soldati tutta la gioventù del popolo milanese. Dettono l'assalto alla terra,
avendola prima battuta con l'artiglierie da' primi raggi del sole insino a
mezzo il giorno, e l'espugnarono il dì medesimo; con singolare laude di
Giovanni de' Medici, nel quale apparì quel dì non solamente la ferocia, colla
quale avanzava tutti gli altri, ma prudenza e maturità degna di sommo capitano.
Fu preso il Caracciolo, ammazzati molti fanti, molti ne fece sospendere
Giovanni de' Medici per punizione di essersi prima fuggiti da lui. Spugnata la
terra s'arrendé la rocca, pattuita la salute di quegli che vi erano dentro. Fu
lietissima questa vittoria al popolo milanese; ma senza comparazione maggiore
fu la infelicità che la letizia, perché da Biagrassa, dove era cominciata la
peste, furno, per il commercio delle cose saccheggiate trasportate a Milano
sparsi in quella città i semi di tanto pestifera contagione; la quale, pochi
mesi poi, si ampliò tanto che solamente in Milano tolse la vita a più di
cinquantamila persone.
Ma di là dal
Tesino, ove era la somma delle cose, l'ammiraglio, dopo la perdita di Sartirano
essendosegli di nuovo approssimati gli inimici, abbandonata Mortara si ritiro
in due alloggiamenti a Novara; diminuito molto di forze, perché non solamente
de' fanti ma assai degli uomini d'arme erano alla sfilata ritornati in Francia:
onde niuno altro intento era in lui che temporeggiarsi insino a tanto venisse il
soccorso de' svizzeri, i quali in numero circa ottomila erano già vicini a
Ivrea. Da altra parte i capitani [imperiali] intenti a impedire la venuta loro,
intenti a ridurre gli inimici in difficoltà di vettovaglie, occupavano le terre
vicine a Novara, ammazzando i franzesi ove gli trovavano lasciati alla guardia
delle terre; e avendo messo presidio in Vercelli, per torre la facoltà a'
svizzeri di entrarvi, si fermorno a Biandrà tra Vercelli e Novara, in uno
alloggiamento circondato da ogni parte di fossi d'alberi e acque. Finalmente
l'ammiraglio, intendendo i svizzeri passata Ivrea essersi fermati in sul fiume
della Sesia, il quale per la copia che in quelli dì vi era d'acque non aveano
potuto passare, desideroso di unirsi con loro, più (come si credeva) per
partirsi sicuro che per combattere, andò da Novara ad alloggiare a Romagnana in
sul fiume medesimo; ove, patendo di vettovaglie e diminuendo continuamente il
numero delle sue genti, fece gittare il ponte tra Romagnana e Gattinara: e da
altra parte gli inimici, venuti da Biandrà a Briona, andorno ad alloggiare
appresso a Romagnana a due miglia. In queste angustie passorno i franzesi il
fiume il dì seguente: la mossa de' quali se fusse stata sollecitamente
vegghiata dagli inimici, si crede che quel dì n'arebbono riportata pienissima
vittoria. Ma erano diverse le sentenze de' capitani, alcuni desiderando che si
combattesse, alcuni che senza molestargli si lasciassino partire. Né pareva che
nell'esercito fusse la providenza e il governo conveniente. Solo il marchese di
Pescara, procedendo in tutte l'azioni col solito valore, pareva degno che a lui
si riferisse la somma delle cose; gli altri, invidiosi della virtù e gloria
sua, cercavano di oscurarla più presto col detrarre e contradire che con la
concorrenza delle opere.
Tardi pervenne
allo esercito imperiale la notizia della partita de' franzesi: la quale come fu
intesa, molti cavalli leggieri e molti fanti, senza ordine senza insegne,
guadato il fiume gli seguitorno; i quali pervenuti all'ultimo squadrone
cominciorno a scaramucciare, e benché i franzesi, combattendo e camminando, gli
sostenessino per lungo spazio di tempo, lasciorno finalmente sette pezzi di
artiglieria e copia di munizioni e di vettovaglie, oltre a molte insegne di
cavalli e di fanti, morti eziandio di essi non pochi nel combattere. Feciono i
franzesi dimostrazione di alloggiare a Gattinara, terra distante un miglio da
Romagnana, e intratanto facevano occultamente andare innanzi i carriaggi e
l'artiglierie; ma come gli inimici, credendo che alloggiassino, furno
cominciati a ritirarsi, andorno più oltre circa sei miglia ad alloggiare a
Ravisingo verso Ivrea. Alloggiorno la sera medesima gli imperiali senza
impedimenti in sul fiume, il quale passorno come prima cominciò a lucere la
luna; non gli seguitando i viniziani, a' quali, essendo entrati nel territorio
del duca di Savoia, pareva avere trapassati gli oblighi della confederazione,
per la quale non erano tenuti a altro che alla difesa del ducato di Milano.
Procedevano i franzesi in battaglia bene ordinata con lento passo, avendo
collocati nel retroguardo i svizzeri; da' quali furno rimessi i primi cavalli e
fanti che venendo disordinatamente gli assaltorno, essendo già i franzesi
discostati da Ravisingo circa due miglia. Ma sopravenendo il marchese di
Pescara co' cavalli leggieri si rinnovò la battaglia, non tale che fermasse il
camminare de' franzesi; de' quali in questo ultimo congresso fu ammazzato
Giovanni Cabaneo e fatto prigione monsignore di Baiardo, percosso da uno scoppietto,
della quale ferita morì poco di poi. Parve al marchese, ancora che già fussino
sopravenuti molti soldati, non seguitare gli inimici più oltre, perché non avea
seco artiglierie né altro che una parte sola dell'esercito. Così, rimasti i
franzesi senza molestia ritornorno, insieme co' svizzeri, alle case loro;
avendo lasciato a Bauri di là da Ivrea quindici pezzi d'artiglieria alla
custodia di trecento svizzeri e di uno de' signori del paese: ma né queste si
salvorno, perché i capitani di Cesare, avutane notizia, mandorno a prenderle.
Divisonsi poi i vincitori in più parti: a Lodi fu mandato il duca di Urbino, ad
Alessandria il marchese di Pescara; le quali città sole si tenevano in nome del
re, perché Novara, accostandovisi il duca di Milano e Giovanni de' Medici, si
era arrenduta: al viceré rimase la cura di andare incontro al marchese del
Rotellino, il quale con quattrocento lancie aveva passato i monti: ma questo,
intesa la partita dell'ammiraglio, ritornò subito in Francia. Né feciono
resistenza alcuna Boisì e Giulio da San Severino preposti alla guardia di
Alessandria. Similmente Federico, dimandato tempo di pochi dì per certificarsi
se era vero che l'ammiraglio avesse passato i monti, convenne di lasciare Lodi;
riservatasi facoltà, come eziandio era stato conceduto a quegli di Alessandria,
di condurre in Francia i fanti italiani: i quali, in numero circa cinquemila
(che tanti erano nell'una e l'altra città), furno poi alle cose del re di
grandissimo giovamento.
Questo fine
ebbe la guerra fatta contro al ducato di Milano sotto il governo
dell'ammiraglio: per il quale non essendo indebolita la potenza del re di
Francia né stirpate le radici de' mali, non si rimovevano ma solamente si
differivano in altro tempo tante calamità; rimanendo in questo mezzo Italia
liberata dalle molestie presenti ma non dal sospetto delle future. Tentossi
nondimeno per Cesare, stimolato dal duca di Borbone e invitato dalla speranza
che l'autorità di quel duca avesse a essere di grandissimo momento, di trasferire
la guerra in Francia, dimostrandosi pronto al medesimo il re di Inghilterra.
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