II. Il pontefice si volge con tutto l'animo alla concordia con Cesare.
Difficoltà di comprendere nella concordia i veneziani. Ritorno del duca
d'Albania in Francia. Confederazione fra il pontefice e Cesare. Diversità di
giudizi sulla confederazione; giudizio dell'autore.
Né la speranza
di avere a vincere una impresa sì difficile né la considerazione de' pericoli
più lontani, a' quali il tempo suole spesso partorire rimedi non pensati,
arebbe inclinato Clemente a prestare orecchi a questi ragionamenti, se non
l'avesse indotto il timore di non essere assaltato di presente, a volere più
presto esporsi al pericolo manco certo che al pericolo che appariva maggiore e
più presente; e perciò si ristrinsono tanto le pratiche tra loro che, essendosi
condotte insino allo estendere i capitoli, si aspettava che a ogn'ora si
stipulassino; e in modo che il papa, persuadendosene la conclusione, spedì in
poste al re d'Inghilterra Ieronimo Ghinuccio sanese, auditore della camera
apostolica, per cercare destramente di disporlo a opporsi a tanta grandezza di
Cesare. Quando opportunamente sopravenne lo arcivescovo di Capua, antico
segretario e consigliere suo, e che molti anni era stato appresso a lui di
grandissima autorità; il quale, subito che aveva udito la vittoria degli
imperiali, era da Piacenza andato in campo a don Carlo del Lanoi viceré di
Napoli, e risoluto della sua intenzione corse subito in poste al pontefice,
portandogli speranza certa di accordo. Perché il viceré e gli altri capitani
avevano per allora due pensieri: l'uno di provedere a' denari per sodisfare
l'esercito, col quale per non avere modo di pagarlo si trovavano in grandissima
confusione; l'altro di condurre la persona del re di Francia in luogo che la
difficoltà del guardarlo non gli avesse a tenere in continuo travaglio; e
stabilite bene queste due cose, giudicavano restare in grado da potere sempre
mettere a effetto i disegni loro: però desideravano l'accordo col papa,
presupponendo di cavarne quantità grande di denari. E per disporvelo tanto più
col fargli spavento, e anche per sgravare degli alloggiamenti de' soldati lo
stato di Milano che era molto consumato, avevano mandata ad alloggiare in
piacentino quattrocento uomini d'arme e ottomila tedeschi, non come inimici, ma
ora dicendo che il ducato di Milano non poteva nutrire sì grosso esercito ora
minacciando di volergli fare passare in terra di Roma a trovare il duca di
Albania, in caso che le genti condotte dagli Orsini non si dissolvessino. Ma
erano superflue queste diligenze; perché come il papa fu certificato potere
fuggire i pericoli presenti, lasciati gli altri pensieri, si voltò con tutto
l'animo alla concordia: perciò, subito udito l'arcivescovo, fece fermare
l'auditore della camera per il cammino; e per levare tutte l'occasioni che
potessino interromperla operò che il duca di Albania dissolvesse, dai cavalli e
fanti oltramontani in fuora, tutto 'l resto dello esercito e gli dette le
stanze a Corneto, ricevuta promessa da' ministri di Cesare di licenziare anche
essi le genti loro che erano intorno a Roma, e fermare Ascanio Colonna e altre
genti che venivano del regno; e si interpose ancora che i Colonnesi, che
cominciavano a molestare le terre degli Orsini, desistessino dall'armi.
Desiderava il
pontefice e faceva ogni opera perché nella concordia che e' trattava col viceré
si includessino i viniziani, ma la difficoltà era che essi ricusavano di volere
pagare i denari dimandati loro dal viceré; perché dimandava che gli pagassino
tanti danari quanti arebbono spesi nelle genti che avevano a contribuire, e che
in futuro contribuissino non con gente, ma con danari; dimandando anche il
medesimo a tutti quegli i quali erano compresi nella confederazione fatta con
Adriano. Ma la durezza de' viniziani facevano beneficio al pontefice, dando
sospizione al viceré che pensassino a nuovi movimenti. Le quali cose mentre si
trattano, con speranza certissima d'aversi a conchiudere, i fiorentini, per
ordine del pontefice, mandorono al marchese di Pescara, per intrattenimento
dello esercito, venticinquemila ducati; ricevuta promessa il pontefice da
Giambartolomeo da Gattinara, il quale appresso a lui trattava per il viceré,
che questa quantità sarebbe computata nella somma maggiore che arebbono a
pagare per vigore della nuova capitolazione.
La quale
innanzi si conchiudesse, pochissimi dì, il duca di Albania, il quale per
tornarsene in Francia aveva aspettato l'armata, venuta quella al Porto di Santo
Stefano e mandategli le galee, si imbarcò a Civitavecchia sopra quelle e sopra
le galee del pontefice, prestategli con consentimento del viceré, benché né
all'armata né alle galee non dessino salvocondotto; e con lui Renzo da Ceri,
con l'artiglieria avuta da Siena e da Lucca, con quattrocento cavalli mille
fanti tedeschi e pochi italiani, perché il resto della gente si era sfilata e
il resto de' cavalli parte venduti parte lasciati. I progressi del quale erano
stati tali che si comprese apertamente essere stato mandato, o perché gli
imperiali, temendo del regno di Napoli, partissino, per soccorrerlo, del ducato
di Milano o perché per questo timore si inducessino alla concordia; e per
questa cagione essere proceduto lentamente, mancando forse al re [denari]
bastanti a mandarlo con esercito potente.
Ma finalmente,
lasciati da parte i viniziani, si conchiuse il primo dì di aprile in Roma, tra
il pontefice e il viceré di Napoli come luogotenente cesareo generale in Italia
(per il quale era in Roma con pieno mandato Giambartolomeo da Gattinara, nipote
del gran cancelliere di Cesare), confederazione per sé e per i fiorentini da
una parte e per Cesare dall'altra. La somma de' capitoli più importanti fu: che
tra il papa e Cesare fusse perpetua amicizia e confederazione, per la quale
l'uno e l'altro di loro fusse obligato a difendere da ciascuno con certo numero
di gente il ducato di Milano, posseduto allora sotto l'ombra di Cesare da
Francesco Sforza, il quale fu nominato come principale in questa capitolazione;
e che l'imperadore avesse in protezione tutto lo stato che teneva la Chiesa,
quello che possedevano i fiorentini, e particolarmente la casa de' Medici con
l'autorità e preminenze che aveva in quella città; pagandogli però i
fiorentini, di presente, centomila ducati per ricompenso quello che arebbono
auto a contribuire nella guerra prossima, per virtù della lega fatta con
Adriano, la quale pretendeva non essere estinta per la sua morte, per essere
specificato ne' capitoli che la durasse uno anno dopo la morte di ciascuno de'
confederati: che i capitani cesarei levassino genti dello stato ecclesiastico,
né mandassino di nuovo ad alloggiarvene dell'altre senza consentimento del
pontefice: a' viniziani fu lasciato luogo di entrare in questa confederazione,
in termine di venti dì, con oneste condizioni, che avessino a essere dichiarate
dal papa e da Cesare: e che il viceré fusse tenuto a fare venire, fra quattro
mesi, la ratificazione di Cesare di tutti questi capitoli. E obligorono i
mandatari del viceré, in uno capitolo da parte confermato con giuramento, che,
caso che Cesare non ratificasse fra il tempo questi capitoli, avesse il viceré
a restituire i centomila ducati; dovendosi però, insino che i danari non si
restituissino, osservare la lega interamente. Alla quale furono aggiunti tre
articoli, non connessi nella capitolazione ma posti in scrittura separata,
confermati eziandio per giuramento, che contennono: che in tutte, le cose
beneficiali del regno di Napoli fusse permesso a' pontefici usare quella
autorità e giurisdizione che si disponeva per le investiture del regno; che il
ducato di Milano pigliasse in futuro il sale delle saline di Cervia, per quel
prezzo e modi che altre volte fu convenuto tra Lione e il presente re di
Francia, e confermato nella capitolazione che l'anno mille cinquecento ventuno
fece il medesimo Lione con l'imperadore; e che il viceré fusse obligato a fare
sì e talmente che il duca di Ferrara restituisse, immediate, alla Chiesa
Reggio, Rubiera, l'altre terre che aveva prese, vacante la sedia romana per la
morte di Adriano; e che per questo il pontefice, subito che e' ne fusse
reintegrato, avesse a pagare a Cesare centomila ducati, e a ogni sua
requisizione assolvere il duca dalle censure e privazioni nelle quali era
incorso, ma non già dalla pena di centomila ducati promessa in caso di contravenzione
allo instrumento fatto con Adriano: e nondimeno, ricuperata che il papa ne
avesse la possessione, si avesse a vedere di ragione se quelle terre e Modena
appartenevano alla Chiesa o allo imperio; e appartenendosi allo imperio si
avessino a riconoscere in feudo da Cesare, appartenendosi alla Chiesa
restassino libere alla sedia apostolica.
Fu questa
deliberazione del pontefice interpretata variamente dagli uomini, secondo che
sono varie le passioni e i giudizi. La moltitudine massime, alla quale sogliono
piacere più i consigli speciosi che i maturi, e che spesso ha per generosi
quegli che non misurano le cose prudentemente, tutti coloro ancora che facevano
professione di desiderare la libertà di Italia, lo biasimorono, come se per viltà
d'animo avesse lasciato l'occasione di unirla contro a Cesare, e aiutato co'
danari propri l'esercito suo a liberarsi da tutti i disordini; ma la maggiore
parte degli uomini più prudenti giudicorono molto diversamente, perché
consideravano che il volersi opporre con genti nuove a uno esercito grossissimo
e vincitore non era consiglio prudente. Non potere essere che la venuta de'
svizzeri non fusse cosa lunga, e da arrivare facilmente passato che fusse il
bisogno, quando bene fussino prontissimi a venire: di che, atteso la natura
loro e la percossa ricevuta sì di fresco, non si aveva certezza alcuna. Né si
dovere sperare meglio del reame di Francia, dove per tanta rotta non era
restato né animo né consiglio; non vi era in pronto provisione di danari, non di
gente d'arme, e quelle poche ancora che si erano salvate il dì della giornata,
avendo perduto i carriaggi, avevano bisogno di tempo e di denari a riordinarsi:
però, non avere questa unione altro probabile fondamento che la speranza che
l'esercito inimico, per non essere pagato, non avesse a muoversi; il che quando
bene succedesse non restare per questo privati del ducato di Milano, il quale
mentre si reggeva a divozione di Cesare arebbe sempre il pontefice causa
grandissima di temerne. Ma questa essere anche speranza molto incerta, perché
era da temere che i capitani, con l'autorità e arti loro, col proporre il sacco
di qualche città ricca della Chiesa o di Toscana, non lo disponessino a
camminare: essersi già veduto che una parte de' tedeschi, solo per avere più
grassi alloggiamenti, aveva passato il fiume del Po e venuta in parmigiano e
piacentino; in modo che se si fussino deliberati di spingersi innanzi non
potere essere se non tardi rimedio alcuno, e fondarsi con troppo pericolo una
tanta deliberazione in su la speranza sola de' disordini degli inimici, dalla
volontà de' quali dependevano finalmente lo svilupparsene. Fu adunque il
consiglio di Clemente, secondo il tempo che correva, prudente e bene
considerato. Ma sarebbe stato forse più laudabile se in tutti gli articoli
della capitolazione avesse usato la medesima prudenza, e voltato l'animo più
presto a saldare tutte le piaghe di Italia che ad aprire e inasprirne qualcuna
di momento; imitando i savi medici, i quali, quando i rimedi che si fanno per sanare
la indisposizione degli altri membri accrescono la infermità del capo o del
cuore, posposto ogni pensiero de' mali più leggieri e che aspettano tempo,
attendono con ogni diligenza a quello che è più importante e più necessario
alla salute dello infermo. Il che perché s'intenda meglio è necessario ripetere
più da alto parte delle cose già narrate, ma sparsamente, di sopra, riducendole
in uno luogo medesimo.
|