III. La politica dei pontefici verso il duca d'Este, e loro ambizione su Ferrara.
Apprensioni del duca dopo l'elezione di Clemente; timori di suoi accordi con
Cesare.
La casa da
Esti, oltre ad avere tenuto lunghissimamente sotto titolo di vicari della
Chiesa il dominio di Ferrara, aveva molto tempo posseduto Reggio e Modena con
le investiture degli imperadori, non si facendo allora dubbio che quelle due
città non fussino di giurisdizione imperiale; e le possedé pacificamente insino
che Giulio secondo, suscitatore delle ragioni già morte della sedia apostolica
e sotto pietoso titolo autore di molti mali, per ridurre totalmente Ferrara in
dominio della Chiesa, roppe guerra al duca Alfonso: nella quale avendo avuto
occasione di torgli Modena, la ritenne al principio per sé, come cosa che
insieme con tutte l'altre terre insino al fiume del Po appartenesse alla sedia
apostolica, per essere parte dello esarcato di Ravenna; ma poco poi, per timore
de' franzesi, la dette a Massimiliano imperadore. Né per questo cessò la guerra
contro ad Alfonso; ma avendogli, non molto poi, tolto ancora Reggio, si crede
che se fusse vivuto più lungamente arebbe preso Ferrara; inimico acerbissimo di
Alfonso, sì per la pietà che e' pretendeva alla ambizione di volere ricuperare
alla Chiesa ciò che si dicesse essere mai stato suo in tempo alcuno, come per
lo sdegno che egli avesse seguitato più presto l'amicizia franzese che la sua;
e forse ancora per l'odio implacabile portato da lui alla memoria e alle
reliquie di Alessandro sesto suo predecessore, Lucrezia figliuola del quale era
maritata ad Alfonso ed eranne di questo matrimonio nati già parecchi figliuoli.
Lasciò Giulio, morendo, a' successori suoi non solo l'eredità di Reggio ma la
medesima cupidità di acquistare Ferrara, stimolandogli la memoria gloriosa che
pareva che appresso ai posteri avesse lasciata di sé. Però, fu più potente in
Lione suo successore questa ambizione che il rispetto della grandezza che aveva
in Firenze la casa de' Medici, alla quale pareva più utile che si diminuisse la
potenza della Chiesa che, aggiugnendogli Ferrara, farla più formidabile a tutti
i vicini: anzi, avendo comperato Modena, indirizzò totalmente l'animo ad
acquistare Ferrara, più con pratiche e con insidie che con aperta forza; perché
questo era diventato troppo difficile, avendo Alfonso, poi che si vidde in
tanti pericoli, atteso a farla fortissima, lavorato numero grandissimo di
artiglierie e di munizioni, e trovandosi, come si credeva, quantità grossa di
denari. E furono le inimicizie sue forse maggiori ma trattate più occultamente
che quelle di Giulio; e oltre a molte pratiche tenute spesso da lui per
pigliarla, o allo improviso o con inganni, obligò sempre i prìncipi, co' quali
si congiunse, in modo che almanco non potevano impedirgli quella impresa; né
solo viventi Giuliano suo fratello e Lorenzo suo nipote, per l'esaltazione de'
quali si credeva che avesse avuto questa cupidità, ma non manco dopo la morte
loro: donde si può facilmente comprendere che da niuna cosa ha l'ambizione de'
pontefici maggiore fomento che da se stessa. Il quale desiderio fu tanto
ardente in lui che molti si persuasono che quella sua ultima, più presto
precipitosa che prudente, deliberazione di unirsi con Cesare contro al re di
Francia fusse in grande parte spinta da questa cagione. In modo che la
necessità costrinse Alfonso per sodisfare al re di Francia, unico fondamento e
speranza sua, di rompere la guerra in modenese quando lo esercito di Lione e di
Cesare era accampato intorno a Parma; nella quale avendo cattivo successo si
sarebbe presto ridotto in gravissime difficoltà se, in ne' medesimi dì, non
fusse inopinatamente, nel corso delle vittorie, morto Lione; morte certo per
lui non manco salutifera che quella di Giulio. Né io so se, alla fine, fusse
totalmente mancato Adriano suo successore di questa cupidità; benché per essere
nuovo e inesperto nelle cose d'Italia [lo] avesse, ne' primi mesi che e' venne
a Roma, assoluto dalle censure, concessagli di nuovo la investitura e permesso
che e possedesse eziandio tutto quello che aveva occupato nella vacazione della
Chiesa, e gli avesse ancora dato speranza di restituirgli Modena e Reggio: da
che di poi, informato meglio delle cose, si alienò con l'animo ogni dì più. In
modo che Alfonso, avendo compreso che più facilmente si induce a perdonare chi
è offeso che a restituire chi possiede, fu più ardito, vacando la sedia per la
morte di Adriano, che non era stato prima nelle altre occasioni che aveva
avute. Ma per la creazione di Clemente entrò in grandissimo timore che per lui
non fussino ritornati gli antichi tempi; e meritamente, perché in lui, se gli
fussino succedute le cose prospere, sarebbe stata la medesima disposizione che
era stata in Giulio e in Lione: ma non avendo ancora occasione per Ferrara, era
tutto intento a riavere Reggio e Rubiera, come cosa più facile e più giustificata
per la possessione fresca che ne aveva avuto la Chiesa, e come se per questo
gli risultasse ignominia non piccola del non le ricuperare. Da questo nacque
che, prima in molti altri modi e ultimamente nella capitolazione col viceré,
ebbe più memoria di questo che non desideravano molti; i quali, conoscendo il
pericolo che soprastava a tutti della grandezza di Cesare e che nissuno rimedio
era più salutifero che una unione molto sincera e molto pronta di tutta Italia,
e che tutto dì potevano succedere o occasioni o necessità di pigliare l'armi,
arebbono giudicato essere meglio che il pontefice non esasperasse né mettesse
in necessità di gittarsi in braccio allo imperadore il duca di Ferrara,
principe che, per la ricchezza per l'opportunità del sito e per l'altre sue
condizioni, era, in tempi tali, da tenerne molto conto; e che più presto
l'avesse abbracciato, e fatto ogni diligenza di levargli l'odio e la paura: se
però il fare benefizio a chi si persuade avere ricevute tante ingiurie è
bastante a cancellare degli animi, sì male disposti e inciprigniti, la memoria
delle offese; massime quando il benefizio si fa in tempo che pare causato più
da necessità che da volontà.
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