VI. Dolore in Francia per la sconfitta e la prigionia del re; proposte
della reggente a Cesare; proposte ai veneziani e al papa. Difficoltà di accordi
fra Cesare e il re d'Inghilterra. Accordi fra il re d'Inghilterra e la reggente
di Francia. Insolenza dei capitani cesarei in Italia.
Ma venuta in
Francia la nuova della rotta dello esercito e della cattura del re, sarebbe
quasi impossibile immaginare quanta fusse la confusione e la disperazione di
tutti; perché al dolore smisurato che dava il caso miserabile del suo re a
quella nazione, affezionatissima naturalmente e devotissima al nome reale, si
aggiugnevano infiniti dispiaceri privati e publici: privati, perché nella corte
e nella nobiltà pochissimi erano quegli che non avessino perduto, nella
giornata, figliuoli fratelli o altri congiunti o amici non volgari; publichi,
per tanta diminuzione dell'autorità e dello splendore di sì glorioso regno
(cosa tanto più loro molesta quanto più per natura si arrogano e presumono di se
medesimi), e perché temevano che tanta calamità non fusse principio di rovina
maggiore, trovandosi prigione il re, e con lui o presi o morti nella giornata i
capi del governo e quasi tutti i capitani principali della guerra, disordinato
il regno di danari e circondato da potentissimi inimici. Perché il re di
Inghilterra, ancora che avesse tenuto diverse pratiche e dimostrato in molte
cose variazione di animo, nondimeno, pochi dì innanzi alla giornata, esclusi
tutti i maneggi che aveva avuti col re, aveva publicato di volere passare in
Francia se in Italia succedesse qualche prosperità: però era grande il timore
che, in tanta opportunità, Cesare ed egli non rompessino la guerra in Francia;
dove, per non essere altro capo che una donna e i piccoli figliuoli del re, del
quale il primogenito non aveva ancora finiti otto anni, e per avere loro seco
il duca di Borbone, signore di tanta potenza e autorità nel regno di Francia,
era pericolosissimo ogni movimento che e' facessino. Né alla madre, in tanti
affanni che aveva per l'amore del figliuolo e per i pericoli del regno,
mancavano le passioni sue proprie; perché, ambiziosa e tenacissima del governo,
dubitava che, allungandosi la liberazione del re e sopravenendo in Francia
qualche nuova difficoltà, non fusse costretta cedere l'amministrazione a quegli
che fussino deputati dal regno. Nondimeno, in tanta perturbazione raccolto
l'animo da lei e da quegli che gli erano più appresso, oltre al provedere, più
presto potettono, le frontiere di Francia e ordinare gagliarde provisioni di
danari, scrisse madama la reggente, per ordine e in nome della quale si
spedivano tutte le faccende, a Cesare lettere supplichevoli e piene di
compassione, con introdurre e poi sollecitare, di mano in mano, quanto potette
le pratiche dello accordo. Per le quali anche, poco dipoi liberato don Ugo di
Moncada, lo mandò a Cesare a offerire: che il figliuolo rinunzierebbe alle
ragioni del regno di Napoli e dello stato di Milano; sarebbe contento che si
vedesse di ragione a chi apparteneva la Borgogna, e in caso che appartenesse a
Cesare, riconoscerla in nome di dota della sorella; restituire a Borbone lo
stato suo, co' mobili di grandissimo valore e i frutti stati occupati dalla
camera reale; dargli per donna la sorella, e consentire che avesse la Provenza
se fusse giudicato avervi migliore ragione. Le quali pratiche perché fussino
più facili, più che per avere volto l'animo a' pensieri della guerra, spedì
madama subito in Italia a raccomandare al papa e a' viniziani la salute del
figliuolo; offerendo, se per la sicurtà propria volevano ristrignersi seco e
pigliare l'armi contro a Cesare, cinquecento lancie e grossa contribuzione di
danari. Ma il principale suo desiderio e di tutto il regno di Francia sarebbe
stato di mitigare l'animo del re d'Inghilterra; giudicando, come era vero, che
non avendo inimico lui il regno di Francia non avesse a essere molestato, ma
che se egli da uno canto dall'altro Cesare movessino l'armi, avendo con loro
Borbone e tante occasioni, che ogni cosa si empierebbe di difficoltà e di
pericoli.
Ma di questo
cominciò presto a dimostrarsi a madama qualche speranza. Perché, se bene il re
di Inghilterra avesse, subito che intese la nuova della vittoria, fatti segni
grandissimi di allegrezza e publicato di volere passare in Francia
personalmente, mandati anche a Cesare oratori per trattare e sollecitare di
muovere comunemente la guerra, nondimeno, procedendo in questo tempo col
medesimo stile che altre volte aveva proceduto, ricercò anche madama che gli
mandasse uno uomo proprio; la quale lo spedì subito con amplissime commissioni,
usando tutte le sommissioni e arti possibili a mitigare l'animo di quel re: il
quale, non partendo dal consiglio del cardinale eboracense, pareva che avesse
per fine principale di diventare talmente cognitore delle differenze tra gli
altri prìncipi che tutto il mondo potesse conoscere dependere da lui il momento
della somma delle cose. Però, e nel tempo medesimo offeriva a Cesare di passare
in Francia con esercito potente, offeriva di dare perfezione al parentado
conchiuso altre volte tra loro e, per levarne ogni scrupolo, consegnare di
presente a Cesare la figlia, che non era ancora negli anni nubili. Ma avevano
queste cose non piccole difficoltà, parte dependenti da lui medesimo parte dependenti
da Cesare, non pronto a convenire con lui come era stato per il passato; perché
quel re dimandava per sé quasi tutti i premi della vittoria, la Piccardia la
Normandia la Ghienna e la Guascogna, con titolo di re di Francia; e che Cesare,
ancora che i premi fussino ineguali, passasse personalmente in Francia,
partecipe egualmente delle spese e de' pericoli. Turbava la inegualità di
queste condizioni l'animo di Cesare, e molto più che, ricordandosi che negli
anni prossimi aveva ne' maggiori pericoli del re di Francia allentato sempre
l'armi contro a lui, si persuadeva non potere fare fondamento in questa
congiunzione; ed essendo esaustissimo di danari e stracco da tanti travagli e
da tanti pericoli, sperava potere conseguire più dal re di Francia col mezzo
della pace che col mezzo delle armi, movendole in compagnia del re di
Inghilterra. Né era più appresso a lui in tanta estimazione in quanta soleva
essere il matrimonio della figliuola, collocata ancora negli armi minori, e
nella dota della quale s'aveva a computare quel che Cesare aveva ricevuto in
prestanza dal re di Inghilterra: anzi, mosso dal desiderio d'avere figliuoli,
dalla cupidità de' danari, aveva inclinazione a congiugnersi con la sorella di
[Giovanni] re di Portogallo, di età nubile e dalla quale sperava ricevere in
dote grandissima quantità di danari; e molti ancora, in caso facesse questo
matrimonio, gliene offerivano i popoli suoi, desiderosi di avere una regina
della medesima lingua e nazione, e che presto procreasse figliuoli. Per le quali
cose difficultandosi ogni dì più la pratica tra l'uno e l'altro principe, e
aggiugnendosi la inclinazione che ordinariamente aveva al re di Francia il
cardinale eboracense, le querele ancora che già palesemente faceva di Cesare,
sì per gli interessi del suo re come perché gli pareva cominciare a essere
disprezzato da Cesare, il quale, solendo innanzi alla giornata di Pavia non
mandargli mai se non lettere scritte tutte di sua mano sottoscrivendosi: «il
vostro figliuolo e cugino Ciarles», avuta quella vittoria, cominciò a
fargli scrivere lettere nelle quali non vi era più scritto di mano propria
altro che la sottoscrizione, non più piena di titoli di tanta riverenza e
sommissione ma solamente con il proprio suo nome: «Ciarles»;
tutte queste cose furono cagione che il re d'Inghilterra, raccolto con
umanissime parole e dimostrazioni l'uomo mandatogli da madama la reggente, e
confortatola a sperare bene delle cose future, non molto poi, alienato
totalmente l'animo dalle cose di Cesare, contrasse confederazione con madama
contraente in nome del figliuolo; nella quale volle inserisse espressa
condizione che non si potesse concedere a Cesare, eziandio per la liberazione
del re, cosa alcuna posseduta allora dal reame di Francia. Questa fu la prima
speranza di salute che cominciasse ad avere il regno di Francia, questo il
principio di respirare da tante avversità augumentato poi continuamente per i
progressi de' capitani cesarei in Italia: i quali, diventati insolentissimi per
tanta vittoria, e persuadendosi che alla volontà loro avessino a cedere tutti
gli uomini e tutte le difficoltà, perderono l'occasione di concordare i
viniziani, contravennono al pontefice nelle cose gli avevano promesse, ed
empiendo lui il duca di Milano e tutta Italia di sospetto sparsono i semi di
nuove turbazioni; le quali messono finalmente Cesare in necessità di fare
deliberazione precipitosa, con pericolo grandissimo dello stato suo d'Italia,
se non avesse potuto più la sua antica felicità o il fato malignissimo del
pontefice: cose certamente degnissime di particolare notizia, perché di
accidenti tanto memorabili si intendino i consigli e i fondamenti; i quali
spesso sono occulti, e divulgati il più delle volte in modo molto lontano da
quel che è vero.
|