XVI. Cesare comunica al pontefice l'accordo col re di Francia e le
intenzioni sue riguardo al ducato di Milano. Il pontefice delibera di
mantenersi libero nelle decisioni e spedisce in Francia un proprio ambasciatore
per conoscere le intenzioni del re. Identica politica dei veneziani.
Nel quale tempo
Cesare scrisse al pontefice una lettera cerimoniale, significandogli che, per
il desiderio della pace e del bene comune della cristianità, dimenticate tante
ingiurie e inimicizie, aveva restituita la libertà al re di Francia e datagli
la sorella sua per moglie, e che aveva eletto lui per conservadore della pace,
di chi sempre voleva essere obedientissimo figliuolo. E gli scrisse, pochi dì
poi, un'altra lettera di mano propria, la quale gli mandò per il medesimo
Errera che aveva portato la lettera scritta a lui di mano propria del
pontefice; rispondendogli parte con parole dolci, parte mescolate di qualche
acerbità: conchiudendo che restituirebbe il ducato a Francesco Sforza in caso
non avesse fatto il delitto di che era imputato, e che voleva che questo si
vedesse per giustizia dai giudici deputati da sé come da suo superiore; ma
constando che avesse fallito non poteva mancare di investirne il duca di
Borbone, a chi egli medesimo era stato cagione che e' lo avesse promesso,
avendogliene nel tempo della infermità di Francesco Sforza proposto; e che per
sodisfare a lui, e per assicurare dello animo [suo] Italia, non aveva voluto né
ritenerlo per sé né darlo al fratello proprio; affermando, sopra la fede sua,
questa essere veramente la sua intenzione; la quale pregava efficacemente che
approvasse, offerendogli sempre l'autorità e le forze sue, come obbediente
figliuolo della sedia apostolica. Portò ancora il medesimo Errera la risposta
alla minuta del capitolo stato disteso dal pontefice in favore di Francesco
Sforza, il quale Cesare, perseverando nella sua prima deliberazione, non aveva
voluto approvare; anzi indirizzò per lui al duca di Sessa la forma dello
accordo al quale per ultimo si risolveva, con autorità di stipularlo in caso
che da lui fusse accettato. Contenevasi in essa che Francesco Sforza fusse compreso
nella loro confederazione in caso non avesse lesa la maestà di Cesare, ma in
caso della sua morte o privazione succedesse nella confederazione il duca di
Borbone, investito da lui del ducato di Milano: confermavasi la obligazione
fatta dal viceré della restituzione delle terre che teneva il duca di Ferrara,
ma con condizione che il pontefice fusse tenuto a concedergli la investitura di
Ferrara e rimettergli la pena della contravenzione; cosa contraria ai pensieri
del pontefice, che aveva disegnato di esigere la pena de' centomila ducati, per
pagare con questa i centomila promessi a Cesare in caso di quella restituzione:
non ammetteva che lo stato di Milano avesse a levare i sali della Chiesa, né di
riferirsi, in quanto alle collazioni benefiziali del reame di Napoli, al tenore
delle investiture ma allo uso de' re passati, i quali in molti casi avevano
disprezzato le ragioni e l'autorità della sedia apostolica. E perché col legato
era stato trattato che, per levare di Lombardia lo esercito, grave a tutta
Italia, si pagassino dal papa e da lui, come re di Napoli, e dagli altri
d'Italia, ducati cento cinquantamila, e si conducesse a Napoli o dove, fuora
d'Italia, paresse a Cesare, che diceva volerlo fare passare in Barberia, fu
aggiunto che, essendo lo esercito creditore di maggiore quantità che non era
allora, fussino ducati dugentomila.
Presentorono il
duca di Sessa ed Errera al pontefice la copia di questi capitoli, con
protestazione che in potestà loro non era di variarne pure una sillaba; e
nondimeno arebbeno facilmente preso forma tutte l'altre difficoltà pure che del
ducato di Milano fusse stato disposto in modo che il pontefice e gli altri non
avessino causa d'avere sospetto. Ma si considerava che il duca di Borbone era
inimico così implacabile del re di Francia che, o per sicurtà sua o per
cupidità di entrare in Francia, starebbe sempre soggettissimo a Cesare, né si
potrebbe mai sperare che la troppa grandezza sua gli fusse molesta; e che il
capitolo di levare lo esercito di Lombardia, che tanto era stato desiderato da
tutti, e per il quale effetto non sarebbe paruto grave pagare ogni quantità di
denari, riusciva di nissuna utilità, poiché a Milano restava uno duca che non
solo a ogni cenno di Cesare ve lo arebbe accettato, anzi forse, per interesse
proprio, desiderato e stimolatolo. Però il pontefice, il quale, perché nella
concordia fatta col re di Francia non si faceva menzione sostanziale di lui, né
della sicurtà degli stati di Italia memoria alcuna, si era confermato nella persuasione
fattasi prima che la grandezza di Cesare avesse a essere la servitù sua,
deliberò di non accettare lo accordo nel modo che gli era proposto, ma di
conservarsi libero insino a tanto che avesse certezza quello che facesse il re
di Francia circa alla osservazione del suo appuntamento: nella quale sentenza
si determinò con maggiore animo perché, oltre a quello che pareva verisimile,
gli penetrò agli orecchi, per parole dette dal re innanzi fusse liberato, e da
altri a' quali erano noti i consigli suoi, egli avere l'animo alieno dalla
osservanza delle cose promesse a Cesare. Nella quale deliberazione per
confermarlo, come cosa dalla quale avesse a dependere la sicurtà propria,
espedì in Francia in poste Paolo Vettori fiorentino, capitano delle sue galee,
acciò che nel tempo medesimo che arriverebbe il re fusse alla corte: usando
questa celerità non solo per sapere, il più presto si poteva, la mente sua ma
perché il re, avuta subito speranza di potersi congiugnere il pontefice e i
viniziani contro a Cesare, avesse causa di deliberare più prontamente. Fu
adunque commesso a Paolo che in nome del pontefice si rallegrasse seco della
sua liberazione, facessegli intendere l'opere fatte da lui perché seguisse
questo effetto, e quanto le pratiche tenute di collegarsi con la madre avessino
fatto inclinare Cesare a liberarlo; mostrassegli poi, il pontefice essere
desiderosissimo della pace universale de' cristiani, e che Cesare ed egli
facessino unitamente la impresa contro al turco; quale si intendeva prepararsi
molto potentemente per assaltare l'anno medesimo il reame di Ungheria. Queste
furono le commissioni apparenti, ma la sostanziale e segreta fu che, tentato
prima destramente di sapere bene la inclinazione del cristianissimo, in caso lo
trovasse volto a osservare lo accordo fatto non passasse più innanzi, per non
fare vanamente più perdita con Cesare che si fusse fatta per il passato; ma
trovandolo inclinato altrimenti, o vero ambiguo, si sforzasse confermarvelo e
con ogni occasione lo confortasse a questo cammino; mostrando il desiderio che
il pontefice aveva, per benefizio comune, di congiugnersi seco. Spedì ancora in
Inghilterra il protonotario da Gambara, per fare uffizio con quel re al
medesimo fine; e per ricordo suo i viniziani mandorono in Francia, con le medesime
commissioni, Andrea Rosso suo segretario. E perché Paolo, subito che fu
arrivato in Firenze, si ammalò e morì, il pontefice, benché pigliasse in malo
augurio che già due volte i ministri mandati da lui in Francia per questa
pratica fussino periti nel cammino, vi mandò in luogo suo Capino da Mantova. Né
mancavano intratanto, i viniziani e lui, di usare ogni diligenza per tenere
confortato e in più speranza che e' si potesse il duca di Milano, acciò che la
paura della pace di Madril non lo facesse precipitare a qualche accordo con
Cesare.
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