LIBRO DICIASSETTESIMO.
I. Viva attesa in Italia delle decisioni del re di Francia liberato dalla
prigionia. Ragioni di rammarico contro Cesare esposte dal re di Francia agli
inviati del pontefice e dei veneziani; veri intenti del re. Difficili
condizioni del duca di Milano assediato nel castello, e gravezze degli abitanti
del ducato per il mantenimento dei soldati di Cesare. Malcontento e tumulti in
Milano.
La liberazione
del re di Francia, ancora che alla solennità dei capitoli fatti e alla
religione de' giuramenti e delle fedi date tra loro, e al vincolo del nuovo
parentado, fusse aggiunto il pegno di due figliuoli, e in quegli il primogenito
destinato a tanta successione, sollevò i prìncipi cristiani in grandissima
espettazione, e fece volgere inverso di lui gli occhi di tutti gli uomini, i
quali prima erano solamente volti verso Cesare; dependendo diversissimi né
manco importanti effetti dalla deliberazione sua dello osservare o no la
capitolazione fatta a Madril. Perché, osservandola, si vedeva che Italia
impotente a difendersi per se medesima se ne andava senza rimedio in servitù, e
si accresceva maravigliosamente l'autorità e la grandezza di Cesare: non
osservando, era necessitato Cesare o dimenticare, per la inosservanza del re di
Francia, le macchinazioni fattegli contro dal duca di Milano, restituirgli quel
ducato perché il pontefice e i viniziani non avessino causa di congiugnersi col
re, e perdere tanti guadagni sperati dalla vittoria; o pure, potendo più in lui
la indegnazione conceputa col duca di Milano e il desiderio di non avere in
Italia l'ostacolo de' franzesi, stabilire la concordia col re, convertendo in
pagamento di danari l'obligazione della restituzione della Borgogna; o
veramente, non volendo cedere né all'una cosa né all'altra, ricevere contro a
tanti inimici una guerra, eziandio quasi per confessione sua molto difficile,
poiché per fuggirla si era ridotto a lasciare con tanto pericolo il re di
Francia.
Ma non si
stette lungamente in ambiguità quale fusse la mente del re. Perché essendo,
subito che arrivò a Baiona, ricercato da uno uomo del viceré di ratificare lo
appuntamento, come aveva promesso di fare subito che e' fusse in luogo libero,
differiva di giorno in giorno con varie escusazioni: con le quali per nutrire
la speranza di Cesare, mandò uno uomo proprio a significargli non avere fatta
subito la ratificazione, perché era necessario, innanzi procedesse a questo
atto, mollificare gli animi [de'] suoi, malcontenti delle obligazioni che
tendevano alla diminuzione della corona di Francia; ma che non ostante tutte le
difficoltà osserverebbe indubitatamente quanto aveva promesso. Da che potendosi
assai comprendere quello che avesse nello animo, sopravenneno pochi dì poi gli
uomini mandati dal pontefice e da' viniziani; a' quali non fu necessario usare
molta diligenza per chiarirsi della sua inclinazione. Perché il re, avendogli
ricevuti benignamente, ne' primi ragionamenti che poi ebbe con l'uno e con
l'altro di loro separatamente, si querelò molto della inumanità che, nel tempo
che era stato prigione, lo imperadore gli aveva usata, non trattandolo come
principe tale quale era, né con quello animo che doverebbe fare uno principe
che avesse commiserazione delle calamità di uno altro principe, o
considerazione che quello che era accaduto a lui potesse anche accadere a se
medesimo. Allegava lo esempio di Adovardo, re d'Inghilterra, quello che fu
chiamato Adovardo Gambiglione: che, essendogli presentato Giovanni re di
Francia, preso nella giornata di Pottieri, dal principe di Gales suo figliuolo,
non solo lo aveva ricevuto benignamente ma eziandio lasciatolo in libera
custodia in tutto il tempo che stette prigione nella isola, aveva sempre
familiarmente, conversato seco, ammessolo alle sue caccie e a suoi conviti; né
però per questo avere perduto il prigione, o conseguito accordo manco
favorevole per lui: da che essere nato tra loro tanta dimestichezza e confidenza
che Giovanni, eziandio poi che, liberato, era stato più anni in Francia,
ritornasse volontariamente in Inghilterra per desiderio di rivedere l'ospite
suo. Aversi memoria solo di due re di Francia che fussino stati fatti prigioni
in battaglia, Giovanni e lui; ma essere non manco notabile la diversità degli
esempli, poiché l'uno poteva essere allegato per esempio della benignità,
l'altro per esempio della acerbità del vincitore. Ma non avere trovato animo
più placato o mansueto verso gli altri; anzi essersi, per i parlamenti avuti
seco a Madril, certificato che egli, occupato da somma ambizione, non pensava
ad altro che a mettere in servitù la Chiesa, Italia tutta e gli altri prìncipi.
Desiderare che il papa e i viniziani avessino animo di pensare alla salute
propria, perché dimostrerebbe loro quanto fusse desideroso di concorrere alla
salute comune, e di restrignersi con loro a pigliare l'armi contro a Cesare;
non per ricuperare per sé lo stato di Milano o accrescere altrimenti la sua
potenza, ma solo perché, col mezzo della guerra, potesse conseguire i figliuoli
e Italia la libertà: poi che la troppa cupidità non aveva lasciato lume a
Cesare di obligarlo in modo che e' fusse tenuto a stare nella capitolazione.
Conciossiaché, e prima quando era nella rocca di Pizzichitone e poi in Spagna
nella fortezza di Madril, avesse molte volte protestato a Cesare, poiché vedeva
la iniquità delle dimande sue, che, se stretto dalla necessità cedesse a inique
condizioni o quali non fusse in potestà sua di osservare, che non solo non le
osserverebbe, anzi, reputandosi ingiuriato da lui per averlo astretto a
promesse inoneste e impossibili, se ne vendicherebbe se mai ne avesse
l'occasione. Né avere mancato di dire molte volte quello che per loro stessi
potevano sapere, e che credeva anche essere comune a gli altri regni: che in
potestà del re di Francia non era obligarsi, senza consentimento degli stati
generali del reame, ad alienare cosa alcuna appartenente alla corona: non
permettere le leggi cristiane che uno prigione di guerra stesse in carcere
perpetua, per essere pena conveniente agli uomini di male affare, non trovata
per supplizio di chi fusse battuto dalla acerbità della fortuna; sapersi per
ciascuno essere di nessuno valore le obligazioni fatte violentemente in
prigione, ed essendo invalida la capitolazione non restare anche obligata la
sua fede, accessoria e confermatrice di quella; precedere i giuramenti fatti a
Remes, quando con tanta cerimonia e con l'olio celeste si consacrano i re di
Francia, per i quali si obligano di non alienare il patrimonio della corona:
però non essere manco libero che pronto a moderare la insolenza di Cesare. E il
medesimo desiderio mostrò di avere la madre, e la sorella di Alanson, che per
essere stata vanamente in Spagna si lamentava assai della asprezza di Cesare, e
tutti i principali della corte che intervenivano nelle faccende segrete;
conchiudendo che, se e' venivano i mandati del pontefice e de' viniziani, si
verrebbe subito alla conclusione della lega: la quale dicevano essere bene si
maneggiasse in Francia, per avere più facilità di tirarvi il re d'Inghilterra,
come mostravano speranza grande dovesse succedere. Queste cose si dicevano con
grande asseverazione dal re di Francia e da' suoi, ma in secreto erano molto
diversi i suoi pensieri: perché, disposto totalmente a non dare a Cesare la
Borgogna, aveva anche l'animo alieno di non muovere, se non costretto da
necessità, le armi contro a lui; ma trattando di confederarsi con gli italiani,
sperava che Cesare, per non cadere in tante difficoltà si indurrebbe a
convertire in obligazione di danari l'articolo della restituzione della
Borgogna; nel quale caso nessuno rispetto delle cose d'Italia l'arebbe
ritenuto, per desiderio di riavere [i figliuoli], a convenire seco.
Ma i messi del
pontefice e i viniziani, ricevuta tanta speranza da lui, significorono subito
la risposta avuta, in tempo che in Italia crescevano la necessità e l'occasione
del congiugnersi contro a Cesare. La necessità, perché il duca di Milano, il quale
da principio, parte per colpa de' ministri suoi parte per il breve tempo che
ebbe a provedersi, aveva messo poca vettovaglia in castello, né quella poca era
stata dispensata con quella moderazione che si suole usare per gli uomini
collocati in tale stato, faceva tutto dì intendere (come ebbe sempre mezzo di
scrivere, ancora che e' fusse assediato nel castello) non avere da mangiare per
tutto il mese di giugno prossimo, e che non si facendo altra provisione sarebbe
necessitato rimettersi alla discrezione di Cesare: e se bene si credeva che,
come è costume degli assediati, proponesse maggiore strettezza che in fatto non
aveva, nondimeno si avevano molti riscontri che gli avanzava poco da vivere; e
il lasciare andare il castello in mano di Cesare, oltre alla riputazione che si
accresceva, faceva molto più difficile la recuperazione di quello stato. Ma non
meno pareva che crescesse l'occasione, per essere ridotti i popoli tutti in
estrema disperazione. Conciossiaché, non mandando Cesare denari per pagare la
sua gente, alla quale si dovevano già molte paghe, né vi essendo modo di
provederne di altro luogo, avevano i capitani distribuito gli alloggiamenti
della gente d'arme e de' cavalli per tutto il paese, gravandolo a contribuire,
qual terra a questa compagnia quale a quell'altra; le quali erano necessitate
ad accordare co' capitani e co' soldati questo peso con denari: il che si
esercitava sì intollerabilmente che allora fusse costante fama, affermata da
molti che avevano notizia delle cose di quello stato, che il ducato di Milano
pagasse ciascuno dì a' soldati di Cesare ducati cinquemila, e si diceva che
Antonio de Leva riscoteva per sé solo trenta ducati ciascuno giorno. La
fanteria ancora, alloggiata in Milano e per l'altre terre, non solo voleva
essere provista da' padroni delle case dove abitavano di tutto il vitto loro
ma, riducendosi spesso molti fanti in una casa medesima, era il padrone di
quella necessitato di provedere al vivere di tutti; e l'altre case, non avendo
da dare loro gli alimenti, bisognava si componessino con denari: e toccavano
talvolta a uno fante solo più alloggiamenti, che, da uno in fuora che gli
provedeva del vitto, gravava gli altri a pagargli denari.
Questa
condizione miserabile, ed esercitata con tanta crudeltà, aveva disperato gli
animi di tutto il ducato e specialmente quegli del popolo di Milano, non
assuefatto, innanzi alla entrata del marchese di Pescara in Milano, a essere
gravato di alimenti o di contribuzione per gli alloggiamenti de' soldati; e il
quale, essendo potente di numero e di armi, ancoraché non in quella frequenza
che soleva essere innanzi alla peste, non poteva tollerare tanta insolenza e
acerbissime esazioni: dalle quali per liberarsi, o almeno per moderarle in
qualche parte, benché i milanesi avevano mandati a Cesare imbasciadori, erano
stati espediti con parole generali ma senza alcuna provisione. Né mancava anche
Milano, non gravato secondo la sua proporzione di quel numero di soldati che
l'altre terre, avere a pagare denari per le spese publiche, cioè di quelle che
accadesse fare per ordine de' capitani per conservazione delle cose di Cesare:
i quali denari esigendosi difficilmente, si usavano per i ministri proposti
alle esazioni molte acerbità. Per le quali cose essendo condotto il popolo in
estrema disperazione si convenneno popolarmente tra loro medesimi di resistere
con l'armi in mano alle esazioni, e che ciascuno che fusse gravato dagli
esattori chiamasse i vicini a difenderlo; i quali tutti, e dietro a loro gli
altri che fussino chiamati, concorressino, al comandamento de' capitani
deputati per molte parti della città, per resistere a quegli che facessino le
esazioni e a' soldati che volessino favorirgli. Il quale ordine poi che fu
dato, accadde che uno fabbro della città, essendo andati gli esattori a
gravarlo, concitò per sua difesa i vicini; dietro a' quali concorrendo gli
altri del popolo si fece per la città grandissima sollevazione: per la quale
sedare essendo concorsi Antonio de Leva e il marchese del Guasto, e in
compagnia loro alcuni de' principali gentiluomini di Milano, si quietò
finalmente il tumulto, ma ricevuta promessa da' capitani che, contenti delle
entrate publiche, non graverebbeno alcuno per altre imposizioni né metterebbeno
in Milano altri soldati. Non durò questa concordia se non insino a l'altro
giorno, perché essendo venuto avviso che alla città si accostavano nuovi
soldati il popolo di nuovo prese l'armi, ma con maggiore tumulto e molto più
ordinato e con maggiore concorso che non si era fatto il dì precedente. Al
quale impeto cominciando i capitani a temere di non potere resistere, ebbeno
(così affermano molti) inclinazione di partirsi con la gente da Milano; e si
crede che così arebbeno messo in esecuzione se il popolo avesse unitamente
dimostrato di volere procedere alla offensione loro e de' soldati. Ma
cominciorno imperitamente a saccheggiare la corte vecchia, dove risedeva il
capitano della giustizia criminale con certo numero di fanti; cominciando a
volere fare il principio da quello che doveva essere l'ultimo della loro
esecuzione: dal quale disordine i capitani imperiali avendo ripreso animo,
fortificate le loro strade e chiamata la maggiore parte de' fanti che stavano
allo assedio del castello, si congregorono insieme per resistere se il popolo
volesse assaltargli. Questo dette occasione a quegli che erano assediati di
uscire fuora del castello ad assaltare i ripari fatti dalla parte di dentro, ma
si ritirorono presto non vedendo avere soccorso dal popolo; il quale, parte per
essere inesperto all'armi parte per portare alle case loro le robe guadagnate
nel sacco di corte vecchia, non solo non faceva l'operazioni convenienti ma si
andava più presto risolvendo: con la quale occasione i capitani, interponendosi
alcuni de' gentiluomini, sedorono anche questo tumulto, ma con promissione di
cavare tutti i soldati della città e del contado di Milano, eccetto i fanti
tedeschi che erano allo assedio del castello. Così facilmente dalla astuzia
degli uomini militari si era fuggito uno gravissimo pericolo, elusa la imperizia
dell'armi de' popolari, e i disordini ne' quali facilmente la moltitudine
tumultuosa, e che non ha capi prudenti o valorosi, si confonde. Ma non essendo
per queste concordie né dissolute le intelligenze né deposte l'armi del popolo,
anzi dimostrandosi ogni dì disposizione di maggiore sollevazione, pareva a chi
pensava di travagliare le cose di Cesare occasione di grandissimo momento;
considerando massime le poche forze e l'altre difficoltà che avevano gli
imperiali, e ricordandosi che, nelle guerre prossime, l'ardore maraviglioso che
il popolo di Milano e dell'altre terre avevano avuto in favore loro era stato
grandissimo fondamento alla difensione di quello stato.
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