III. Dichiarazioni e proposta del re di Francia al viceré riguardo alle
condizioni concluse con Cesare, e indugio della conclusione degli accordi col
pontefice e coi veneziani. Sdegno di Cesare per la proposta del re di Francia e
sue deliberazioni. Conclusione e patti della lega fra il pontefice i veneziani
ed il re di Francia. Il pontefice ed i veneziani deliberano la rottura della
guerra.
Ma mentre che
queste cose si preparano in Italia, cominciando Cesare a sospettare delle
dilazioni interposte alla ratificazione, il viceré di Napoli, il quale insieme
con gli statichi e con la regina Elionora si era fermato nella terra di
Vittoria per condurgli al re subito che avesse adempiuto le cose contenute
nella capitolazione, andò e con lui Alarcone, per commissione di Cesare, al re
di Francia, il quale da Baiona si era trasferito a Cugnach, per certificarsi
interamente della sua intenzione. Dal quale benché e' fusse ricevuto con
grandissimo onore e carezze, e come ministro di Cesare e come quello da chi il
re cristianissimo riconosceva in grande parte la sua liberazione, lo trovò in
tutto alieno da volere rilasciare la Borgogna; scusandosi ora che non potrebbe
mai avere il consentimento del regno, ora che non arebbe mai volontariamente
consentito a una promessa che per essere di tanto pregiudizio alla corona di
Francia era impossibile a lui l'osservarla: ma che, desiderando quanto poteva
di mantenersi l'amicizia cominciata con Cesare e dare perfezione al parentado,
sarebbe contento, tenendo fermo tutte l'altre cose convenute tra loro, pagare a
Cesare in luogo del dargli la Borgogna due milioni di scudi; dimostrando che
non altro lo indurrebbe a confermare con questa moderazione la confederazione
fatta a Madril che la inclinazione grande che aveva di essere in bona
intelligenza con Cesare, perché non gli mancavano né offerte né stimoli del
pontefice, del re d'Inghilterra e de' viniziani per incitarlo a rinnovare la
guerra. La quale risposta e ultima sua deliberazione e il viceré significò a
Cesare, e il re vi mandò uno de' suoi segretari a esporgli il medesimo. Donde
procedette che, benché i mandati del pontefice e de' viniziani, prima molto
desiderati, fussino arrivati nel tempo medesimo, il re, inclinato più alla
concordia con Cesare, e però deliberato di aspettare la risposta sopra questo
partito nuovo del quale il viceré gli aveva dato speranza, cominciò apertamente
a differire la conclusione della confederazione: non dissimulando totalmente,
perché era impossibile tenerlo occulto, di trattare nuova concordia con Cesare,
la quale essendogli stata proposta dal viceré non poteva fare nocumento alcuno
l'udirla; e affermando efficacemente, benché altrimenti avesse in animo, che
non farebbe mai conclusione alcuna se con la restituzione de' figliuoli non
fusse anche congiunta la relassazione del ducato di Milano e la sicurtà di
tutta Italia. La quale cosa sarebbe stata bastante a intepidire l'animo del
pontefice se, per il sospetto fisso nell'animo, non avesse giudicato che il
confederarsi col re di Francia fusse unico rimedio alle cose sue.
Ma è cosa
maravigliosa quanto l'animo di Cesare si perturbasse ricevuto che ebbe l'avviso
del viceré, e intesa la esposizione del segretario franzese; perché gli era
molestissimo cadere della speranza della recuperazione della Borgogna
desiderata sommamente da lui, per la amplificazione della sua gloria e per la
opportunità di quella provincia a cose maggiori. Indegnavasi grandemente che il
re di Francia, partendosi dalle promesse e dalla fede data, facesse
dimostrazione manifesta a tutto il mondo di disprezzarlo; e gli pungeva anche
l'animo non mediocremente una certa vergogna che, avendo contro al consiglio di
quasi tutti i suoi, contro al giudicio universale di tutta la corte, contro a
quello che, poi che si era inteso l'accordo fatto, gli era stato predetto di
Fiandra da madama Margherita sorella del padre suo e da tutti i ministri suoi
di Italia, misurata male la importanza e la condizione delle cose, si fusse
persuaso che il re di Francia avesse a osservare. Ne' quali pensieri, calcolato
diligentemente quel che convenisse alla degnità propria e in quali pericoli e
difficoltà rimanessino in qualunque caso le cose sue, deliberò di non alterare
il capitolo che parlava della restituzione di Borgogna: più presto,
concordandosi col pontefice, consentire alla reintegrazione di Francesco
Sforza, come se più fusse secondo il decoro suo perdonare a uno principe minore
che, cedendo alla volontà di uno principe potente ed emulo della grandezza sua,
fare quasi confessione di timore; più presto avere la guerra pericolosissima
con tutti che rimettere la ingiuria ricevuta dal re di Francia. Perché dubitava
che il pontefice, vedendo essere stata sprezzata l'amicizia sua, non avesse
alienato totalmente l'animo da lui; e gli accresceva il sospetto lo intendere
che oltre allo avere mandato uno uomo in Francia a congratularsi, vi mandava
publicamente uno imbasciadore; e molto più che nuovamente aveva condotto a'
soldi suoi, sotto colore di assicurare le marine dello stato della Chiesa dai
mori, Andrea Doria con otto galee e con trentacinquemila ducati di provisione
l'anno: la quale condotta, per la qualità della persona e per non avere mai
prima il pontefice pensato a potenza marittima, e per essere egli stato più
anni agli stipendi del re di Francia, gli dava sospizione non fusse fatta con
intenzione di turbare le cose di Genova. Però, preparandosi a qualunque caso,
fece in uno tempo medesimo molte provisioni: sollecitò la passata in Italia del
duca di Borbone, la quale prima procedeva lentamente, ordinando che di Italia
venissino a Barzalona sette galee sue che erano a Monaco per aggiugnerle alle
tre galee di Portondo, e sollecitando che in Italia portasse provisione di
centomila ducati, perché l'andata sua senza denari sarebbe stata vana; destinò
don Ugo di Moncada al pontefice, con commissione, secondo publicava, da
sodisfargli: ma questo limitatamente, perché volle andasse prima alla corte del
re di Francia, acciò che, inteso dal viceré se vi era speranza alcuna che il re
volesse osservare, o non passasse più innanzi o, passando, variasse le
commissioni secondo lo stato e la necessità delle cose.
Ma a ogni
consiglio salutifero del pontefice si opponeva il pericolo dello arrendersi il
castello di Milano, già vicino alla consunzione; il timore che tra il re di
Francia e Cesare non si stabilisse, con qualche mezzo, la congiunzione; la
incertitudine di quel che avesse a partorire la venuta di don Ugo di Moncada,
nella quale era sospetto l'avere prima a passare per la corte di Francia;
sospette di poi, quando bene passasse in Italia, le simulazioni e le arti loro.
Però, sollecitando insieme co' viniziani la conclusione della confederazione,
il re finalmente, poiché per la venuta di don Ugo ebbe compreso Cesare essere
alieno da alterare gli articoli della capitolazione, temendo che il differire
più a confederarsi non inducesse il pontefice a nuove deliberazioni, e
giudicando che per questa confederazione sarebbeno appresso a Cesare in
maggiore esistimazione le cose sue, e che forse il timore piegherebbe in
qualche parte l'animo suo, stimolato ancora a questo medesimo dal re
d'Inghilterra, il quale più con le persuasioni che con gli effetti favoriva
questa conclusione, ristrinse le pratiche della lega. La quale il decimosettimo
dì di maggio dell'anno millecinquecentoventisei si conchiuse, in Cugnach, tra
gli uomini del consiglio procuratori del re da una parte, e gli agenti del
pontefice e de viniziani dall'altra, in questa sentenza: che tra il pontefice
il re di Francia i viniziani e il duca di Milano (per il quale il pontefice e i
viniziani promesseno la ratificazione) fusse perpetua lega e confederazione, a
effetto di fare lasciare libero il ducato di Milano a Francesco Sforza e di
ridurre in libertà i figliuoli del re: che a Cesare si intimasse la lega fatta,
e fusse in facoltà sua di entrarvi in termine di tre mesi, restituendo i
figliuoli al re, ricevuta per la liberazione loro una taglia onesta che avesse
a essere dichiarata dal re di Inghilterra, e rilasciando anche il ducato di
Milano interamente a Francesco Sforza, e gli altri stati di Italia nel grado
che erano innanzi si cominciasse l'ultima guerra: che di presente, per la
liberazione di Francesco Sforza assediato nel castello di Milano e per la
ricuperazione di quello stato, si movesse la guerra con ottocento uomini d'arme
settecento cavalli leggieri e ottomila fanti per la parte del pontefice, e per
la parte de viniziani con ottocento uomini d'arme mille avalli leggieri e
ottomila fanti, e del duca di Milano con quattrocento uomini d'arme trecento
cavalli leggieri e quattromila fanti, come prima ne avesse la possibilità; e
intratanto mettessino per lui i quattromila fanti il pontefice e i viniziani:
il re di Francia mandasse subito in Italia cinquecento lance, e durante la
guerra pagasse ogni mese al pontefice e a' viniziani quarantamila scudi, co'
quali si conducessino fanti svizzeri: che il re rompesse subito la guerra a
Cesare di là da i monti, da quella banda che più gli paresse opportuno, con
esercito almanco di dumila lance e di diecimila fanti e numero sufficiente
d'artiglierie; armasse dodici galee sottili e i viniziani tredici a spese
proprie; unisse il pontefice a queste le galee con le quali aveva condotto
Andrea Doria; e che la spesa delle navi necessarie per detta armata fusse
comune; con la quale armata si navigasse contro a Genova; e dipoi vinto o indebolito
in Lombardia l'esercito cesareo si assaltasse potentemente per terra e per mare
il reame di Napoli; del quale, quando si acquistasse, avesse a essere investito
re chi paresse al pontefice, benché in uno capitolo separato si aggiugnesse che
non potesse disporne senza consenso de' collegati, riservatogli nondimeno i
censi antichi che soleva avere la sedia apostolica e uno stato per chi paresse
a lui, di entrata di quarantamila ducati: che, acciò che il re di Francia
avesse certezza che la vittoria che si ottenesse in Italia e l'acquisto del
reame di Napoli faciliterebbe la liberazione de' figliuoli, che in tale caso,
volendo Cesare infra quattro mesi dopo la perdita di quel reame entrare nella
confederazione con le condizioni soprascritte, gli fusse restituito, ma non
accettando questa facoltà, avesse il re di Francia in perpetuo sopra il reame
di Napoli uno censo di ducati settantacinquemila l'anno: non potesse il re di
Francia, in tempo alcuno né per qualunque cagione, molestare Francesco Sforza
nel ducato di Milano, anzi fusse obligato insieme con gli altri a difenderlo
contro a ciascuno e a procurare quanto potesse che tra i svizzeri e lui si
facesse nuova confederazione, ma avesse da lui censo annuo di quella quantità
che paresse al pontefice e a' viniziani, non potendo però arbitrare manco di
cinquantamila ducati l'anno: avesse Francesco Sforza a ricevere ad arbitrio del
re moglie nobile di sangue franzese, e fusse obligato ad alimentare
condecentemente Massimiliano Sforza suo fratello in luogo della pensione annua
la quale riceveva dal re: fusse restituita al re la contea di Asti, e
ricuperandosi Genova vi avesse quella superiorità che vi soleva avere per il
passato; e che volendo Antoniotto Adorno, che allora ne era doge, accordarsi
con la lega, fusse accettato, ma riconoscendo il re di Francia per superiore,
nel modo che pochi anni innanzi aveva fatto Ottaviano Fregoso: che da tutti i
collegati fusse richiesta a Cesare la restituzione de' figliuoli regi, e
ricusando farlo gli fusse dinunziato, in nome di tutti, che i confederati non
pretermetterebbeno cosa alcuna per conseguirla; e che finita la guerra di
Italia, o almanco preso il regno di Napoli, e indebolito talmente lo esercito
cesareo che e' non fusse da temerne, fussino obligati aiutare il re di Francia
di là da' monti contro a Cesare, con mille uomini d'arme mille cinquecento
cavalli leggieri e diecimila fanti, o di danari in luogo delle genti, a
elezione del re: non potesse alcuno de' confederati senza consentimento degli
altri convenire con Cesare; al quale fusse permesso, in caso entrasse nella
confederazione, andare a Roma per la corona imperiale, con numero di gente non
formidabile, da dichiararsi dal pontefice e da' viniziani: che morendo eziandio
alcuno de' collegati la lega restasse ferma, e che il re di Inghilterra ne
fusse protettore e conservatore, con facoltà di entrarvi; ed entrandovi si
desse a lui nel regno di Napoli uno stato di entrata annua di ducati
trentacinquemila, e uno di diecimila, o nel regno medesimo o in altra parte d'Italia,
al cardinale eboracense. Recusò il pontefice che in questa confederazione fusse
compreso il duca di Ferrara, ancora che desiderato dal re di Francia e da'
viniziani; anzi ottenne che nella confederazione si esprimesse, benché sotto
parole generali, che i confederati fussino obbligati ad aiutarlo alla
recuperazione di quelle terre delle quali era in disputa con la Chiesa. De'
fiorentini non fu dubbio che effettualmente non fussino compresi nella
confederazione, disegnando il pontefice non solo valersi delle genti d'arme e
di tutte le forze loro ma ancora di fargli concorrere seco, anzi sostentare per
la maggiore parte le spese della guerra: ma per non turbare a quella nazione i
commerci che avevano nelle terre suddite a Cesare, né mettere in pericolo i mercatanti
loro, non furono nominati come principalmente collegati ma detto solamente che,
per rispetto del pontefice, godessino tutte le esenzioni privilegi e benefici
della confederazione come espressamente compresi, promettendo il pontefice per
loro che per modo alcuno non sarebbeno contro alla lega. Né si providde chi
avesse a essere capitano generale dello esercito e della guerra, perché la
brevità del tempo non patì che si disputasse in sulle spalle di chi, per
l'autorità e qualità sua, e per essere confidente di tutti, fusse bene
collocato tanto peso, non essendo massime facile trovare persona in chi
concorressino tante condizioni.
Stipulata la
lega, il re, il quale non aveva ancora in fatto rimosso l'animo dalle pratiche
col viceré di Napoli, differì di ratificarla e di dare principio alla
espedizione delle genti d'arme e de' quarantamila ducati per il primo mese,
insino a tanto venisse la ratificazione del pontefice e de' viniziani; la quale
dilazione benché turbasse la mente loro, nondimeno, strignendoli a andare
innanzi le medesime necessità, fatta la ratificazione, deliberorno di
cominciare subitamente, sotto titolo di volere soccorrere il castello di
Milano, la rottura della guerra. E però il pontefice, il quale prima aveva mandato
a Piacenza con le sue genti d'arme e con cinquemila fanti il conte Guido
Rangone governatore generale dello esercito della Chiesa, vi mandò di nuovo con
altri fanti e con le genti d'arme de' fiorentini Vitello Vitelli, che ne era
governatore, e Giovanni de' Medici, quale fece capitano generale della fanteria
italiana; e per luogotenente suo generale nello esercito e in tutto lo stato
della Chiesa, con pienissima e quasi assoluta potestà, Francesco Guicciardini,
allora presidente della Romagna. E i viniziani da altra parte augumentorno
l'esercito loro, del quale era capitano generale il duca d'Urbino e proveditore
Pietro da Pesero, fermandolo a Chiari in bresciano, con commissione che l'uno e
l'altro esercito procedesse al danno de' cesarei senza rispetto o dilazione
alcuna.
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