VII. Preoccupazione del pontefice per le vicende della guerra e per il
pericolo di tumulti in Roma. Vano tentativo del pontefice di mutare il governo
in Siena; milizie pontificie, fiorentine e di fuorusciti sotto le mura della
città.
Confuse questa
ritirata molto il pontefice e i viniziani, condotti già con la speranza in
termine che di dì in dì aspettavano l'avviso dello acquisto di Milano, ma il
pontefice massime, non preparato né co' denari né con la costanza dell'animo
alla lunghezza della guerra; al quale anche, a Roma e altrove nello stato suo,
si scoprivano di molte difficoltà. Perché essendo alla guardia di Carpi
trecento fanti spagnuoli e qualche numero di cavalli, cominciorono a scorrere
con gravissimi danni per tutto il paese circonstante della Chiesa, dando anche
impedimento grande a' corrieri e a' denari che da Roma e da Firenze andavano
allo esercito; a' quali non si poteva, con mettere piccola guardia nelle terre,
ovviare: e il pontefice, entrato nella guerra con pochi denari e soprafatto
dalle spese grandissime, difficilmente poteva co' denari suoi e con quegli che continuamente
gli erano per conto della guerra porti da Firenze, fare provedimenti bastanti a
reprimergli; essendo massime occupato in impresa nuova in Toscana, e
necessitato a stare in sull'arme dalla parte di Roma. Perché don Ugo, il duca
di Sessa partitosi dalla legazione, Ascanio, e Vespasiano Colonna ridottosi
nelle castella de' Colonnesi propinque a Roma, facevano molte dimostrazioni di
volere suscitare dalla parte di Roma qualche travaglio; e già alcuni de' loro
partigiani si erano fatti forti in Alagna, terra della Campagna: i movimenti
de' quali era sforzato a stimare il pontefice, per rispetto della fazione
ghibellina di Roma quanto perché, pochi dì innanzi, si erano scoperti segni
della mala disposizione della plebe romana contro a lui. Perché avendo, quando
condusse Andrea Doria, sotto colore di assicurare i mari di Roma dalle fuste
de' mori, dalle quali era impedita non mediocremente l'abbondanza della città,
augumentati per sostentare quella spesa certi dazi, i macellari, essendo
renitenti a pagargli, si erano tumultuosamente congregati all'abitazione del
duca di Sessa, che ancora non era partito da Roma; alla quale concorseno armati
quasi tutti gli spagnuoli che abitavano in Roma: benché questo tumulto
facilmente si quietasse.
Ma alla impresa
[del] mutare lo stato di Siena era stato ambiguo il pontefice, essendo vari i
consigli di quegli che gli erano appresso. Perché alcuni, confidandosi nel
numero grande de' fuorusciti e nella confusione del governo popolare, gli
persuadevano fusse molto facile il mutarlo, ricordando di quanta importanza
fusse in questo tempo l'assicurarsene, perché, in ogni disfavore che
sopravenisse, il ricetto che vi potessino avere gli inimici sarebbe molto
pericoloso alle cose di Roma e di Firenze; altri affermavano essere consiglio
più prudente dirizzare le forze in uno luogo solo che implicarsi in tante
imprese, con piccola anzi quasi niuna diversificazione degli effetti, perché
alla fine quegli che rimanessino superiori in Lombardia rimarrebbono superiori
per tutto; né doversi tanto confidare delle forze o del seguito de' fuorusciti
(le speranze de' quali riuscivano quasi sempre vanissime) che la mutazione di
quello stato si tentasse senza potenti provisioni, le quali gli era difficile
il fare, sì per la grandezza della spesa come perché aveva mandati tutti i suoi
capitani principali alla guerra di Lombardia: le quali ragioni sarebbeno forse
prevalute appresso a lui se quegli che reggevano in Siena fussino proceduti con
quella moderazione la quale, nelle cose che importano poco, debbono usare i
minori verso i maggiori, avendo più rispetto alla necessità che alla giusta
indegnazione. Ma accadde che, avendo molto prima uno certo Giovambatista
Palmieri sanese, il quale aveva dalla republica la condotta in Siena di cento
fanti, datogli speranza come le genti sue si accostassino a Siena di introdurle
per una fogna che passava sotto le mura appresso a uno bastione, e avendo il
pontefice mandatovi, a sua richiesta, due fanti confidati, all'uno de' quali
Giovambatista commesse il portare la sua bandiera, i magistrati della città
(con saputa de' quali Giovambatista eludendo il pontefice trattava questa
cosa), quando parve loro il tempo opportuno, presi i due fanti e fattone
solennemente il processo, e divulgato per tutto il trattato, ne presono
publicamente il debito supplicio, per infamare il pontefice quanto potettono.
Aggiunsesi che pochi dì poi mandorono gente ad assediare Giovanni Martinozzi,
uno de' fuorusciti, quale dimorava nel contado di Siena alla tenuta sua di
Montelifré. Dalle quali cose, come fatte in ingiuria sua, esacerbato l'animo
del pontefice, deliberò tentare di rimettere i fuorusciti in Siena con le forze
sue e de' fiorentini, ma con provisioni più deboli che non conveniva, massime
di fanti pagati; e perché alla debolezza dell'esercito non supplisse il valore
o la autorità de' capitani, vi prepose [Virginio] Orsino conte della
Anguillara, Lodovico conte di Pitigliano e [Giovan Francesco] suo figliuolo,
Gentile Baglione e Giovanni da Sassatello. I quali, fatta la massa delle genti
al ponte a Centina, e dipoi trasferitisi alle Tavernelle in sul fiume della
Arbia, fiume famoso appresso agli antichi per la vittoria memorabile de'
ghibellini contro a' guelfi di Firenze, si accostorono, il decimo settimo dì di
giugno, alle mura di Siena con nove pezzi d'artiglieria de' fiorentini
milledugento cavalli e con più di ottomila fanti, ma quasi tutti o comandati
del dominio della Chiesa e de' fiorentini o mandati senza danari ai fuorusciti
da amici loro del perugino e di altri luoghi: e nel tempo medesimo Andrea
Doria, con le galee e con mille fanti di sopracollo, assaltò i porti de'
sanesi. Ma non essendosi, nello accostarsi alle mura di Siena, fatto dentro
segno alcuno di tumulto, come avevano sperato i fuorusciti, fu necessario
fermarsi con l'esercito per attendere alla espugnazione della città; nella
quale erano sessanta cavalli e trecento fanti forestieri: però, accostatisi
alla porta di Camollia, cominciorno a battere con l'artiglierie le mura da
quella parte. Ma nella città forte di sito e la quale era stata fortificata, e
di circuito sì grande che la minore parte circondava l'esercito, era il popolo
(prevalendo più in, lui l'odio del pontefice e de' fiorentini che l'affezione
a' fuorusciti) disposto e unito alla conservazione di quel governo; e pel
contrario nello esercito di fuora inutile la gente non pagata, i capitani di
poca riputazione e tra loro non piccole divisioni, i fuorusciti divisi non solo
nelle deliberazioni e nelle provisioni quotidiane ma discordanti eziandio per
la forma del futuro governo, volendo già dividere e ordinare di fuora quel che
non si poteva stabilire se non da chi era di dentro. Per le quali condizioni,
ed essendo state battute le mura invano né avendo ardire di dare la battaglia,
si cominciava già a sperare poco nella vittoria.
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