X. Richiesta del duca d'Urbino che venga nominato un capitano generale di
tutta la lega; deliberazione di attendere gli svizzeri assoldati dal re di
Francia e di assalire Cremona. Ragioni di timori e di apprensione del
pontefice. Sollecitazioni e incitamenti del pontefice al re di Francia. Trattative
del pontefice anche col re d'Inghilterra. Trattative col duca di Ferrara.
Ma in Italia
l'essere pervenuto in potestà di Cesare il castello di Milano pareva che avesse
variato molto dello stato della guerra; essendo necessario, come diceva il duca
di Urbino, fare nuovi disegni e nuove deliberazioni, come si arebbe avuto a
fare se al principio non fusse stato in mano di Francesco Sforza il castello.
Con la quale occasione, il dì medesimo che fu fatta la dedizione, discorrendo al
luogotenente del pontefice e al proveditore veneto lo stato delle cose,
soggiunse bisognare uno capitano generale di tutta la lega, al quale fusse
commesso il governo degli eserciti; né dimandare questo più per sé che per
altri, ma avere bene deliberato di non prendere più, senza questa autorità,
pensiero alcuno se non di comandare alle genti viniziane; ricercandogli lo
significassino a Roma e a Vinegia: dalla quale dimanda, fatta in tempo tanto
importuno e con grandissima iracondia del pontefice, per rimuoverlo fu
necessario che il senato viniziano mandasse in campo Luigi Pisano, gentiluomo
di grande autorità; per opera del quale si moderò, più presto alquanto che si
estinguesse, questo ardore. Ma quanto al modo del procedere in futuro nella
guerra, si deliberò che l'esercito non si rimovesse di quello alloggiamento
insino a tanto venissino i svizzeri i quali si soldavano col nome e per mezzo
del re di Francia; alla venuta de' quali affermava il duca essere necessario
fare due alloggiamenti da due bande diverse intorno a Milano, non per assaltare
né per tentare di sforzarlo ma per farlo cadere per mancamento delle
vettovaglie, il che diceva confidare potere succedere in termine di tre mesi:
ribattendo sempre caldamente l'opinione di quegli che consigliavano che, fatti
che fussino questi alloggiamenti, si tentasse di espugnare quella città;
perché, essendo la lega potentissima di danari e avendone gli imperiali
grandissima difficoltà, tutte le ragioni promettevano la vittoria della
impresa, nessuna fare timore del contrario se non il desiderio di accelerarla,
perché col tempo e con la pazienza consumandosi gli avversari non poteva
mancare che le cose non si conducessino a felice fine. Ed essendogli qualche
volta risposto, il discorso essere verissimo ogni volta che si potesse stare
sicuro che di Germania non venisse soccorso di nuovi fanti (il quale quando
venisse, tale che gli imperiali potessino uscire alla campagna, non si potere
negare che le cose restassino totalmente sottoposte allo arbitrio della fortuna),
replicava, in quello caso promettersi la vittoria non manco certa, perché
conoscendo la caldezza di Borbone giudicava che ogni volta che e' si reputasse
pari di forze allo esercito de' confederati si spignerebbe tanto innanzi che e'
darebbe a loro occasione di avere con facilità qualche prospero successo che
accelererebbe la vittoria. Ma perché, per le difficoltà che si intendevano
essere nella condotta de' svizzeri, si dubitava che la venuta loro non tardasse
molti dì, e però essere molto dannosa la perdita di tanto tempo, fu deliberato,
per consiglio principalmente del duca di Urbino e instando anche al medesimo il
duca di Milano, di mandare subito Malatesta Baglione, con trecento uomini
d'arme trecento cavalli leggieri e cinquemila fanti, alla espugnazione di
Cremona; impresa giudicata facile, perché vi erano dentro poco più di cento
uomini d'arme dugento cavalli leggieri mille elettissimi fanti tedeschi e
trecento spagnuoli, pochissime artiglierie e minore copia di munizioni, non
molta vettovaglia, il popolo della città, benché invilito e sbattuto, inimico,
il castello contrario; il quale benché fusse stato separato dalla città con una
trincea, nondimeno, per relazione di Annibale Picinardo castellano, si poteva
sperare di torgli i fianchi, e però facilmente di espugnarla. Andò Malatesta
con questi consigli a Cremona: per la partita del quale essendo diminuite le
genti dello esercito, non stava il duca di Urbino con leggiero sospetto che le
genti che erano in Milano non assaltassino una notte gli alloggiamenti, tanto
erano lontane le cose dalla speranza della vittoria. Commettevansi nondimeno
spessissime scaramuccie, per ordine di Giovanni de' Medici; nelle quali benché
apparisse molto la sua ferocia e la sua virtù, e il valore de' fanti italiani
stati oscuri insino che cominciorno a essere retti da lui; nondimeno non
giovavano, anzi più presto nocevano, alla somma della guerra, per le frequenti
uccisioni de' fanti esercitati e di maggiore animo.
Ma in questo
mezzo i successi avversi delle cose avevano indebolito molto dell'animo del
pontefice, non bene proveduto di danari alla lunghezza, la quale già appariva,
della guerra, né disposto a provederne con quegli modi che ricercava la
importanza delle cose, e co' quali erano soliti a provederne gli altri
pontefici, non era bene sicuro della fede del duca di Urbino, né confidava
molto della sua virtù: ricevuta anche grandissima alterazione che nella
declinazione delle cose avesse dimandato il capitanato generale, onore solito a
dimandarsi più presto per premio della vittoria. Ma lo turbava ancora molto più
il non si vedere che gli effetti del re di Francia corrispondessino alle
obligazioni della lega, e a quello che ciascuno si era promesso di lui. Perché,
oltre all'essere proceduto molto lentamente al pagamento de' quarantamila
ducati per il primo mese, e la tardità usata alle provisioni necessarie per la
espedizione de' svizzeri, non si vedeva preparazione alcuna per dare principio
a muovere la guerra di là da' monti, allegando essere necessario che prima si
facesse la intimazione a Cesare, secondo che si disponeva per i capitoli della
confederazione; perché, facendo altrimenti, il re di Inghilterra, il quale
aveva lega particolare con Cesare a difensione comune, per avventura lo
aiuterebbe, ma fatta la intimazione cesserebbe questo rispetto; e che però
prontamente moverebbe la guerra, e sperava che il re di Inghilterra farebbe il
medesimo: il quale prometteva, subito che fusse fatta la intimazione,
protestare a Cesare, e dipoi entrare nella confederazione fatta a Cugnach.
Procedeva anche il re freddamente a preparare l'armata marittima, e, quel che
manifestava più l'animo suo, tardavano molto a passare i monti le cinquecento
lancie le quali era obligato a mandare in Italia. E benché si allegasse
procedere questa tardità o dalla negligenza de' franzesi o dalla impotenza de'
danari e dal credito perduto negli anni prossimi co' mercatanti di Lione, o
dallo essere le genti d'arme in grandissimo disordine per il danno ricevuto
nella giornata di Pavia, e perché da poi avevano avuto niuno o pochissimi
denari, in modo che, avendosi a rimettere quasi del tutto in ordine, non
potevano espedirsi senza lunghezza di tempo, nondimeno chi considerava più
intrinsecamente i progressi delle cose cominciava a dubitare che il re avesse
più cara la lunghezza della guerra che la celerità della vittoria, dubitando
(com'è piccola la fede e confidenza che è tra' prìncipi) che gli italiani,
ricuperato che avessino il ducato di Milano, tenendo piccolo conto degli
interessi suoi, o non facessino senza lui concordia con Cesare o veramente
fussino negligenti a travagliarlo in modo che avesse a restituirgli i
figliuoli. Accresceva la sospensione del pontefice che il re di Inghilterra,
ricercato di entrare nella confederazione, della quale era stato confortatore,
non corrispondendo alle persuasioni e promesse che aveva fatto prima,
dimandava, più presto per interporre dilazione che per altra cagione, che i
confederati si obligassino a pagargli i danari dovutogli da Cesare, e che lo
stato e l'entrata promessagli nel regno di Napoli si trasferisse nel ducato di
Milano. Temeva anche il pontefice che i Colonnesi, i quali con vari moti lo
tenevano in continuo sospetto, con le forze del reame di Napoli non
l'assaltassino. Però, raccolte insieme tutte le difficoltà, tutti i pericoli,
faceva instanza co' collegati che, oltre al sollecitare ciascuno per la sua
parte le provisioni terrestri e marittime espresse ne' capitoli della lega, si
assaltasse comunemente il regno di Napoli con mille cavalli leggieri e
dodicimila fanti e con qualche numero di gente d'arme; giudicando, per gli
effetti succeduti insino a quel dì, che le cose non potessino succedere
prosperamente se Cesare non fusse molestato in altro luogo che nel ducato di
Milano.
Per le quali
cagioni mandò al re di Francia Giovambatista Sanga romano, uno de' suoi
secretari, per incitarlo a pigliare la guerra con maggiore caldezza,
dimostrandogli quanto esso si trovasse esausto e impotente a continuare nelle
spese medesime se non era anche soccorso da lui di qualche quantità di denari:
che, non ostante che nella confederazione non fusse stato trattato di assaltare
il reame di Napoli mentre durava la guerra di Lombardia, si disponesse a fare
questa impresa di presente; alla quale benché i viniziani, per non si aggravare
di tante spese, avessino da principio fatto difficoltà, nondimeno, vinti dalla
sua instanza, avevano consentito di concorrervi, eziandio senza il re ma con
tanto minore numero di gente quanto importava la sua porzione: che il re per
questa cagione, oltre alle cinquecento lance, alle quali aveva disegnato per
capo il marchese di Saluzzo, mosso più, secondo diceva, dalla buona fortuna che
dalla virtù dell'uomo, mandasse altre trecento lance in Lombardia, per poterne
trasferire una parte nel reame di Napoli: che si sollecitasse la venuta
dell'armata di mare, o per strignere con essa Genova o per voltarla al regno di
Napoli; la quale benché dai franzesi fusse spedita con la medesima lentezza che
si spedivano l'altre provisioni, nondimeno si andava continuamente
sollecitando. Ed era l'armata del re quattro galeoni e sedici galee sottili, i
viniziani tredici galee, il papa undici; della quale tutta era deputato
capitano generale, a instanza del re, Pietro Navarra, non ostante che il papa
avesse avuta più inclinazione a Andrea Doria. Fu oltre a tutte queste [cose]
commesso al Sanga, secretissimamente, che tentasse il re a fare la impresa di
Milano per sé, per dargli cagione che con tutte le forze sue si risentisse alla
guerra.
Ebbe anche il
Sanga commissione di andare poi al re di Inghilterra, per domandargli sussidio
di denari: con ciò sia che quel re, che da principio desiderava tanto la guerra
contro a Cesare che se la lega si fusse trattata in Inghilterra, come egli ed
Eboracense desideravano, si crede sarebbe entrato nella confederazione; ma non
avendo patito il tempo e la necessità del castello di Milano che si facesse
lunga pratica, poiché vidde fatta la lega per gli altri, gli parve potersi stare
di mezzo come spettatore e giudice.
Trattava anche
il pontefice, stimolato da' viniziani e non meno dal re di Francia, il quale a
questo effetto aveva mandato il vescovo di Baiosa a Ferrara, di comporre le
differenze con quello duca, benché più presto in apparenza che in effetto;
opponendogli diversi partiti, e tra gli altri di dargli Ravenna in contracambio
di Modona e di Reggio: cosa disprezzata dal duca, non solo perché, avendo già
preso animo dalla ritirata dello esercito dalle porte di Milano, si rendeva più
difficile che il solito a' partiti propostigli, e a questo di Ravenna
specialmente; e per essere molto diverse le entrate, e perché questo gli pareva
mezzo da farlo venire, a qualche tempo, in contenzione co' viniziani.
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