XVI. Fazione di Borgoforte; ferita e morte di Giovanni de' Medici. Scontro
delle flotte nemiche vicino a Codemonte; la flotta di Cesare a Gaeta. Marcia
dell'esercito tedesco; truppe imperiali inviate da Milano a Pavia.
Provvedimenti difensivi dei collegati; i tedeschi alla Trebbia.
Si era insino a
ora stato in ambiguo quale dovesse essere il cammino de' tedeschi: perché si
credette prima che per il bresciano e per il bergamasco andassino alla volta di
Adda, con disegno di essere incontrati dalle genti imperiali, e accompagnati
con loro andarsene a Milano; erasi creduto di poi volessino passare Po a
Casalmaggiore e di quivi trasferirsi alla via di Milano. Ma essendo a' ventidua
dì venuti a Rivalta, otto miglia da Mantova tra il Mincio e Oglio (nel quale dì
alloggiò il duca a Prato Albuino), e non avendo passato il Mincio a Goito, dava
indizio volessino passare il Po a Borgoforte o Viadana più presto che a Ostia e
nelle parti più basse, e passando a Ostia sarebbe stato segno di pigliare il
cammino di Modena e di Bologna; dove, nell'uno luogo e nell'altro, si soldavano
fanti e facevano provisioni. Preseno dipoi i tedeschi, a' ventiquattro, la via
di Borgoforte; dove, non avendo loro artiglieria, arrivorono quattro
falconetti, mandati loro per Po dal duca di Ferrara: aiuto in sé piccolo ma che
riuscì grandissimo per benefizio della fortuna. Perché essendo il duca di
Urbino, seguitandogli, entrato nel serraglio di Mantova nel quale erano ancora
loro, corse, nell'accostarsi a Borgoforte, alla coda loro, benché con poca speranza
di profitto, Giovanni de' Medici co' cavalli leggieri; e accostatosi più
arditamente perché non sapeva che avessino avute artiglierie, avendo essi dato
fuoco a uno de' falconetti, il secondo tiro roppe la gamba alquanto sopra al
ginocchio a Giovanni de' Medici; del quale colpo, essendo stato portato a
Mantova, morì pochi dì poi, con danno gravissimo della impresa, nella quale non
erano state mai dagli inimici temute altre armi che le sue. Perché, se bene
giovane di ventinove anni e di animo ferocissimo, la esperienza e la virtù
erano superiori agli anni e, mitigandosi ogni dì il fervore della età e
apparendo molti indizi espressi di industria e di consiglio, si teneva per
certo che presto avesse a essere nella scienza militare famosissimo capitano. Camminorono
dipoi i tedeschi, non infestati più da alcuno, lasciato indietro Governo, alla
via di Ostia lungo il Po, essendo il duca d'Urbino a Borgoforte; e a' venti
otto dì, passato il Po a Ostia, alloggiorono a Revere: dove, soccorsi di
qualche somma di denari dal duca di Ferrara e di alcuni altri pezzi di
artiglieria da campagna, essendo già in tremore grandissimo Bologna e tutta la
Toscana, perché il duca di Urbino, ancoraché innanzi avesse continuamente
affermato che passando essi Po lo passerebbe ancora egli, se ne era andato a
Mantova, dicendo volere aspettare quivi la commissione del senato viniziano se
aveva a passare Po o no. Ma i tedeschi, passato il fiume della Secchia, si
volseno al cammino di Lombardia per unirsi con le genti che erano a Milano.
Nel quale
tempo, il viceré partito da Corsica con venticinque vaselli, perché due [navi]
erano, per l'ira del mare, innanzi arrivasse a San Firenze, andate a traverso e
cinque sferrate dalle altre andavano vagando, riscontrò a' ventidue dì, sopra
Sestri di Levante, con sei galee del re di Francia cinque del Doria e cinque
de' viniziani; le quali appiccatesi insieme, sopra Codemonte, combatterono da
ventidue ore del dì, insino alla notte: e scrisse il Doria avere buttato in
fondo una loro nave dove erano più di trecento uomini, e con l'artiglieria
trattata male tutta l'armata; e che per il tempo tristo le galee erano state
sforzate a ritirarsi sotto il monte di Portofino, e che aspettavano la notte
medesima l'altre galee che erano a Portovenere; e venendo o non venendo
volevano, alla diana, andare a cercarla. Nondimeno, benché la seguitassino
insino a Livorno, non potetteno raggiugnerla perché si era dilungata dinanzi a
loro per molte miglia: conciossiaché gli inimici, credendo fusse corso o in
Corsica o in Sardigna, non furono presti a seguitarlo. Seguitò poi il cammino
suo il viceré, ma travagliato dalla fortuna; sparsa l'armata sua: una parte,
dove era don Ferrando da Gonzaga, stracorse in Sicilia, che dipoi si ridusseno
a Gaeta, dove poseno in terra certi fanti tedeschi; egli col resto dell'armata
arrivò al Porto di Santo Stefano. Donde, non avendo certezza de' termini in che
si trovassino le cose, mandò a Roma al pontefice il comandatore Pignalosa, con
buone parole della mente di Cesare; egli, come il mare lo permesse, si condusse
con l'armata a Gaeta.
I fanti
tedeschi intanto, passata Secchia e andati verso Razzuolo e Gonzaga,
alloggiorono il terzo di dicembre a Guastalla, il quarto a Castelnuovo e Povi
lontano dieci miglia da Parma; dove si congiunse con loro il principe di
Oranges, passato da Mantova con due compagni, a uso di archibusiere privato. A'
cinque, passato il fiume dell'Enza al ponte in su la strada maestra,
alloggiorno a Montechiarucoli, standosi ancora il duca d'Urbino, non mosso da'
pericoli presenti, a Mantova con la moglie; e a' sette, i tedeschi passato il
fiume della Parma alloggiorno alle ville di Felina, essendo le pioggie grandi e
i fiumi grossi. Erano trentotto bandiere, e per lettere intercette del capitano
Giorgio al duca di Borbone, si mostrava molto irresoluto di quello avesse a
fare. Passorono agli undici dì il Taro, alloggiorono a' dodici al Borgo a San
Donnino, dove contro alle cose sacre e l'immagini de' santi avevano dimostrato
il veleno luterano; a' tredici a Firenzuola, donde con lettere sollecitavano
quegli di Milano a congiugnersi con loro: ne' quali era il medesimo desiderio,
ma gli riteneva il mancamento de' denari, perché gli spagnuoli minacciavano non
volere uscire di Milano se non erano pagati del vecchio, e già cominciavano a
saccheggiare. Ma finalmente furono accordati, con difficoltà, da' capitani in
cinque paghe: per le quali fu necessario spogliare le chiese degli argenti e
incarcerare molti cittadini. E secondo gli pagavano gli mandavano a Pavia, con
difficoltà grandissima perché non volevano uscire di Milano. Le quali cose
ricercando tempo, mandorono di là da Po, per accostarsi a' tedeschi, alcuni
cavalli e fanti italiani.
Aveva fatta
instanza il luogotenente che, per sicurtà dello stato della Chiesa da quella
banda, il duca di Urbino passasse Po con le genti viniziane, il quale non solo
aveva differito, ora dicendo aspettare avviso della volontà de' viniziani ora
allegando altre cagioni, ma dimostrando al senato essere pericolo che, passando
egli il Po, gli imperiali non assaltassino lo stato loro, aveva ottenuto gli
commettessino che non passasse; anzi aveva intrattenuto più dì i fanti che
erano stati di Giovanni de' Medici, sollecitati dal luogotenente a passare Po
per difesa delle cose della Chiesa. E avendo il marchese di Saluzzo, richiesto
dal luogotenente di soccorso, passato Adda, mosso ancora perché, essendo
diminuiti i svizzeri e i fanti grigioni, gli pareva essere debole nello
alloggiamento di Vauri, i viniziani, che prima avevano consentito che 'l
marchese passasse Po in soccorso del pontefice con diecimila fanti tra svizzeri
e i suoi, pagati da loro de' quarantamila ducati del re di Francia (de' quali
ricevere e spendere restata la cura a loro, quando il pontefice fece la tregua,
era sospizioni, e fu poi molto maggiore, che ne convertissino nel pagamento
delle genti loro qualche parte), lo pregavano, per consiglio del duca di
Urbino, che non passasse; e perciò il duca, chiamatolo a parlamento a Sonzino,
soprastette tanto a venirvi che il marchese si partì; nondimeno, non solo fece
ogni opera di farlo soprastare, per vedere meglio che facessino i tedeschi, ma
eziandio lo confortò apertamente a non passare. A che lo ritardava anche che i
pagamenti de' svizzeri, che in condotta erano seimila ma in fatto poco più di
quattromila, non erano in ordine: i quali pagare, insieme co' quattromila fanti
del marchese, apparteneva a' viniziani. Per la quale cagione se bene si
differisse insino al vigesimo settimo di dicembre il passare suo, mandò
nondimeno parte della cavalleria franzese con qualche fante ad alloggiare in
diversi luoghi del paese, per disturbare le vettovaglie a' fanti tedeschi,
stati già molti dì a Firenzuola. Per quella cagione medesima fu mandato Guido
Vaina con cento cavalli leggieri al Borgo a San Donnino, e Paolo Luzasco uscito
di Piacenza si accostò a Firenzuola; donde una parte de' tedeschi, per più
comodità del vivere, andò ad alloggiare a Castello Arquà. Per sospetto de'
quali si era prima proveduta Piacenza, ma non con quelle forze le quali
parevano convenienti; perché il luogotenente, avendo sempre, dopo la venuta de'
tedeschi, temuto che la difficoltà del fare progresso in Lombardia non
sforzasse gli imperiali al passare in Toscana, desiderava pigliassino animo di
andare a campo a Piacenza. Per la quale cagione, incognita a qualunque altro,
eziandio al pontefice, differiva il provedere Piacenza talmente che si
disperassino di espugnarla, provedendola perciò in modo non potessino occuparla
con facilità, e sperando che quando v'andassino non avesse a mancare modo di
mettervi soccorso. Ma la lunga dimora de' tedeschi ne' luoghi vicini,
esclamando ciascuno del pericolo di quella città, lo costrinse a consentire che
vi andasse il conte Guido con grossa gente: dove anche per ordine de'
viniziani, che avevano promesso, per soccorrere alle necessità del pontefice,
mandarvi a guardia mille fanti, vi fu mandato Babone di Naldo, uno de' loro
capitani; ma per i mali pagamenti tornorono presto a quattrocento. Passò
finalmente Saluzzo, non avendo in fatto più che quattromila tra svizzeri e
grigioni e tremila fanti de' suoi; e condotto al Pulesine, ancora che si
desiderasse non partisse di quivi per infestare lo alloggiamento di Firenzuola,
dove anche spesso scorreva il Luzasco, si ridusse per più sicurtà a Torricella
e a Sissa. Ma due dì poi i tedeschi, partiti da Firenzuola, andorono a
Carpineti e luoghi circostanti; e il conte di Gaiazzo, presa Rivolta, passò la
Trebbia: né si intendeva quale fusse il disegno del duca di Borbone, o di
andare a campo a Piacenza, come fusse uscito di Milano, o pure passare innanzi
alla volta di Toscana. Passorono poi, l'ultimo dì dell'anno, i tedeschi la
Nura, per passare la Trebbia e aspettare quivi Borbone, essendo alloggiamento
manco infestato dagli inimici.
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