XVIII. Resa di Monopoli ai veneziani. Il duca di Ferrara invia il figliuolo
in Francia per la perfezione del matrimonio. Raccolta di nuove milizie
imperiali da inviarsi in Italia; provvedimenti dei collegati per far fronte ad
esse. Miserrime condizioni e sofferenze dei milanesi; defezione del castellano
di Mus. Il Lautrech nella Campania; la flotta dei Doria davanti al porto di
Napoli; l'esercito dei collegati sotto le mura della città.
Erasi in questo
tempo Monopoli arrenduto a' viniziani, per i quali, secondo l'ultime
convenzioni fatte col re di Francia, si acquistavano tutti quegli porti del
regno di Napoli i quali possedevano innanzi alla rotta ricevuta dal re Luigi
nella Ghiaradadda.
Indussono
queste prosperità de' franzesi il duca di Ferrara a mandare il figliuolo in
Francia, per la perfezione del matrimonio: il che prima, ricusando eziandio di
essere capitano della lega, aveva industriosamente differito.
Ma Cesare, non
provedendo con le genti di Spagna a tanti pericoli del regno napoletano, perché
da quella parte mandò solamente seicento fanti non molto utili in Sicilia,
aveva ordinato che di Germania passassino in Italia, per soccorso di quel
reame, sotto il duca di Brunsvich, nuovi fanti tedeschi; i quali si preparavano
con tanto maggiore sollecitudine quanto si intendeva essere maggiore, per i
progressi di Lautrech, la necessità del soccorso. Alla venuta de' quali per
opporsi, acciò che non perturbasse la speranza della vittoria, fu, con
consentimento comune del re di Francia del re di Inghilterra e de' viniziani,
destinato che in Italia passasse, per seguitare i tedeschi se andavano nel
reame di Napoli, se non per fare la guerra con le genti de' viniziani e di
Francesco Sforza contro a Milano, Francesco monsignore di San Polo della
famiglia di Borbone, con quattrocento lance cinquecento cavalli leggieri
cinquemila fanti franzesi dumila svizzeri e dumila tedeschi: alla spesa del
quale esercito, che si disegnava di sessantamila ducati il mese, concorreva il
re di Inghilterra con trentamila ducati ciascuno mese. E i viniziani avevano
fatto, nel consiglio de' pregati, decreto di soldare diecimila fanti: aiuto
molto incerto e molto lento perché, secondo l'uso loro, non succedeva così
presto il soldare al deliberare. Tardava il muoversi, poi che erano soldati;
mossi che erano, restava la difficoltà, quasi inestricabile, del passare i
fiumi; e ultimamente, il volere mettersi al pericolo di uscire alla campagna e
lo impedire i passi de' monti, per l'esperienze passate, era difficile, perché
avevano infiniti modi e vie da passare. Però il duca di Ferrara consigliava non
si tentasse neanche di combattergli in campagna, per essere gente animosa ed
efferata, ma che con uno esercito grosso gli andassino secondando, per impedire
loro le vettovaglie e l'unirsi con le genti che erano in Milano.
Nella quale
città, per l'acerbità di Antonio de Leva, era estremità e suggezione
miserabile; perché, per provedere a' pagamenti de' soldati, aveva tirato in sé
tutte le vettovaglie della città, delle quali, fatti fondachi publichi e
vendendole in nome suo, cavava i denari per i pagamenti loro; essendo costretti
tutti gli uomini, per non morire di fame, di pagarle a' prezzi che paresse a
lui: il che non avendo la gente povera modo di poterlo fare, molti perivano
quasi per le strade. Né bastando anche questi denari a' soldati tedeschi che
erano alloggiati per le case, costrignevano i padroni ogni dì a nuove taglie,
tenendo incatenati quegli che non pagavano: e perché, per fuggire queste
acerbità e pesi intollerabili, molti erano fuggiti e fuggivano continuamente
della città, non ostante l'asprezza de' comandamenti e la diligenza delle
guardie, si procedeva contro agli assenti alle confiscazioni de' beni; che
erano in tanto numero che, per fuggire il tedio dello scrivere, si mettevano in
stampa. Ed era stretta in modo la vettovaglia che infiniti poveri morivano di fame,
i nobili male vestiti e poverissimi; e i luoghi già più frequenti, pieni di
ortiche e di pruni. E nondimeno, a chi era autore di tante acerbità e di tanti
supplizi succedevano tutte le cose felicemente: perché essendo il castellano di
Mus accampatosi a Lecco come soldato della lega, con seicento fanti, e tolte le
navi, perché gli spagnuoli che erano in Como non potessino soccorrerlo per la
via del lago, Antonio de Leva, chiamati i fanti di Novara, uscito di Milano, si
fermò a quindici miglia di Milano co' tedeschi; ed espugnata la rocca di Olgina
che è in ripa di Adda, stata presa prima da Mus, mandò Filippo Torniello co'
fanti italiani e spagnuoli a soccorrere Lecco, che è in su l'altra ripa del
lago; dove Mus, con aiuti fatti venire da' viniziani e dal duca di Milano, e
con artiglieria avuta da' viniziani, aveva preso tutti i passi e
fortificatogli, che per l'asprezza de' luoghi e de' monti sono difficili. Ma
gl'imperiali, occupato allo opposito il monte imminente a Lecco, poi che ebbeno
fatto pruova invano di passare in più luoghi, sforzorno finalmente dove le
genti de' viniziani guardavano; le quali Mus, o per confidare manco nella virtù
loro o per mettergli in manco pericolo, aveva, posto ne' luoghi più aspri. Però
Mus, con l'artiglieria e co' suoi salito in su le navi, salvò la gente; non
stando senza sospetto che i viniziani avessino fatto leggiera difesa per
gratificare al duca di Milano, al quale non piaceva che egli pigliasse Lecco: e
poco poi, per conseguire con la concordia quello che non aveva potuto
conseguire con l'armi, passato nelle parti imperiali, ebbe, per virtù
dell'accordo, Lecco e altri luoghi da Antonio de Leva, ottenuto anche da
Ieronimo Morone, che per lettere era stato autore di questa pratica, la
cessione delle sue ragioni. Dal quale accordo ebbe Antonio de Leva, nella
strettezza della fame, grandissima comodità di vettovaglie e di danari; perché
il castellano, il quale aspirando a concetti più alti assunse poi il titolo di
marchese, pagò trentamila ducati, e a Milano mandò tremila sacca di frumento.
Procedeva
intanto Lautrech, e a' tre di aprile era a Rocca Manarda, lasciati a guardia di
Puglia cinquanta uomini d'arme dugento cavalli leggieri mille cinquecento in
dumila fanti, tutte genti de' viniziani: dove non si teneva altro che
Manfredonia in nome di Cesare. Ma l'esercito imperiale, risoluto di attendere
(abbandonato tutto il paese circostante) [a difendere] Napoli e Gaeta, poi che,
per tôrre alimenti agli inimici, ebbe saccheggiato Nola e condotto a Napoli le vettovaglie
che erano in Capua, alloggiò in sul monte di San Martino, donde di poi entrò in
Napoli con diecimila fanti tra tedeschi e spagnuoli, e licenziati tutti i fanti
italiani, eccetto secento i quali militavano sotto Fabrizio Maramaus, perché
Sciarra Colonna co' fanti suoi era andato nell'Abruzzi. Restorono in Napoli
pochissimi abitatori, perché tutti quegli che avevano o facoltà o qualità si
erano ritirati a Ischia a Capri e altre isole vicine: dicevasi esservi frumento
per poco più di due mesi, ma di carne e di strami piccola quantità.
Arrenderonsi a Lautrech Capua, Nola, l'Acerra, Aversa e tutte le terre
circostanti. Il quale dimorò con l'esercito quattro dì alla badia dell'Acerra
distante sette miglia da Napoli, essendo proceduto e procedendo lentamente per
aspettare le vettovaglie impedite da' cattivi cammini e dalle pioggie per le
quali era la campagna piena d'acqua; bisognandogli provederne quantità
grandissima perché era fama che nello esercito suo, secondo la corruttela
moderna della milizia, fussino più di ventimila cavalli e di ottantamila
uomini, i due terzi gente inutile: e di quivi mandò alla impresa della Calavria
Simone Romano, con cento cinquanta cavalli leggieri e cinquecento côrsi, non
pagati, venuti del campo imperiale. E già Filippino Doria, con otto galee di
Andrea Doria e due navi, venuto alla spiaggia di Napoli, aveva preso una nave
carica di grani, e fatto con l'artiglierie sdiloggiare gl'imperiali dalla
Maddalena; e benché poco di poi pigliasse due altre navi cariche di grani, e fusse
cagione di molte incomodità agli inimici, nondimeno non bastavano le sue galee
sole a tenere totalmente assediato il porto di Napoli. Perciò Lautrech
sollecitava le sedici galee de' viniziani che venissino a unirsi con quelle; le
quali, dopo essersi lentamente rimesse in ordine a Corfù, erano venute nel
porto di Trani: ma esse, benché già si fussino arrendute loro le città di Trani
e di Monopoli, preponendo i negozi propri agli alieni, benché dalla vittoria di
Napoli dependessino tutte le cose, ritardavano, per pigliare prima Pulignano,
Otranto e Brindisi. A' diciassette, Lautrech a Caviano, cinque miglia presso a
Napoli; e il dì medesimo gl'imperiali che abbondavano di cavalli leggieri,
dimostrandosi maggiore la sollecitudine e la diligenza per la negligenza de'
franzesi, tolseno loro le vettovaglie, delle quali pativano; e avevano
fortificato Santo Erasmo, posto nella sommità del monte di San Martino, per
tôrlo a' franzesi, essendo cavaliere a Napoli da poterlo danneggiare assai con
l'artiglieria, e perché, essendo padroni di quel monte, impedivano che quasi
alla maggiore parte della città non si potevano accostare i franzesi. A' quali
dette qualche speranza di discordia tra gli inimici l'avere il marchese del
Guasto, pure per cause private, ferito il conte di Potenza e ammazzatogli il
figliuolo. A' ventuno, a Casoria, a tre miglia di Napoli in su la via di
Aversa: nel quale dì si scaramucciò sotto le mura di Napoli, e vi fu morto
Migliau, quello che aveva accerrimamente contradetto alla liberazione del
pontefice; della quale aveva esso medesimo portata la commissione di Cesare a'
capitani. A' ventidue, a uno miglio e mezzo di Napoli; dove Lautrech proibì lo
scaramucciare come inutile: e già se gli era arrenduto Pozzuolo. Finalmente, il
penultimo dì di aprile, pervenuto alla città di Napoli, alloggiò l'esercito tra
Poggio Reale, palazzo molto magnifico, edificato da Alfonso secondo di Aragona,
quando era duca di Calavria, e il monte di San Martino; distendendosi le genti
insino a mezzo miglio di Napoli; la persona sua più innanzi di Poggioreale alla
masseria del duca di Montealto: nel quale luogo si era fortificato allargandosi
verso la via di Capua: alloggiamento fatto in sito molto forte, e dal quale si
impediva a Napoli la comodità degli aquedotti che si partono da Poggio Reale;
donde disegnava fare poi un altro alloggiamento più innanzi, in sul colle che è
sotto il monte di Santo Ermo, per tôrre più le comodità a Napoli, e molestare
di luogo più propinquo la città. Delle quali cose per intelligenza più chiara,
pare necessario descrivere il sito della città di Napoli e del paese
circostante.
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