VII. Provvedimenti dei collegati per continuare la guerra nel regno di
Napoli; atti di terrore ed esazioni del principe d'Oranges; fazioni di guerra.
Indizi di disposizione alla pace; riconquiste del principe d'Oranges negli
Abruzzi. Promesse del pontefice ai collegati e sue trattative con Cesare.
Posizione degli eserciti in Puglia. Vani tentativi degli imperiali contro
Monopoli. Nuove fazioni di guerra.
Ma in questo
tempo il reame napoletano non era perciò, per la rotta de' franzesi, liberato
interamente dalle calamità della guerra. Perché Simone Romano, raccolte di
nuovo genti, aveva preso Nola, Oriolo e Amigdalara, poste in sul mare nel
braccio dello Apennino; e unitosi con lui Federico Caraffa, mandato dal duca di
Gravina con mille fanti e molti altri del paese, aveva esercito non
contennendo: ma dopo la vittoria degli imperiali intorno a Napoli, abbandonato
dalle genti del duca di Gravina, saccheggiata Barletta (nella quale città fu
intromesso per la rocca), si fermò quivi; tenendosi nel tempo medesimo per i
viniziani Trani guardato da Cammillo, e Monopoli guardato da Giancurrado,
tutt'a due della famiglia degli Orsini. Vennonvi poi Renzo da Ceri e il
principe di Melfi con mille fanti; i quali, essendosi ridotti tra Nocera e
Gualdo, e dipoi partitisi per comandamento del pontefice (il quale non voleva
offendere l'animo de' vincitori), imbarcatisi a Sinigaglia, si condussono per
mare a Barletta, con intenzione di rinnovare la guerra in Puglia; cosa
deliberata con consentimento comune de' collegati, perché l'esercito imperiale
fusse necessitato a fermarsi nel regno di Napoli insino alla primavera: al
quale tempo si ragionava di fare per la salute comune nuove provisioni. Però il
re di Francia mandò a Renzo soccorso di danari; e i viniziani, desiderando il
medesimo, eziandio per ritenere più facilmente con gli aiuti degli altri le
terre occupate nella Puglia, offerivano di accomodarlo di dodici galee, ma
instando che essi le armassino, e che la spesa si computasse negli ottantamila
ducati a' quali erano tenuti per la contribuzione promessa a Lautrech, non
udivano; e il re di Inghilterra prometteva di non mancare delle provisioni
ordinarie, e i fiorentini si erano composti di pagare la terza parte delle
genti vi aveva condotte Renzo. Non erano pronti a estinguere questo incendio
gli imperiali, occupati in esigere de' danari, per sodisfare a' soldati de'
pagamenti decorsi: le quali esazioni per fare più facili, e per assicurare il
reame con gli esempli della severità, fece il principe di Oranges decapitare
publicamente in sulla piazza del mercato di Napoli, dove era la peste grande,
Federigo Gaetano figliuolo del duca di Traietto ed Enrico Pandone duca di
Boviano nato di una figliuola di Ferdinando vecchio re di Napoli, e quattro
altri napoletani; usando ancora simili supplìci in altri luoghi del regno. Col
quale esempio spaventati gli animi di ciascuno, procedendo contro agli assenti
che avevano seguitato i franzesi, e confiscando i loro beni, gli componevano
poi in danari; non pretermettendo acerbità alcuna per esigerne maggiore
quantità potessino. Le quali cose tutte si trattavano da Ieronimo Morone, al
quale in premio delle opere sue fu donato il ducato di Boviano. Aggiunsesi a
questi movimenti che nello Abruzzi Giaiacopo Franco entrò per il re di Francia
nella Matrice, che è vicina alla Aquila: per il che tutto il paese era
sollevato, e nella Aquila si stava con sospetto; dove era Sciarra Colonna,
ammalato, con seicento fanti. Provedevano anche i viniziani le cose di Puglia,
e mandando per mare alcuni cavalli leggieri per fornire Barletta dettono a
traverso in parte della spiaggia di Barletta e di Trani, dove il proveditore
loro annegò, che era montato in su uno battello; i cavalli, de' quali era capo
Giancurrado Orsino, maltrattati detteno nelle mani degl'imperiali; e Giampaolo
da Ceri, che roppe presso al Guasto, restò prigione del marchese. Dettesi,
nella fine dell'anno, l'Aquila alla lega, per opera del vescovo di quella città
e del conte di Montorio e d'altri fuorusciti; a che dette causa l'essere
maltrattata dagl'imperiali.
Seguita l'anno
mille cinquecento ventinove; nel principio del quale cominciò ad apparire
qualche indizio di disposizione, da qualunque parte, alla pace; dimostrando di
volerla trattare appresso al pontefice: perché sapendosi che il cardinale di
Santa Croce (così era il titolo del generale spagnuolo) andava a Roma con
mandato di Cesare a potere conchiudere la pace, il re di Francia che ne aveva
sommo desiderio spedì il mandato agl'imbasciadori suoi, e il re di Inghilterra
mandò imbasciadori a Roma per la medesima cagione. Le quali pratiche, aggiunte
alla stracchezza de' prìncipi, facevano che i collegati alle provisioni della
guerra procedevano lentamente. Perché e in Lombardia era il maggiore pensiero se
gli spagnuoli, venuti a Genova, arebbeno facoltà di passare a Milano (donde per
mancamento, di denari erano partiti quasi tutti i tedeschi); a' quali condurre
andato il Belgioioso con cento cavalli insino a Casé, passò di quivi
sconosciuto a Genova, donde condusse i fanti a Savona per raccôrre cinquecento
fanti venuti di nuovo di Spagna e sbarcati a Villafranca. Ma nel regno di
Napoli, dubitando gli imperiali che la rebellione dell'Aquila e della Matrice,
e la testa fatta in Puglia, non partorissino cosa di maggiore momento,
deliberorno voltare alla espugnazione di quegli luoghi le genti che aveano:
però fu deliberato che 'l marchese del Guasto andasse co' fanti spagnuoli alla
recuperazione delle terre di Puglia, e il principe co' fanti tedeschi andasse alla
recuperazione dell'Aquila e della Matrice. Il quale come si accostò all'Aquila,
quegli che erano nell'Aquila se ne uscirono, e Oranges compose la città e tutto
il suo contado in centomila ducati; tolta ancora la cassa di argento, la quale
Luigi decimo re di Francia aveva dedicata a san Bernardino. Di quivi mandò
gente alla Matrice, dove era Cammillo Pardo con quattrocento fanti, che se ne
era uscito prima con promessa di tornare; ma o temendo perché non vi era vino e
tolto l'acqua, e discordia tra la terra e i fanti, o per altra cagione, non
solo non vi tornò ma non mandò anche loro tutti i denari che gli mandorono i
fiorentini per sostentare quel luogo: però i fanti se ne uscirono per le mura,
e la terra si arrendé. E si temeva che Oranges non passasse in Toscana a
instanza del pontefice.
In quale,
riconvaluto di pericolosissima benché breve infermità, non desisteva di
trattare e di dare speranza a ciascuno. Perché a' franzesi prometteva aderire
alla lega se gli era restituita Ravenna e Cervia, componendo eziandio con
oneste condizioni co' fiorentini e col duca di Ferrara; il quale, nel pagamento
de' danari a Lautrech, aveva affermato pagargli per sua liberalità non già
perché fusse obligato, non avendo il pontefice ratificato. Da altra parte,
avendo recuperato, benché con grossi beveraggi, per la commissione portata dal
cardinale di Santa Croce, le fortezze di Ostia e di Civitavecchia, aveva
pratiche più occulte e più fidate con Cesare; trattando più insieme le cose
particolari che le universali della pace: le quali cominciavano ad avere più
secreto e più fondato maneggio per altre mani, perché, di febbraio, uno uomo di
madama Margherita venuto in Francia, parlato che ebbe al re, passò in Spagna.
Ma in Puglia
questo era lo stato delle cose. Tenevasi Barletta per il re di Francia, nella
quale era Renzo da Ceri, e con lui il principe di Melfi, Federico Caraffa,
Simone Romano, Cammillo Pardo, Galeazzo da Farnese e Giancurrado Orsino e il
principe di Stigliano. Tenevano i viniziani Trani, Pulignano e Monopoli, avendo
in questi luoghi dumila fanti e secento cappelletti, de' quali ne erano in
Monopoli dugento. Tenevano anche il porto di Biestri. Ma a queste genti il re
di Francia, mandata che ebbe da principio piccola quantità di danari, non
faceva alcuna provisione, né aveva accettati i corpi delle dodici galee
offertigli da' viniziani; de' quali si roppono, nella spiaggia di Bestrice, tre
galee e una fusta grossa, che andavano a provedere di vettovaglie Trani e
Barletta: ma in più volte n'aveano perdute cinque, ma ricuperata l'artiglieria
e gli altri armamenti. Tenevasi ancora per i franzesi il monte di Santo Angelo,
Nardoa in terra di Otranto e Castro, dove era il conte di Dugento, e facendo la
guerra con gli uomini del regno e con le forze del paese, erano adunati in vari
luoghi molti rebelli di Cesare e molti che seguitavano come soldati di ventura
la guerra solamente per rubare; donde era più che non si potrebbe credere
miserabile la condizione del paese, sottoposto tutto a ruberie a prede a taglie
e incendi da ciascuna delle parti. Ma più che di altri erano famose le
incursioni di Simone Romano, il quale, correndo co' suoi cavalli leggieri e con
dugento cinquanta fanti per tutti i luoghi circostanti, conduceva spesso in Barletta
bestiami frumenti e altre cose di ogni sorte; talvolta, uscendo con maggiore
numero di fanti, ora per furto ora per forza saccheggiava questa e quell'altra
terra: come accadde di Canosa, nella quale terra entrato di notte con le scale
la svaligiò, e menonne molti cavalli di quaranta uomini d'arme alloggiati nel
castello. Finalmente il marchese di Guasto, non tentata Barletta terra
fortissima e bene fortificata, si pose, del mese di marzo, a campo a Monopoli
con quattromila fanti spagnuoli e dumila fanti italiani, perché i tedeschi, in
numero dumila cinquecento, fermatisi nell'Abruzzi recusorono di andare in
Puglia; e alloggiò in una valletta coperta dal monte, in modo non poteva essere
offeso dalle artiglierie della terra: nella quale Renzo mandò subito, in sulle
galee, trecento fanti.
Ha Monopoli,
terra di circuito piccolissimo, il mare da tre bande, e di verso la terra è la
muraglia di trecento o trecento cinquanta passi, col fosso intorno. A rincontro
della muraglia fece il marchese uno bastione vicino a uno tiro di archibuso, e
due altri in sul lito del mare, uno da ogni parte; ma questi tanto lontani che
battevano il mare e la porta di verso il mare, per impedire che le galee non vi
mettessino soccorso o vettovaglia. Dette, di aprile, il Guasto l'assalto a
Monopoli; dove, secondo gli avvisi di Barletta, perdé più di cinquecento uomini
e molti guastatori, e rotti tre pezzi di artiglieria; e si discostò uno miglio e
mezzo: perché i viniziani, usciti fuora, scorseno tutti i bastioni suoi,
ammazzando più di cento uomini; e l'artiglieria della terra gli danneggiava
assai, e avevano assicurato il porto con uno bastione fatto in su il lito a
rincontro del suo. E perché i viniziani non bastavano a guardare quello e
l'altre terre, Renzo aveva mandato gente a Monopoli; e una delle due galee loro
che andavano a Monopoli con fanti e vettovaglie si roppe in porto.
Accostossi di
nuovo il Guasto a Monopoli (dove era Cammillo Orsino e Giovanni Vitturio
proveditore), dove faceva due cavalieri per battere per di dentro, e trincee
per condursi in su' fossi e riempiergli con seicento carra di fascine (ma poco
poi, usciti di Monopoli dugento fanti, abbruciorno il bastione o cavaliere di
mezzo); e accostatosi con una trincea al diritto della batteria, e fatta una
altra trincea al diritto degli alloggiamenti spagnuoli, lontana al fosso uno
tiro di mano, e dietro a quella fortificato uno bastione, vi piantò su
l'artiglieria, e batté sessanta braccia di muro, a quattro braccia da terra vel
circa. Ma inteso che la notte vi era entrato Melfi, con genti mandate da Renzo,
ritirò l'artiglieria; e finalmente, essendo la fine di maggio, ne levò il
campo.
Seguitorono, e
mentre stava il campo a Monopoli e dopo la ritirata, varie fazioni e movimenti;
perché e quegli di Barletta facevano prede e danni grandissimi e i fanti che
erano nel monte di Santo Angelo, de' quali era capo Federico Caraffa, presono
San Severo e, soccorsa la terra di Vico, costrinsono gli imperiali a levarne il
campo. Andò poi il Caraffa per mare con ventisei vele a Lanciano, dove erano
alloggiati cento sessanta uomini d'arme; ed entratovi per forza ne menò
trecento cavalli da fazione e molta preda, non vi lasciato alcuno presidio.
Facevano anche molti fuorusciti danni grandissimi in Basilicata. Per le quali
difficoltà si impediva molto agli imperiali l'esigere le imposizioni: né è
dubbio, che se il re di Francia avesse mandato danari e qualche soccorso, che
sariano per tutto il regno succeduti nuovi travagli, per i quali sarebbe stato
almeno implicato l'esercito cesareo alla difesa delle cose proprie. Ma non
potevano finalmente genti tumultuarie e collettizie, e senza soccorso o
rinfrescamento alcuno (perché soli i fiorentini davano a Renzo qualche
sussidio), fare cose di momento grande (anzi il duca di Ferrara denegò a Renzo
di mandargli per mare quattro pezzi di artiglierie); perché in Barletta
cominciava a mancare frumento e danari; e circa secento rebelli assediati dal
viceré della provincia in Monte Lione, necessitati ad arrendersi per non avere
né munizioni né vettovaglie, furno condotti prigioni a Napoli. Andorono dipoi
il principe di Melfi con l'armate, e Federico Caraffa per terra, a campo a Malfetta,
terra già del principe; dove Federico combattendo fu ammazzato da uno sasso:
donde il principe sdegnato, sforzata la terra, la saccheggiò. Simile infortunio
accadde a Simone Romano: perché essendo l'armata viniziana, la quale da Cavo di
Otranto infestava tutto il paese, accostatasi a Brindisi, e poste genti in
terra, dove anche era Simone Romano, occuporono la città; ma combattendo la
rocca, Simone fu morto di una artiglieria.
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