X. Insuccesso dei collegati sotto Mortara. Disposizione del re di Francia e
di Cesare alla pace, e primi accordi. Progressi dei collegati in Lombardia;
discussioni e deliberazioni dei capitani dei collegati; vittoria degli
imperiali a Landriano.
A ventisette di
aprile, passò Po a Valenza San Polo: per la passata del quale gli imperiali
abbandonorono il Borgo a Basignano e la Pieve al Cairo. Di quivi mandò Guido
Rangone, con parte dello esercito, a Mortara, che era forte per fossi doppi,
fianchi e acqua: i quali, avendo la notte piantato l'artiglieria senza
provisione di gabbioni trincee e simili preparazioni, furono in su il dì
assaltati da quegli di dentro, che feciono loro danno assai e inchiodorno due
pezzi d'artiglierie, con pericolo di non le pigliare tutte; non senza infamia
di Guido, benché, indisposto del corpo, non si fusse trovato presente quando si
piantorono. Era allora in Milano mala provisione; ma non erano migliori quelle
de' franzesi e de' viniziani, che ricercando e dolendosi l'uno dell'altro non
facevano alcuna provisione (pure San Polo diceva aspettare dumila alamanni):
donde, tra l'altre difficoltà, nasceva ne' collegati qualche dubbio che il duca
di Milano, veduta la poca speranza che gli restava di avere con le forze e
aiuti loro a ricuperare quello stato, non facesse per mezzo del Morone qualche
concordia con gli imperiali.
Ma erano i
pensieri del re di Francia indiritti tutti alla pace, diffidandosi di potere
altrimenti recuperare i figliuoli. Alla quale essendo anche inclinato Cesare,
erano tornati di Spagna due uomini di madama Margherita, con mandato amplissimo
in lei per fare la pace: di che essendo certificato il re da Lelu Baiard suo
segretario, quale per questa cagione aveva spedito in Fiandra, dimandò a'
collegati che mandassino anche loro i mandati. Ed essendosi spiccato con
l'animo effettualmente da tutte le provisioni della guerra, cercando pure
tirare a sé qualche giustificazione, si lamentava che i viniziani ricusavano
contribuire a' denari per la passata sua: i quali, se bene da principio
l'avessino stimolato caldamente, passando Cesare, a passare, e il re avesse
offerto di farlo con dumila quattrocento lancie mille cavalli leggieri e
ventimila fanti, in caso che da' confederati gli [si] dessino danari per
pagare, oltre a questi, mille cavalli leggieri e ventimila fanti, e
concorressino alla metà della spesa delle artiglierie, nondimeno poi, qual
fusse la cagione, si ritiravano.
San Polo in
questo tempo sforzò con quattro cannoni Santo Angelo, dove erano quattrocento
fanti; poi si volse a San Colombano, per aprirsi le vettovaglie di Piacenza,
che si accordò: e inteso Pavia essere di nuovo provista insino a mille fanti e
in Milano quattromila, ma molti ammalati, volse il pensiero a Milano; e il Leva
messe fanti in Moncia. Arrendessi, a' due di maggio, Mortara a San Polo a
discrezione, battuta in modo che non poteva più difendersi; e il Torniello,
lasciata la terra di Novara ma non la rocca, dove messe pochissimi fanti, si
ritirò a Milano: in modo che gli imperiali non tenevano, di là dal Tesino,
altro che Gaia e la rocca di Bià, avendo San Polo anche presa la rocca di
Vigevano. Andò, a' dieci, al Ponte a Loca con più di seimila fanti vivi, per
unirsi, al borgo a San Martino, co' viniziani, che ne avevano manco di quattro.
Arrivò dipoi il duca di Urbino allo esercito; e venuti insieme a parlamento, a
Belgioioso, determinorono nel consiglio comune di accamparsi a Milano con due
eserciti da due parti, e che perciò San Polo, passato il Tesino, girasse a
Biagrassa per sforzarla, e il dì medesimo i viniziani al borgo di San Martino,
lontano da Milano cinque miglia; affermando i viniziani avere dodicimila fanti
e San Polo otto, col quale dovevano unirsi i fanti del duca di Milano. Però San
Polo passò il Tesino, e avendo trovato la terra di Biagrassa abbandonata
ottenne per accordo la rocca; ed essendo, il dì davanti alloggiato San Polo a
Gazano, in su il navilio grande, a otto miglia di Milano, parlorono di nuovo,
il terzo dì di giugno, a Binasco. Nel quale luogo, essendo certificati che i
viniziani non aveano la metà de' dodicimila fanti a' quali erano tenuti per i
capitoli della confederazione, e querelandosene gravemente San Polo, fu
deliberato di accostarsi con uno campo solo a Milano dalla banda del lazaretto;
non ostante che il conte Guido dicesse che Antonio de Leva, il quale non teneva
altro che Milano e Como, usava dire che Milano non si poteva sforzare se non
con due campi. Ma pochi dì poi, congregati i capi dell'uno e l'altro esercito
in Lodi, per consultare di nuovo, il duca di Milano e il duca di Urbino, benché
prima avessino fatto instanza che si andasse a campo a Milano e dissuaso lo
andare a Genova, consigliorono il contrario; allegando il duca di Urbino, per
questa nuova deliberazione, molte ragioni, ma principalmente che, poiché Cesare
si preparava a passare in Italia (per il quale condurre era partito con le
galee il Doria, agli otto di giugno, da Genova), e che si intendeva che in
Germania si faceva preparazione di mandare nuovi tedeschi sotto il capitano
Felix non sapeva quello che fusse meglio, o pigliare Milano o non lo pigliare.
Allegavansi da lui queste ragioni, ma si credeva che veramente lo movesse
l'antica sua consuetudine di non fare né dell'animo né della virtù esperienza
alcuna, o che forse, persuadendosi dovere succedere la pace che si trattava in
Fiandra, avesse dimostrato al senato viniziano, il quale fortificava Bergamo,
essere inutile, o ammesso o escluso che ne fussi, spendere per la recuperazione
di Milano. La somma del suo consiglio fu che le genti de' viniziani si
fermassino a Casciano, quelle del duca di Milano a Pavia, San Polo a Biagrassa,
attendendo a vietare co' cavalli che vettovaglie non entrassino a Milano, dove
si stimava fussino per mancare presto, perché era seminata piccolissima parte
di quello contado. Non potette San Polo rimuovergli da questa sentenza, ma non
approvò già il fermarsi col suo esercito a Biagrassa, allegando che ad affamare
Milano bastava che le genti viniziane si fermassino a Moncia, le sforzesche a
Pavia e a Vigevano, e che il re lo stimolava, in caso non si andasse a campo a
Milano, di fare la impresa di Genova: la quale aveva in animo di tentare con
celerità grande, sperando che, in assenza del Doria, Cesare Fregoso, che era
accordato col re di Francia di esserne governatore lui e non il padre, la
volterebbe con pochi fanti. I quali progressi, e il sapere quanto fussino
diminuiti di fanti, aveva assicurato, in modo Antonio de Leva del pericolo di
Milano che e' mandò Filippo Torniello, con pochi cavalli e trecento fanti, a
ricuperare Novara e i luoghi circostanti, mentre che i franzesi e i viniziani
erano tra il Tesino e Milano: il quale, entrato per la rocca che si teneva per
loro, ricuperò Novara, e dipoi uscì fuora con le genti a predare e raccôrre
vettovaglie. Ma accadde che essendo uscito della rocca e andando per la terra
il castellano di Novara, due soldati sforzeschi e tre di Novara che erano nella
rocca prigioni, ammazzati, con aiuto di alcuni che lavoravano nella rocca, e
presi certi fanti spagnuoli, l'occuporono, sperando essere soccorsi da' suoi;
perché il duca di Milano, come aveva inteso la partita del Torniello da Milano,
dubitando di Novara, aveva mandato a quella volta Giampaolo suo fratello con
non piccolo numero di cavalli e di fanti, che già era arrivato a Vigevano. Ma
il Torniello, come seppe il caso della rocca, tornò subito a Novara, e con
minacci e con preparazione di dare lo assalto spaventò in modo quegli soldati
sforzeschi che, pattuita solo la sua salute senza curarsi di quella de'
novaresi che erano con loro, arrenderono la rocca. Deliberossi adunque di
infestare Milano con le genti de' viniziani e del duca di Milano: benché il
duca di Urbino disse che, per essere più vicino allo stato de' viniziani, non
si fermerebbe a Moncia ma a Casciano; e San Polo, il quale era alloggiato alla
badia di Viboldone, deliberò di tornare di là dal Po per andare verso Genova.
Con questo consiglio andò ad alloggiare a Landriano, lontano dodici miglia da
Milano tra le strade di Lodi e di Pavia. E volendo andare il dì seguente, che
era ventiuno di giugno, ad alloggiare a Lardirago alla volta di Pavia, scrive
il Cappella che mandò innanzi l'artiglierie e i carriaggi e la vanguardia, e
lui partì più tardi con la battaglia e col retroguardo; e che il Leva, avvisato
dalle spie del ritardare suo e della partita dell'antiguardia, uscì di notte di
Milano con la gente incamiciata (egli, perché aveva già lungamente il corpo
impedito da dolori, armato in su una sedia, portato da quattro uomini); e
giunto a due miglia di Landriano, andando senza suoni, avuto dalle spie San
Polo non essere ancora partito da Landriano, accelerato il passo gli assaltò
innanzi sapessino la sua venuta: essendo già il primo squadrone, sotto Gian Tommaso
da Gallerà, camminato tanto innanzi che non era a tempo al soccorso de' suoi. E
benché San Polo sperasse ne' tedeschi, che ne aveva dumila cinquecento, loro
cominciorno a ritirarsi; ma furono sostenuti da Gianieronimo da Castiglione e
da Claudio Rangone capi di dumila italiani, che combatterno egregiamente; ma al
fine, voltando le spalle i cavalli e i tedeschi, gli italiani feciono il
medesimo. E San Polo, volendo passare col cavallo una grande fossa restò
prigione; e furno presi i cavalli e i carriaggi quasi di tutto lo esercito, e
l'artiglieria; e quegli che fuggirono furono svaligiati, presso a Pavia, da'
fanti del Piccinardo che vi erano a guardia. Ma il Martello scrive: che,
essendo San Polo a mezzo il cammino tra Landriano e Lardirago, gl'imperiali assaltorno
il retroguardo che gli fece piegare, ma scoprendosi una grossa imboscata di
archibusieri incamiciati, assaltò la battaglia per fianco e la roppe; che San
Polo, smontato a piè, combatté con la picca gagliardamente e restò prigione
egli, Gianieronimo da Castiglione, Claudio Rangone, Carbone, Lignach e altri, e
la vanguardia menata dal conte Guido, che era già alloggiata, si salvò in
Pavia; che i franzesi si portorono vilmente e i tedeschi il medesimo, e anche
gli italiani eccetto Stefano Colonna e Claudio, che restò ferito in una spalla;
che le lance si salvorono quasi tutte, e si ridusseno a Pavia circa dumila
fanti di varie nazioni col conte Guido e, al principio della notte de'
ventitré, se ne andorno a Lodi, sì impauriti che furono per rompersi da loro
medesimi, e ne restorno assai in cammino; e i capitani si scusavano per non
essere pagate le genti, delle quali le franzesi se ne ritornorono tutte in
Francia.
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