XV. Disegni dei fiorentini; perdita di Cortona e di Arezzo. Dichiarazione
di Cesare di non voler udire gli ambasciatori fiorentini se non son rimessi i
Medici in città. Richiesta del pontefice che Firenze si rimetta in suo potere.
Dispareri in Firenze; decisione di resistenza. Il principe d'Oranges intorno a
Firenze; le forze dei fiorentini. Prime scaramuccie sotto Firenze.
Due erano
allora principalmente i disegni de' fiorentini: l'uno, che l'esercito
ritardasse tanto a venire innanzi che avessino tempo a riparare la loro città,
alle mura della quale pensavano che finalmente si avesse a ridurre la guerra;
l'altro, cercare di placare l'animo di Cesare, eziandio con l'accordare col
pontefice, pure che non fusse alterato la forma della libertà e del governo
popolare. Però, non essendo ancora successo l'esclusione de' loro imbasciadori,
avevano mandato uno uomo al principe di Oranges, ed eletti imbasciadori al
pontefice; instando, quando gli significorono la elezione, che insino allo arrivare
loro facesse soprasedere lo esercito: il che ricusò di fare. Però il principe,
fattosi innanzi, batté e dette l'assalto al borgo di Cortona che va a l'Orsaia,
nella quale città erano settecento fanti; e ne fu ributtato. In Arezzo era
maggiore numero di fanti; ma Antoniofrancesco degli Albizi, commissario,
inclinato ad abbandonarlo per paura che il principe, presa Cortona, lasciato
indietro Arezzo, non andasse alla volta di Firenze, e che prevenendo a quelle
genti che erano seco in Arezzo, la città, mancandogli la più pronta difesa che
avesse, spaventata non si accordasse; però senza consenso publico, se bene
forse con tacita intenzione del gonfaloniere, si partì da Arezzo con tutte le
genti, lasciati solamente dugento fanti nella fortezza: ma giunto a Feghine,
per consiglio di Malatesta, che era quivi e approvava il ridurre le forze alla
difesa di Firenze, rimandò mille fanti in Arezzo perché non restasse
abbandonato del tutto. Ma a' diciasette dì, Cortona, alla difesa della quale
sarebbeno bastanti mille fanti, non vedendo provedersi per i fiorentini
gagliardamente, e inteso anche forse la titubazione di Arezzo, si arrendé,
ancora che poco stretta dal principe; col quale compose di pagargli ventimila
ducati. La perdita di Cortona dette cagione a' fanti che erano in Arezzo, non
si reputando bastanti a difenderlo, di abbandonare quella città: la quale, a'
diciannove dì, si accordò anche ella col principe: ma con capitoli e con
pensieri di reggersi più presto da se stessa in libertà sotto l'ombra e protezione
di Cesare che stare più in soggezione de' fiorentini, dimostrando essere falsa
quella professione che insino allora avevano fatto di essere amici della
famiglia de' Medici e inimici del governo popolare.
Nel quale tempo
Cesare aveva negato espressamente non volere più udire gli imbasciadori
fiorentini se non restituivano i Medici; e Oranges, benché con gli oratori che
erano appresso a lui detestasse senza rispetto la cupidità del papa e la
ingiustizia di quella impresa, nondimeno aveva chiarito non potere mancare di
continuarla senza la restituzione de' Medici: e trovandosi avere trecento
uomini d'arme cinquecento cavalli leggieri dumila cinquecento tedeschi, di
bellissima gente, dumila fanti spagnuoli tremila italiani, sotto Sciarra Colonna
Piermaria Rosso Pierluigi da Farnese e Giovambatista Savello (co' quali si unì
poi Giovanni da Sassatello, defraudati i danari ricevuti prima da' fiorentini,
de' quali aveva accettata la condotta), e poi Alessandro Vitelli, che avevano
tremila fanti, ma avendo poche artiglierie, ricercò i sanesi che
l'accomodassino di artiglierie. I quali, non potendo negare allo esercito di
Cesare gli aiuti chiesti, ma per l'odio contro al pontefice e per il sospetto
della sua grandezza malcontenti della mutazione del governo de' fiorentini, co'
quali per l'odio comune contro al papa avevano avuto molti mesi quasi tacita
pace e intelligenza, mettevano in ordine l'artiglierie ma con quanta più
lunghezza potevano.
Aveva
intratanto il papa udito gli oratori fiorentini, e risposto loro che la
intenzione sua non era di alterare la libertà della città ma che, non tanto per
le ingiurie ricevute da quel governo e dalla necessità di assicurare lo stato suo
quanto per la capitolazione fatta con Cesare, era stato costretto a fare la
impresa; nella quale trattandosi ora dello interesse dell'onore suo, non
chiedeva altro se non che liberamente si rimettessino in potestà sua, e che
fatto questo dimostrerebbe il buono animo che aveva al benefizio della patria
comune. E intendendo poi che, crescendo a Firenze il timore, massime poi che
avevano inteso l'esclusione fatta degli oratori loro da Cesare, avevano eletto
a lui nuovi imbasciadori, pensando fussino disposti a cedergli, e desideroso
della prestezza per fuggire i danni del paese, mandò in poste allo esercito
l'arcivescovo di Capua: il quale, passando per Firenze, trovò disposizione
diversa da quel che si era persuaso.
Fecesi intanto
innanzi Oranges, e a' ventiquattro era a Montevarchi nel Valdarno, lontano
venticinque miglia da Firenze, aspettando da Siena otto cannoni, che si mosseno
il dì seguente; ma camminando con la medesima lunghezza con la quale erano
stati preparati, furono cagione che il principe, che a' ventisette aveva
condotto l'esercito insino a Feghine e l'Ancisa, soprastette in quello
alloggiamento insino a tutto il dì quarto di ottobre: donde procedé la durezza
di tutta quella impresa. Perché, perduto Arezzo vedendosi mancare le speranze e
le promesse fatte loro da ogni banda, la fortificazione che si faceva della
città dalla banda del monte non ancora ridotta in termine che, benché vi si
lavorasse con grandissima sollecitudine, non paresse a' soldati che prima che
fra otto o dieci dì potesse mettersi in difesa, e intendendo l'esercito inimico
camminare innanzi, ed essendosi dalla banda di Bologna mosso per ordine del
papa Ramazzotto con tremila fanti, saccheggiata Firenzuola ed entrato nel
Mugello, e temendosi non andasse a Prato, i cittadini spaventati cominciorono a
inclinarsi all'accordo, e massime che molti se ne fuggivano per timore: in modo
che, nella consulta del magistrato de' dieci proposto alle cose della guerra,
nella quale consulta intervenneno i cittadini principali di quel governo, fu
parere di tutti di spedire a Roma libero e ampio mandato per rimettersi nella
volontà del pontefice. Ma avendone fatta relazione al supremo magistrato, senza
il consenso del quale non si poteva farne la deliberazione, il gonfaloniere, che
ostinatamente era nella contraria sentenza, la contradisse; e congiugnendosi
con lui il magistrato popolare de' collegi, che partecipava della autorità de'
tribuni della plebe di Roma, nel quale per sorte erano molte persone di mala
mente e di grande temerità e insolenza, potette tanto, fomentando anche la sua
opinione l'ardire e le minaccie di molti giovani, che impedì che per quei dì
non si fece altra deliberazione. E nondimeno è manifesto che se il dì seguente,
che fu il vigesimo ottavo di settembre, il principe si fusse spinto più innanzi
uno alloggiamento, quegli che contradicevano all'accordo non arebbeno potuto
alla inclinazione di tutti gli altri resistere: da tante piccole cagioni
dependono bene spesso i momenti di cose gravissime. Il soprasedere vano di
Oranges, interpretato da alcuni che per nutrire la guerra fusse fatto
studiosamente, perché allo accostarsi presso Firenze non gli erano necessarie
l'artiglierie, fu causa che in Firenze molti ripreseno animo; ma quel che
importò più fu che la fortificazione, continuata senza una minima intermissione
di tempo con grandissimo numero d'uomini, si condusse in grado che, innanzi che
Oranges si movesse da quello alloggiamento, giudicorono i capitani che i ripari
si potessino difendere: donde cessata ogni inclinazione allo accordo, si messe
la città ostinatamente alla difesa; essendosi anche aggiunto ad assicurare gli
animi loro che Ramazzotto, che aveva condotto seco villani senza denari e non
soldati, essendo venuto non con disposizione di combattere ma di rubare,
saccheggiato che ebbe tutto il Mugello, si ritirò nel bolognese con la preda,
dissolvendosi tutta la gente, la quale aveva venduto a lui la maggiore parte
delle cose predate. Così di una guerra facile, e che si sarebbe finita con
piccolo detrimento di ciascuno, risultò una guerra gravissima e
perniciosissima, che non potette finirsi se non distrutto che fu tutto il
paese, e condotta quella città in pericolo dell'ultima sua desolazione.
Mossesi, a'
cinque di ottobre, Oranges da Feghine; ma camminando lentamente, per aspettare
l'artiglierie di Siena che gli erano vicine, non ebbe condotte tutte le genti e
l'artiglierie nel Piano di Ripoli, a due miglia di Firenze, prima che a' venti
dì, e a' ventiquattro alloggiato tutto l'esercito in su i colli vicini a'
ripari: i quali, movendosi dalla porta di Saminiato, occupavano i colli
eminenti alla città, insino alla porta di San Giorgio; e movendosi anche una
alia da Saminiato, che si distendeva insino in su la strada della porta di San
Niccolò. Erano in Firenze ottomila fanti vivi; e la resoluzione era di
difendere Prato, Pistoia, Empoli, Pisa e Livorno, nelle quali terre tutte
avevano messo presidio sufficiente, e il resto de' luoghi lasciare più presto
alla fede e disposizione de' popoli e alla fortezza de' siti che mettervi
grosse genti per guardargli. Ma già si empieva tutto il paese di venturieri e
di predatori; e i sanesi non solo predavano per tutto, ma eziandio mandorono
gente per occupare Montepulciano, sperando che poi dal principe fusse
consentito loro il tenerlo; ma essendovi alcuni fanti de' fiorentini si difese
facilmente: e vi sopragiunse poco poi Napolione Orsino, soldato de' fiorentini,
con trecento cavalli, che non era voluto partirsi di terra di Roma insino a
tanto che il pontefice non si fusse indiritto al cammino di Bologna.
Alloggiato
Oranges l'esercito, e distesolo molto largo in su i colli di Montici, del Gallo
e di Giramonte, e avuti guastatori e alcuni pezzi piccoli di artiglieria da'
lucchesi, fece lavorare uno riparo, credevasi per dare uno assalto al bastione
di Saminiato; e all'incontro, per offenderlo, furono piantati nell'orto di
Saminiato quattro cannoni in su uno cavaliere. Arrenderonsi subito al principe
le terre di Colle e di San Gimignano, luoghi importanti per facilitare le
vettovaglie che venivano da Siena. Piantò, a' ventinove, Oranges in su uno
bastione del Giramonte quattro cannoni al campanile di Saminiato per
abbatterlo, perché da uno sagro che vi era piantato era molto danneggiato l'esercito;
e in poche ore se ne roppeno due. Però, avendo il dì seguente condotto un
altro, tratti che vi ebbeno invano circa cento cinquanta colpi, né potuto
levarne il sagro, si astenneno dal tirarvi più. E considerandosi per tutti la
oppugnazione di Firenze, massime da uno esercito solo, essere difficillima,
cominciorono le fazioni a procedere lentamente, più tosto con scaramuccie che
con maniera di oppugnazione. Fecesi, a' due di novembre, una grossa scaramuccia
al bastione di San Giorgio e a quello di San Niccolò e della strada Romana; e
a' quattro fu piantata in su il Giramonte una colubrina al palazzo de' signori,
che al primo colpo si aperse. E a' sette, i cavalli che erano dentro scorseno
in Valdipesa, e preseno cento cavalli la più parte utili; e cavalli e
archibusieri, usciti dal Pontedera, preseno sessanta cavalli, tra le Capanne e
la torre di San Romano.
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