IV. Movimenti politici in Siena. La forma di governo in Firenze stabilita
da Cesare. Giudizio di Cesare riguardo alle controversie fra il pontefice e il
duca di Ferrara; malcontento del pontefice; sua ostilità verso il duca.
In Italia si
levò l'esercito di quel di Siena per condurlo nel Piemonte; avendo rimesso in
Siena, per sodisfazione del papa, a godere la patria e i beni loro quegli del
Monte de' nove, ma non alterata la forma del governo, e messovi per sicurtà
loro una guardia di trecento fanti spagnuoli, dependente dal duca di Malfi: il
quale per aversi saputo poco conservare la sua autorità, ritornorno presto le
cose ne' medesimi disordini; in modo che, quegli che erano stati rimessi, per
timore, se ne partirono.
Dichiarò
eziandio Cesare in questo tempo la forma del governo di Firenze, dissimulata
quella parte dell'autorità concessagli che limitava salva la libertà: perché,
secondo la propria istruzione mandatagli dal papa, espresse che la città si
governasse con quegli magistrati e con quel modo che era solita governarsi ne'
tempi che la reggevano i Medici, e che del governo fusse capo Alessandro nipote
del pontefice e genero suo, e mancando lui succedessino di mano in mano i
figliuoli e discendenti, e i più prossimi della medesima famiglia. Restituì
alla città tutti i privilegi concessigli altre volte da sé e da' suoi
predecessori, ma con condizione che ne ricadessino ogni volta che attentassino
cosa alcuna contro alla grandezza della famiglia de' Medici; inserendo in tutto
il decreto parole che mostravano fondarsi non solo nella potestà concessagli
dalle parti ma eziandio nell'autorità e degnità imperiale.
Nelle quali
cose avendo sodisfatto al papa forse più che alla facoltà concessagli nel
compromesso, lo offese incontinente in cosa che gli fu molto grave. Perché, poi
che da più dottori, a' quali l'aveva commesso, fu udita ed esaminata la
controversia tra il pontefice e il duca di Ferrara, sopra la quale erano stati
per tutt'e due le parti prodotti molti testimoni e scritture e fatto lungo
processo, pronunziò per consiglio e relazione loro, Modena e Reggio con quelle
terre appartenersi di ragione al duca di Ferrara; e che il pontefice, ricevuti
da lui centomila ducati e ridotto il censo al modo antico, lo rinvestisse della
giurisdizione di Ferrara. Sforzossi Cesare fare capace al papa che se, contro
alla promessa fattagli in Bologna (di non pronunziare in caso trovasse la causa
sua non essere giusta), aveva pronunziato, doversi lamentare non di sé ma del
vescovo di Vasone nunzio suo; al quale non aveva mancato di fare intendere che
non voleva lodare per non essere costretto a dargli il giudizio contro, ma che
egli, persuadendosi il contrario, e che questo si dicesse per scaricarsi dalla
promessa fattagli di lodare se le ragioni erano per lui, aveva fatto tanta
instanza che si pronunziasse che era stato necessitato di farlo per
conservazione dell'onore suo: la quale scusa sarebbe stata più capace se il
giudizio non fusse stato in quel medesimo effetto nel quale Cesare aveva
tentato molte volte di ridurre la cosa per concordia. Ma offese ancora molto
più il pontefice il vedere che Cesare, nel pronunziare sopra le cose di Modena
e Reggio, aveva seguitato la via di giudice rigoroso; ma in quelle di Ferrara,
nelle quali il rigore era manifestamente per sé, aveva seguitato l'uffizio di
amicabile compositore. Però il papa non volle ratificare il lodo dato, non
pigliare il pagamento de' denari ne' quali era condennato il duca; e nella
prossima festività di san Piero non accettò il censo offertogli, secondo il
costume antico, publicamente. Ma non restò per questo Cesare di consegnare al
duca di Ferrara Modena, tenuta insino a quel dì da lui in deposito, lasciando
poi decidere tra loro le altercazioni: donde, per molti mesi, né fu scoperta
guerra tra il papa e il duca né sicura pace, essendo tutto intento il pontefice
o a opprimerlo con insidie o ad aspettare occasione di potere, con appoggio di
maggiori prìncipi, offenderlo scopertamente.
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