VI. Nuovo convegno del pontefice e di Cesare a Bologna; ragioni di minore
concordia. Politica dei delegati del pontefice; difficoltà di accordi coi
veneziani e col duca di Ferrara; condizioni della nuova confederazione. Scarsi
risultati della discussione fra il pontefice e Cesare sull'opportunità della
convocazione del concilio. Pratiche pel matrimonio del figlio del re di Francia
con la nipote del pontefice; soddisfazione del pontefice e sospetti di Cesare.
Confederazione segreta fra il pontefice e Cesare.
Venne Cesare in
Italia, e desiderando parlare col pontefice fu statuito di nuovo tra loro il
luogo di Bologna, accettato cupidamente dal papa per non dare occasione a
Cesare, come era confortato da molti de' suoi, di andare nel regno di Napoli, e
così dimorare più tempo in Italia: il che era anche contro alla mente di
Cesare, desideroso di andarsene in Spagna, e per altre ragioni; ma
principalmente per desiderio di procreare figliuoli, essendovi restata la
moglie. Però l'uno e l'altro di loro convenneno, alla fine dell'anno, in
Bologna, dove tra loro furono servate le medesime dimostrazioni di amore e la
medesima dimestichezza che era stata usata l'altra volta. Ma non erano più
corrispondenti gli animi, come era stato allora, nelle negoziazioni. Perché
Cesare desiderava, per quiete e sodisfazione di Germania, sommamente il
concilio; instava di volere dissolvere l'esercito, grave e a lui e agli altri,
ma, per poterlo fare sicuramente, che si rinnovasse l'ultima lega fatta in
Bologna per includervi dentro ognuno, e per tassare le quantità de' denari in
che ciascuno avesse a contribuire, se Italia fusse assaltata da' franzesi;
desiderava anche che Caterina nipote del papa si maritasse a Francesco Sforza,
sì per necessitare più il papa a attendere alla conservazione di quello stato,
sì per interrompere la pratica del parentado che si era trattato col re di
Francia. Delle quali cose nessuna piaceva al pontefice: perché il confederarsi
era contrario al desiderio suo di mantenersi il più poteva neutrale tra i
prìncipi cristiani, dubitando e degli altri pericoli e specialmente che il re
di Francia, essendone massime istigato tanto dal re di Inghilterra, non gli
levasse l'ubbidienza; il concilio, per l'antiche cagioni, gli era molestissimo;
né gli piaceva il parentado col duca di Milano, per non pigliare quasi una
aperta inimicizia col re di Francia, e perché ardeva di desiderio di
congiugnere la nipote al secondogenito del re.
Trattossi di
queste materie, principalmente quella della confederazione; alla quale pratica,
di più mesi, furono diputati, per la parte di Cesare, Cuovos comandatore
maggiore di Leone, Granvela e Prata, suoi principali consiglieri, e per la
parte del papa il cardinale de' Medici, Iacopo Salviati e il Guicciardino: i quali,
non negando la confederazione (perché era uno scoprire troppo la intenzione del
pontefice e dare causa a Cesare di avere giustamente gravissimo sospetto di
lui), instavano che si facesse ogni opera per farvi condescendere i viniziani,
allegando che e senza gli aiuti loro la difesa sarebbe debole, e che con più
riputazione si conservavano le cose comuni mantenendosi in su la fama della
prima confederazione che, facendone un'altra senza loro, fare nascere per tutto
opinione che tra Cesare il papa e i viniziani fusse discordia. Però furono
ricercati di consentire a nuova confederazione per la difesa di tutta Italia;
perché per la prima non erano tenuti ad altro che alle cose dello stato di
Milano e del regno di Napoli; e desiderava sommamente Cesare che e' fussino
anche obligati alla difesa di Genova, dove si pensava che, quando avesse a
essere guerra, i franzesi facessino facilmente il primo assalto: perché
pretendevano, per cagioni e interessi particolari, poterlo fare senza
contravenire agli accordi di Madril e di Cambrai. Negò quel senato volere fare
nuova confederazione o ampliare le obligazioni che in quella si contenevano,
con grave sdegno di Cesare, non ostante che affermassino volere osservare
inviolabilmente questa congiunzione. E nondimeno Cesare instette tanto più col
papa, ribattendo le ragioni che per la parte sua si allegavano in contrario, in
modo che si entrò nel praticare gli articoli della confederazione, e si
chiamorono tutti i potentati di Italia che mandassino imbasciadori a questa
pratica; i quali furno ricercati che entrassino nella confederazione,
contribuendo al caso della guerra secondo le forze e possibilità loro. A che
non essendo fatta per alcuno difficoltà, ma solamente sforzandosi ciascuno dì
alleggerire quello che gli era dimandato di contribuzione, solo Alfonso da Esti
propose non potere entrare in lega per difendere gli stati di altri se prima
non fusse assicurato del suo: perché, come essere conveniente che avesse a
guardarsi dal pontefice e entrare in lega con lui? come potere contribuire co'
suoi denari alla difesa di Milano o di Genova se era necessitato spendergli
continuamente per tenere gente in Modena e in Reggio, e anche per essere sicuro
di Ferrara? Da questa dimanda nacque nuova pratica di concordarlo col papa. Il
quale, avendone l'animo alienissimo, né volendo così apertamente resistere alla
instanza di Cesare, proponeva condizioni inesplicabili; perché, quando pure
avesse a lasciare Modena e Reggio ad Alfonso (che altrimenti non era per
convenire) voleva le riconoscesse in feudo dalla sedia apostolica: il che non
si potendo fare, in modo che fusse giuridicamente valido, senza consenso degli
elettori e prìncipi dello imperio, metteva Cesare in una difficoltà che non
aveva esito. Però si ridusse a pregare il pontefice che, almeno durante la
lega, si obligasse di non offendere lo stato che teneva Alfonso: in che, dopo
molte dispute, il papa consentì, di assicurarlo per diciotto mesi. E fu
finalmente conchiusa la lega, la quale fu stipulata il giorno, tanto felice a
Cesare, di san Mattia. Contenne la confederazione obligo, da' viniziani in
fuora, di Cesare del re de' romani e di tutti gli altri potentati d'Italia,
alla difesa d'Italia; non vi nominando però dentro i fiorentini, per rispetto
di non turbare i loro commerci, se non nel modo che erano stati nominati nella
lega di Cugnach. Fu espresso con che numero di gente avesse ciascuno di loro a
concorrere, e con che quantità di denari a contribuire ciascuno mese: Cesare
per trentamila ducati, il pontefice, che si disegnava pagasse per sé e per i
fiorentini, per ventimila, il duca di Milano per quindicimila, il duca di
Ferrara per diecimila, genovesi per [seimila], sanesi per [dumila], lucchesi
per mille, e che, per trovarsi qualche preparazione a uno assalto improviso,
tanto che con contribuzioni si potesse poi difendersi, si facesse allora uno
deposito di somma quasi pari alle contribuzioni, che non si potesse spendere se
non in caso che si vedesse in pronto le preparazioni di assaltare Italia.
Ordinossi ancora una piccola contribuzione annuale per intrattenere i capitani
che restavano in Italia, e per pagare certe pensioni a' svizzeri, acciò che non
avessino causa di dare fanti al re di Francia: e di comune consenso fu
dichiarato capitano generale di tutta la lega Antonio de Leva, con ordine si
fermasse nel ducato di Milano.
Del concilio
non fu conchiuso con sodisfazione di Cesare, che instava che il papa allora lo
intimasse: il quale ricusava, allegando che in questa mala disposizione degli
animi era pericolo non fusse ricusato da' re di Francia e di Inghilterra, e che
facendosi senza loro non poteva introdurre né unione né riformazione della
Chiesa, ma era pericolosissimo non ne nascesse lo scisma; essere contento
mandare nunzi a tutti i prìncipi per indurgli a opera sì santa. E replicando
Cesare: che sarà adunque se essi dissentiranno senza giusta cagione? e volendo
che in tale caso il papa gli proponesse di intimarlo, non potette disporlo. In
modo che si diputorono e mandorono i nunzi con poca speranza di riportarne
conclusione.
Ma non restò
anche Cesare più sodisfatto della pratica del parentado. Perché essendo venuti
a Bologna i due cardinali, e introdotto di nuovo il ragionamento del parentado
del re di Francia, il pontefice replicava a quello del duca di Milano, che
avendogli il re molto prima proposto il matrimonio del suo figliuolo, ed egli
udita la pratica con consenso di Cesare (che allora dimostrò di esserne
contento), gli pareva fare troppa ingiuria al re di Francia se, pendenti questi
ragionamenti, la maritasse a uno inimico suo: credere che questo fusse
introdotto dal re artificiosamente, per intrattenerlo e non con animo di
conchiudere, essendovi tanta disparità di grado e di condizione; ma che se
prima non si escludeva del tutto questa pratica non voleva fare offesa sì grave
al re. Né essendo capace a Cesare che il re di Francia volesse tôrre per uno
suo figliuolo una tanto dissimile a lui, confortò il papa che per chiarirsi
degli inganni del re, instesse co' due cardinali che facessino venire il
mandato a poterlo contraere; i quali, dimostratisi prontissimi, lo fecieno in
brevissimi dì venire in forma amplissima: donde non solo si escluse ogni
speranza del parentado con Francesco Sforza, ma ancora si ristrinse la pratica
col re di Francia; aggiugnendovisi ancora che, come molto prima si era tra loro
ragionato, il papa e il re di Francia si convenissino insieme a Nizza, città
del duca di Savoia e posta appresso al fiume del Varo, che è confine tra
l'Italia e la Provenza. Le quali cose erano molto moleste a Cesare; sì per
sospetto che tra il papa e il re di Francia non si facesse maggiore
congiunzione in pregiudizio suo, sapendo quale fusse l'animo del re contro a
sé, e dubitando che nel pontefice non risedesse ancora occultamente la memoria
della sua incarcerazione, del sacco di Roma e della mutazione dello stato di
Firenze; movendolo ancora lo sdegno che quello onore che gli pareva che il papa
gli avesse fatto, di andare ad abboccarsi seco due volte a Bologna, si
diminuisse, anzi si annichilasse, se andava a trovare per mare il re di Francia
insino a Nizza. Né dissimulava questo dispiacere e le cagioni, ma invano:
perché nel pontefice era fissa nell'animo, anzi ardente, la cupidità di questo
parentado; movendolo più presto l'ambizione e lo appetito della gloria, che
essendo di casa quasi privata avesse conseguito per uno nipote naturale una
figliuola naturale di sì potente imperadore, e ora conseguisse per una nipote
sua legittima uno figliuolo legittimo del re di Francia: il che lo moveva più
che quello che gli era ricordato da molti che con questo parentado darebbe
colore di ragione, benché non vero ma apparente, al re di Francia di
pretendere, per il figliuolo e per la nuora, sopra lo stato di Firenze.
A queste male
sodisfazioni di Cesare si aggiunse, quasi per cumulo, che facendo instanza che
il papa creasse tre cardinali proposti da lui, ottenne con difficoltà solamente
l'arcivescovo di Bari; scusandosi egli con la contradizione del collegio de'
cardinali. Né si mitigò Cesare perché il papa concorresse molto prontamente a
fare una confederazione segreta con lui, nella quale prometteva procedere
giuridicamente alle censure e a tutto quello che fusse di ragione contro al re
di Inghilterra e contro ad Anna Bolana, e si obligorono di non fare nuove
confederazioni e accordi con prìncipi senza consenso l'uno dell'altro.
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