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Francesco Guicciardini
Considerazioni intorno ai discorsi del Machiavelli sopra la prima deca di Tito Livio

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  • LIBRO PRIMO.
    • XVI. Uno popolo, uso a vivere sotto uno principe, se per qualche accidente diventa libero, con difficultà mantiene la libertà.
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XVI. Uno popolo, uso a vivere sotto uno principe, se per qualche accidente diventa libero, con difficultà mantiene la libertà.

 

Io fo in questo Discorso grandissima differenzia da uno popolo che non abbia mai cognosciuto libertà, a uno popolo che qualche volta sia stato libero, ma per qualche accidente abbia perduto la libertà; perché in questo caso si possono ripigliare più facilmente gli ordini della libertà, vivendo ancora chi l'ha veduta e restando molte memorie della antica republica. È ancora più acceso nel petto degli uomini el desiderio della libertà avendo provato e' mali della tirannide, e tanto più se non è caduta loro in mano per essere mancata la linea de' tiranni, ma perché sospinti dalla acerbità della servitù, l'abbino recuperata con le arme. Costoro ed amano più la libertà che quello popolo che non l'ha mai cognosciuta, e sono più facili a ripigliare gli ordini delle republiche; ed anche la materia è più disposta, perché in una città che sempre abbia avuto principato è grande inequalità da uno cittadino all'altro, che è tutto contrario alle libertà sotto le quale sono gli uomini assai equali. Ma sotto el principato alcuni sono grandissimi, altri piccoli, perché el principe o per bisogno o per conformità di animo ha uno cerchio di uomini che si accostano quasi più al principe che al privato.

È adunche questa inequalità molto disproporzionata alla libertà in uno popolo che sempre abbia avuto principato, la quale non può essere in una città che non sia stata in molto lunghissima servitù; perché communemente chi occupa le libertà, per disperare manco el popolo, per violentare manco le cose, ritiene quanto può la immagine della libertà, e secondo la superficie delle cose, si ingegna governare la tirannide a uso di republica, e però non si spegne al tutto la equalità de' cittadini. Né mi siano allegati in contrario e' romani che si accommodorono bene alla libertà ancora che mai non l'avessino cognosciuta, perché dal transferire la potestà de' re a' consuli in fuora, non mutorono niente degli ordini che erano sotto e' re; e' quali se furono buoni, non nacque tanto da prudenzia loro, quanto da buona fortuna, da essere stati gli ordini del regno tali che servirono anche alla libertà; e la creazione de' consuli si crede non fussi invenzione loro ma imparata de' commentari di Servio Tullio. Mostrasi questo essere vero, perché gli altri ordini che furono necessari alla conservazione della libertà ed alla quiete della città, ma gli feciono in progresso di tempo stretti dalla necessità ed ammaestrati dalla esperienzia. Né mancò a' romani quell'altro aculeo a desiderare la libertà, cioè l'avere provato le ingiurie della tirannide, perché non occasione o altro accidente gli mosse, che l'avere sentito sotto Tarquinio acerbissima servitù. Ed è anche minore maraviglia che fussino inclinati alla libertà, perché in quelli tempi quasi tutti e' popoli vicini erano liberi; e' quali esempli muovono ed infiammano gli uomini assai.

È adunche difficile conservare una libertà acquistata di nuovo, e molto più difficile a uno popolo stato in continua servitù, che a quello che qualche volta è stato libero; né ci è el migliore remedio a poterla conservare, che ordinare uno governo in modo temperato, che da uno canto abbia vivacità a opprimere chi machinassi contro alla libertà, da altro sia sicuro per quelli che vogliono vivere bene, e non inclinato a battere e' ricchi e potenti quando non ne diano causa, e facile a ricevere quelli cittadini che sono stati amici della tirannide, quando o e' portamenti loro o le condizione che hanno, diano speranza che non abbino a essere inimici della libertà. Perché accade molte volte, e n'abbiamo visto la esperienzia in Firenze, che quando el governo che succede alla tirannide è ragionevole, bene ordinato e sicuro per ognuno, che quelli che hanno potuto co' tiranni vi si contentano drento, massime in quelle città che hanno naturale lo appetito della libertà; perché trovandosi buone facultà come ha el più delle volte chi è stato favorito, ed avendo forse più d'apresso che gli altri cognosciuto e' fastidi della servitù, volentieri, quando truovano sicurtà e condizione equale agli altri cittadini, si riposano e godono el suo. E lo assicurare gli uomini di questa sorte, pacifica ed unisce la città; dove l'avergli a sospetto ed el travagliargli non la lasciano riposare, né se si tengono drento né se si cacciano fuora.

Sia adunche ordinata in modo la republica che abbia prontezza a punire chi machina contro allo stato, ed in questo sia rigida ed inesorabile, ripigliando per peccati gravissimi etiam quelli che paino leggieri; ma non perseguiti alcuno per semplice sospetto, né abbia per sospetti tanto quelli che hanno avuto condizione sotto el tiranno, quanto gli uomini che sono di natura inquieti, quelli che sono caduti in povertà, o che sono di qualità che non possono sperare condizione se non sotto el tiranno. Guardisi sopra tutto che nella città non nasca divisione, le quali nascono ogni volta che el governo non è bene ordinato, perché nelle divisione quella parte che può manco, si gettano al tiranno ancora che fussino stati inimici suoi. Queste furono le cagione che feciono rimettere e' Medici in Firenze nel '12, non dagli antichi amici loro, ma da molti che erano stati inimici; ed el perseguitare doppo el '26 acerbamente sanza distinzione quelli che erano stati amici loro, hanno fatto desiderare da molti la ritornata loro, che altrimenti l'arebbono aborrita non manco che gli altri. Non desideri la nuova libertà che vi sia figliuoli di Bruto, cioè chi machini contro allo stato, per avere causa di acquistare riputazione e terrore con la severità, perché se bene in simili casi è necessario mettere mano nel sangue, sarebbe stato meglio non avere avuto necessità, e che Bruto non avessi figliuoli, che averne per averli amazzare. Né abbi in concetto de' figliuoli di Bruto altri che quelli che sono inquieti per natura, rapaci, e che non hanno qualità d'avere luogo nella libertà, perché questi sono quelli che sono pericolosi, non coloro che, accommodati di facultà e di qualità, possono sperare di sentire e' frutti della libertà insieme cogli altri.

Quanto a uno principe che abbia inimico el popolo, poi che questo anche è tócco nel Discorso, dico che se gli è inimico per le oppressione ed acerbità della servitù, è facile a provedergli, levando via le ingiurie e governando giustamente ed umanamente; ma se la radice della inimicizia è el desiderio della libertà, come abbiamo visto nel nostro di Firenze, che desiderava essere libero per participare degli onori, per avere mano nel governo, allora nessuna dolcezza, nessuna mansuetudine, nessuno buono trattamento del tiranno è atto a eradicare questo desiderio, né mai el tiranno con tutti e' buoni trattamenti se ne può fidare. È bene vero che quando gli uomini oltre ad essere privati della libertà sono anche male trattati, vengono in disperazione, e chi è disperato non aspetta le occasione, ma le cerca, e per liberarsi si mette a ogni pericolo; dove coloro che non hanno altro tormento che el desiderio della libertà, non si precipitano ma aspettano le occasione; le quali quando vengono, non giova al tiranno essersi portato bene ed avere governato dolcemente, ed avere fatto come Clearco; del quale è puerile credere che amazzassi gli ottimati per satisfare al popolo, perché se fussino stati amici suoi arebbe fatto poco guadagno, ma che avendoli sospetti e volendoli opprimere dessi colore di farlo per compiacere al popolo. El remedio adunche che ha el principe, è, o farsi partigiani di qualità che siano potenti a opprimere el popolo, overo col battere ed annichillare el popolo di sorte che non possa muoversi, introducere nuovi abitatori e di qualità che non abbino a avere causa di desiderare la libertà.

 

 




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