Quanto mai dovette soffrire Elisabetta in questi
anni di pene interne, di oscurità e aridità di spirito, benché con tutte queste
pene, bene spesso era favorita in modo particolare ed inesprimibile
all’intelletto umano, che non conosce questi doni soprannaturali e le vie dello
spirito!
A tutto questo si aggiunsero vari disgusti che
ricevette dai parenti e da altre persone che cercavano di sollevare una delle
figlie col biasimare la sua condotta, facendole credere che il vivere ritirata
dal mondo di Elisabetta era l’ostacolo al suo collocamento matrimoniale,
dandole ad intendere ancora che vi era chi l’aveva richiesta, ma atteso il
vivere ritirato della madre, aveva ricusato118 di seco lei
apparentarsi.
La semplicetta credette quanto le dissero e molto
se ne afflisse; per questo oggetto sentiva dello sdegno contro la madre e molto
se ne gravava della sua condotta e stava inquieta e mesta e non si avvedeva che
questa era una larva del demonio per mettere discordia e confusione fra lei e
la madre che conosceva il tutto ma dissimulava per non irritarla, aspettando il
tempo opportuno. Intanto faceva fervide preghiere per ottenerle la primiera
calma, difatti, come a Iddio piacque, la figlia manifestò alla madre quanto le
avevano detto, come ancora il dissapore119 e lo sdegno che sentiva
verso la medesima, per il racconto che le avevano fatto i parenti.
Con molte lagrime la figlia le narrò il tutto,
domandandole umilmente perdono; ed aggiunse di più, che per quanta resistenza
faceva per discacciare questo dissapore che sentiva contro la madre, viepiù la
molestava contro sua voglia.
Il Signore dette la grazia ad Elisabetta di
ascoltare tutto il suo ragionamento con molta tranquillità di spirito e
serenità di volto, assicurandola che sentiva un amor grande verso di lei e le
significò di non trovarsi affatto offesa dal suo racconto, mentre conosceva
chiaramente essere questa una forte tentazione del demonio, alla quale lei
doveva resistere. Le disse ancora molte altre cose per tranquillizzarla,
spiegandole di essere contenta che si allocasse, ma doveva aspettare che il
Signore le inviasse quello che le fosse destinato dalla divina provvidenza. Se
a qualche richiesta aveva dato la negativa ablativa senza sentire lei, lo aveva
fatto per il suo bene spirituale e temporale, prevedendo un infelice esito e in
questo modo terminò il ragionamento, restando con la massima tranquillità e
pace per un po’ di tempo.
Ma in seguito, parendo a questa figlia che la
madre non pensava più di collocarla, si mise a parlare e trattare con un
appigionante. Elisabetta si avvide di tutto e l’andava avvertendo che con
questo procedere disgustava Iddio e si formava l’ostacolo a un miglior
matrimonio, mentre quegli non era persona sua pari e di non corretti costumi e
si ritirasse.
Con tutte queste repressioni e passioni, fu
sorpresa la suddetta figlia da febbre perniciosa120 e da altre
complicazioni; non mancò la buona madre di chiamare subito professori e
apprestarle quei rimedi dagli stessi prescritti.
L’assistenza e la servitù che le fece Elisabetta
di giorno e di notte, non fu minore dell’altra malattia. A tutti questi
strapazzi e sollecitudini che si prendeva, si univano i rimproveri dei parenti
che si portavano a visitare l’inferma, facendo alla medesima tanti atti di
compassione, dicendole che per la bizzocheria della madre era ridotta così in
cattiva salute e ad Elisabetta un mondo di rimproveri ché per sua cagione la
figlia si intisichiva121 ed era vittima della sua santità male intesa.
A tutti questi diverbi Elisabetta non si scusava,
né giustificava la sua condotta per non entrare in questioni, offrendo questi
ingiusti rimproveri al Signore, diportandosi con una semplice disinvoltura, nel
decorso dell’infermità della figlia.
Dopo vari giorni terminò la febbre alla suddetta e
principiò a ristabilirsi, ma ad Elisabetta premeva molto togliere alla figlia
l’occasione di quell’appigionante e pregò sua sorella se voleva riceverla in
casa sua, essendo sola. La sorella la ricevette molto volentieri, essendole non
molto tempo prima mancata la loro madre.
Elisabetta propose questa sua risoluzione, di
mandare la figlia a cambiare aria dalla sua sorella, al consorte per farla
ristabilire e liberarla da quell’occasione di cui anch’egli si era avveduto; e
così combinarono con piena soddisfazione anche della figlia che andò volentieri
con la zia.
In questo tempo che mancava la figlia, pensò con
l’intelligenza del consorte di cambiare casa. La trovò vicino alle quattro
fontane con maggiori comodi, anche con il giardino e così si trasferirono a
quest’altra abitazione e anche la suddetta figlia fu contentissima. Ma siccome
con la zia stava volentieri e si era ristabilita in perfetta salute, Elisabetta
per compiacerla, in quei pochi anni che sopravvisse, le dava il permesso che
passasse qualche settimana e mese con la sopraddetta zia, pregando sempre il
Signore che si degnasse di aprire qualche strada, per rendere contenta questa
figlia, secondo il Suo beneplacito e per il bene della sua anima.
Riporterò un fatto che raccontò Elisabetta alla
sua figlia minore, a vantaggio della figlia maggiore, e da questo ne risultò in
seguito un buon collocamento. Ecco come si espresse appena tornata in casa,
essendo stata in Chiesa a San Carlo alle Quattro Fontane.
Sentite
figlia, cosa mi è accaduto questa mattina. Dopo essermi comunicata mi è andato
l’occhio ad una lapide nuova, poco distante da dove mi ero posta in ginocchio.
Senza mia volontà gli occhi mi si fermavano in quella lapide; più volevo
ritirarli, viepiù la vista sulla lapide si fermava. Fui dunque obbligata a
leggere contro la mia volontà, e leggo: «Qui riposano
le ceneri di Carolina Alvarez». Pensai
che questa fosse una donna anziana, di vecchia età, che avesse in vita
frequentato la suddetta Chiesa, e per sua devozione stesse lì sepolta. Formato
questo pensiero, così sento dirmi con voce mesta e dolente: «Non sono vecchia come tu credi; ma sappi che
sono di giovanile età, sovvengati chi io sono, pure in vita mi conoscesti! Leggi con attenzione che mi rammenterai». Torno a leggere con riflessione la lapide e
ben conobbi esser questa la figlia del celebre scultore Alvarez, che abitava
incontro a noi all’altra casa, come voi bene ricorderete, era tanto cara e
sapevamo che era passata all’altra
vita, di tenera età, non avendo che 16122 anni. Supponendo che già stesse in paradiso, così io le dissi:
«Anima benedetta, che già sei in cielo, prega per me, misera peccatrice». Così mi rispose la suddetta: «Sappi che
ancora sono dalla giustizia di Dio ritenuta in purgatorio, da te aspetto il
suffragio e la liberazione da questo orrido carcere! La tua preghiera molto mi
può giovare; impegnati per me presso l’altissimo Iddio, perché io possa andarlo
presto a godere per tutta l’interminabile eternità. Se mi ottieni questa
grazia, io ti prometto di ottener grazia da Iddio per Anna123 tua
figlia».
A
queste parole intesi tutto commuovermi lo spirito, e piangendo così le risposi: «E che cosa posso farti io, anima
benedetta, che sono tanto miserabile e peccatrice che devo confessare, a mia
confusione, che sono la creatura più vile della terra?».
Proseguendo
a piangere, non sapevo cosa dovevo fare per liberare quest’anima, trovandomi
tanto profondata nel mio proprio nulla; pensai di parlare, questa mattina
medesima, al mio confessore, lo feci chiamare e tornai per la seconda volta in
confessionale e gli raccontai quanto mi era accaduto.
Il
buon Padre, vedendomi piangere e sentendo da me che non sapevo come fare per
aiutare quest’anima, con voce grave così mi disse:
«Fatevi coraggio, che se voi conoscete di essere una peccatrice, non vi dovete
smarrire per questo, avete i meriti di Gesù Cristo, in questi dovete avere
tutta la fiducia. Presentatevi all’eterno Padre, chiedetegli questa grazia in
nome del suo santissimo Figliolo e per gli infiniti suoi meriti, e non abbiate
paura che non solo potete liberare quest’anima dal purgatorio, ma anche mille,
se vuole. E andate, che siete una sciocca. «Io», mi disse, «vi comando che preghiate per quest’anima, che domani
voglio che se ne vada in paradiso. Veramente siete una sciocca che non vi
sapete approfittare della grazia che vi fa il Signore. Ricordatevi che più
volte si è degnato di consegnarvi le chiavi del purgatorio; dite dunque a Gesù
Cristo che ve le ridia per scarcerare quest’anima, ditegli che questo è il
comando del vostro confessore, ditegli che, se gli piace, vi faccia fare questa
obbedienza. Chiedetelo a Iddio per la sua infinita carità, vedrete che non vi
negherà la grazia».
Alle
parole del mio padre124 ad altro non pensai che a obbedirlo
puntualmente col fare quanto mi aveva comandato. «In questo giorno farò
quanto posso per suffragare quest’anima, visiterò la Via Crucis ed altre
preghiere. Me ne vado subito in cappella senza pensare ad altro, lascio a voi
figlia mia, il pensiero della casa».
Così per quel giorno e anche tutta la notte,
Elisabetta stette sempre in orazione, prendendo uno scarso riposo per terra
sopra un pagliaccetto di crine, come era solita.
Il giorno dopo se ne andò in Chiesa per ricevere
la Santa Comunione; appena tornata a casa narrò alla figlia il compimento del
racconto, ecco le sue parole: Questa
mattina ho applicato la Santa Comunione in suffragio di quest’anima, si è
concentrato il mio spirito tutto in Dio. In quel tempo così mi ha parlato la
suddetta, ma senza vederla: «Ti rendo infinite grazie, fra poco me ne volo
al paradiso, sarò sempre memore della tua carità. Torno a prometterti di
ottenere da Iddio grazia per Anna125, tua figlia; non dimenticherò i
miei genitori, ai quali spero di ottenere la misericordia di Dio. Pregherò
ancora per il tuo padre spirituale, al quale devo la sollecita mia liberazione
dal purgatorio, per il comando che ti ha imposto».
Circa
un’ora e mezza dopo viepiù si è concentrato il mio spirito, e mi è parso di
trovarmi sopra un altissimo monte. Da quella altura ho veduto la bella anima di
Carolina che se ne volava al cielo in mezzo ad uno splendore di chiarissima
luce. Ma quello che mi ha sorpreso è stato di osservare che portava un bello
scapolare trinitario, tutto risplendente, con la croce rossa e turchina, lunga
e larga quanto era lo scapolare. Ho domandato come le convenisse quel nobile
segnale. Mi è stato risposto, «per essersi Iddio degnato di annoverare questa anima sotto il glorioso
stendardo dell’Ordine Trinitario per avere il di lei padre consegnato il suo
cadavere ai Padri Trinitari con molto affetto di devozione».
È
stato il mio spirito invitato a ringraziare la Santissima Trinità, per averle
compartito questo favore.
Finalmente
quella benedetta anima si è sollevata al cielo risplendente di gloria. Così ne
ho perduto la vista, ma mi è restato nel cuore un giubilo di paradiso. Quella
vista ha sollevato il mio spirito a contemplare l’infinita bontà di Dio e le
sue infinite perfezioni, l’infinito suo amore verso di noi, poveri figli di
Adamo.
Così Elisabetta terminò il discorso con la figlia,
si ritirò quindi nella sua cappella e per tre giorni stette alienata dai sensi.
Non partiva dalla cappella se non per andare in Chiesa per ricevere la Santa
Comunione, procurando di non farsi vedere da alcuno quando si trovava in queste
alienazioni.
Proseguì Elisabetta il suo tenore di vita per
molto tempo dopo il surriferito fatto, facendo in modo che le figlie operassero
secondo i propri doveri e dando il permesso di prendersi anche qualche sollievo
innocente, accordando alla figlia maggiore di passare vari mesi dell’anno, come
si è detto, con la zia, sua sorella.
Un giorno, dunque, che questa figlia stava dalla
zia, Elisabetta si trovava sola con la figlia minore, la chiamò con molta
fretta e le disse: Ti voglio raccontare
una bella cosa, e così principiò il suo racconto: Adesso vedo il frutto della preghiera e della promessa di Carolina Alvarez. Stavo in orazione con molta quiete,
quanto mi è stato manifestato che è volontà di Dio che Marianna passi allo
stato matrimoniale. Ma quello che mi ha pienamente consolato, è stato che nel
vederla in questo stato, mi pareva di vedere come fosse circondata da siepe, di
maniera che alcun nemico poteva predarla126, e questa siepe la riguarderebbe in modo da tenerla lontana dal
peccato e da ogni sorta di corruzione e cattive occasioni del mondo guasto.
Non si saziava di ripetere: Che consolazione mi ha recato il mio carissimo Signore di essere assicurata dalla quasi impossibilità che
questa figlia sia offesa in questo stato tanto pericoloso e pieno di lacci e di
occasioni grandi; attendiamo dunque di vedere come disporrà la divina
provvidenza e il soggetto che Iddio le invierà per custodirla.
In questo modo terminò il ragionamento su questo
proposito, ma proseguì a parlare della grazia grande che Iddio aveva fatto a
lei di non pensare ad altro che a consagrarsi a lui interamente.
La fece riflettere che senza alcun merito ma
gratuitamente le aveva compartito tale grazia e doveva dimostrargli
corrispondenza e gratitudine.
Di più le aggiunse: Conosco di essere l’ostacolo per cui voi non vi facciate monaca, a mio
riguardo, no, figlia andate pure dove
Iddio vi chiama.
Le rispose la suddetta: Non sia mai, mamma mia, che io l’abbandoni,
il Signore mi ha chiamato, è vero, per sua misericordia contro ogni mio merito,
ma le dico sinceramente che per non lasciare lei sarei pronta a rinunziare al
trono di regina nel secolo e di essere santa se mi fosse promesso di entrare
adesso in monastero.
Io
adesso non penso a niente, il Signore disporrà in seguito come vuole, adesso
sono tranquilla perché conosco di fare la volontà di Dio con l’assistere lei
mamma mia, trovandomi contenta di aiutarla a portare il peso di mio padre e di
mia sorella, e nel dover disbrigare tutte le aziende
di casa; lei non potrebbe da sola disimpegnare queste aziende. Elisabetta a
questo parlare della figlia, si mostrò gratissima e le soggiunse: Vi voglio confidare un’altra cosa che mi
accadde anni addietro.
Iddio
mi si diede a vedere nuovamente sdegnato, per le grandi ingratitudini degli
uomini, mi fece conoscere le forti risoluzioni che avrebbe preso la sua divina
giustizia, per punire tanta ingratitudine e scelleraggine. Qual pena recò alla
povera anima mia, questa cognizione non ve la posso esprimere; primo per vedere
Dio offeso, secondo per vedere tanto danno del mio prossimo. Piangevo, mi
affliggevo e il povero mio spirito era sopraffatto da una profonda mestizia
che non potevo contenere.
Non
lasciavo di raccomandarmi caldamente al Signore e di nuovo offrirmi a partire
per la sua gloria e per il bene del mio prossimo. Nonostante l’offerta che
avevo fatto di tutto cuore, di patire per il bene del mio prossimo, non
lasciavo di sentire una nausea di restare in questo mondo, per non trattenermi
in mezzo a tante iniquità e a tante gravi offese che si fanno a Iddio che,
quasi senza il voto del cuore, il mio spirito era portato alla necessità di
pregare il Signore di levarmi con la morte da questa valle di miserie per
liberarmi così da tanti pericoli di offenderlo. Non lasciava Iddio per sua
bontà di consolarmi, facendomi intendere che se gli uomini avessero
maliziosamente imperversato127 col disprezzare le sue
misericordie, mi avrebbe levata da questo mondo di iniquità e si sarebbe
degnato, mediante i suoi meriti, di premiare le mie povere fatiche e i poveri
miei sagrifici fatti per amor suo, con premio eterno. Il compimento delle mie
consolazioni non era per me, perché sopraffatta dalla carità verso il mio prossimo, molto più avrei gradito di
partire quanto mai dire si possa, è che Iddio si compiacesse nella sua
santissima volontà di mandarmi all’inferno.
Molto
volentieri ci andrei, unita sempre al suo divino amore, patirei quelli atroci
tormenti, per non vedere tante anime perdute e per non vedere Iddio tanto
offeso. Queste sono le mie continue preghiere, se poi piaccia al mio Dio di
lasciarmi in vita, ovvero voglia mandarmi la morte in breve tempo, il mio
spirito è tranquillo e si compiace nella sua santissima volontà. Vi
ho voluto dire questo, o figlia, perché io presentemente non conosco le disposizioni
che prenderà sopra di me il Signore, acciò voi riflettiate su quello che
credete di fare riguardo al vostro stato, non intendendo di impedirvi
l’ingresso in qualunque monastero siate chiamata. A questo parlare di
Elisabetta la figlia tornò a confermare quanto le aveva detto altre volte, che
mai e poi mai l’avrebbe abbandonata, non curando né cercando qualunque
vantaggio spirituale o temporale, e con queste parole le impose il silenzio.
|