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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

IntraText CT - Lettura del testo

  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO PRIMO
        • 31 - Elisabetta con molto coraggio sostiene altri travagli - Particolare assistenza alla sua figlia maggiore in un’altra malattia - Grazia ottenuta da Iddio per la suddetta figlia
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31 - Elisabetta con molto coraggio sostiene altri travagli - Particolare assistenza alla sua figlia maggiore in un’altra malattia - Grazia ottenuta da Iddio per la suddetta figlia

 

Quanto mai dovette soffrire Elisabetta in questi anni di pene interne, di oscurità e aridità di spirito, benché con tutte queste pene, bene spesso era favorita in modo particolare ed inesprimibile all’intelletto umano, che non conosce questi doni soprannaturali e le vie dello spirito!

A tutto questo si aggiunsero vari disgusti che ricevette dai parenti e da altre persone che cercavano di sollevare una delle figlie col biasimare la sua condotta, facendole credere che il vivere ritirata dal mondo di Elisabetta era l’ostacolo al suo collocamento matrimoniale, dandole ad intendere ancora che vi era chi l’aveva richiesta, ma atteso il vivere ritirato della madre, aveva ricusato118 di seco lei apparentarsi.

La semplicetta credette quanto le dissero e molto se ne afflisse; per questo oggetto sentiva dello sdegno contro la madre e molto se ne gravava della sua condotta e stava inquieta e mesta e non si avvedeva che questa era una larva del demonio per mettere discordia e confusione fra lei e la madre che conosceva il tutto ma dissimulava per non irritarla, aspettando il tempo opportuno. Intanto faceva fervide preghiere per ottenerle la primiera calma, difatti, come a Iddio piacque, la figlia manifestò alla madre quanto le avevano detto, come ancora il dissapore119 e lo sdegno che sentiva verso la medesima, per il racconto che le avevano fatto i parenti.

Con molte lagrime la figlia le narrò il tutto, domandandole umilmente perdono; ed aggiunse di più, che per quanta resistenza faceva per discacciare questo dissapore che sentiva contro la madre, viepiù la molestava contro sua voglia.

Il Signore dette la grazia ad Elisabetta di ascoltare tutto il suo ragionamento con molta tranquillità di spirito e serenità di volto, assicurandola che sentiva un amor grande verso di lei e le significò di non trovarsi affatto offesa dal suo racconto, mentre conosceva chiaramente essere questa una forte tentazione del demonio, alla quale lei doveva resistere. Le disse ancora molte altre cose per tranquillizzarla, spiegandole di essere contenta che si allocasse, ma doveva aspettare che il Signore le inviasse quello che le fosse destinato dalla divina provvidenza. Se a qualche richiesta aveva dato la negativa ablativa senza sentire lei, lo aveva fatto per il suo bene spirituale e temporale, prevedendo un infelice esito e in questo modo terminò il ragionamento, restando con la massima tranquillità e pace per un po’ di tempo.

Ma in seguito, parendo a questa figlia che la madre non pensava più di collocarla, si mise a parlare e trattare con un appigionante. Elisabetta si avvide di tutto e l’andava avvertendo che con questo procedere disgustava Iddio e si formava l’ostacolo a un miglior matrimonio, mentre quegli non era persona sua pari e di non corretti costumi e si ritirasse.

Con tutte queste repressioni e passioni, fu sorpresa la suddetta figlia da febbre perniciosa120 e da altre complicazioni; non mancò la buona madre di chiamare subito professori e apprestarle quei rimedi dagli stessi prescritti.

L’assistenza e la servitù che le fece Elisabetta di giorno e di notte, non fu minore dell’altra malattia. A tutti questi strapazzi e sollecitudini che si prendeva, si univano i rimproveri dei parenti che si portavano a visitare l’inferma, facendo alla medesima tanti atti di compassione, dicendole che per la bizzocheria della madre era ridotta così in cattiva salute e ad Elisabetta un mondo di rimproveri ché per sua cagione la figlia si intisichiva121 ed era vittima della sua santità male intesa.

A tutti questi diverbi Elisabetta non si scusava, né giustificava la sua condotta per non entrare in questioni, offrendo questi ingiusti rimproveri al Signore, diportandosi con una semplice disinvoltura, nel decorso dell’infermità della figlia.

Dopo vari giorni terminò la febbre alla suddetta e principiò a ristabilirsi, ma ad Elisabetta premeva molto togliere alla figlia l’occasione di quell’appigionante e pregò sua sorella se voleva riceverla in casa sua, essendo sola. La sorella la ricevette molto volentieri, essendole non molto tempo prima mancata la loro madre.

Elisabetta propose questa sua risoluzione, di mandare la figlia a cambiare aria dalla sua sorella, al consorte per farla ristabilire e liberarla da quell’occasione di cui anch’egli si era avveduto; e così combinarono con piena soddisfazione anche della figlia che andò volentieri con la zia.

In questo tempo che mancava la figlia, pensò con l’intelligenza del consorte di cambiare casa. La trovò vicino alle quattro fontane con maggiori comodi, anche con il giardino e così si trasferirono a quest’altra abitazione e anche la suddetta figlia fu contentissima. Ma siccome con la zia stava volentieri e si era ristabilita in perfetta salute, Elisabetta per compiacerla, in quei pochi anni che sopravvisse, le dava il permesso che passasse qualche settimana e mese con la sopraddetta zia, pregando sempre il Signore che si degnasse di aprire qualche strada, per rendere contenta questa figlia, secondo il Suo beneplacito e per il bene della sua anima.

Riporterò un fatto che raccontò Elisabetta alla sua figlia minore, a vantaggio della figlia maggiore, e da questo ne risultò in seguito un buon collocamento. Ecco come si espresse appena tornata in casa, essendo stata in Chiesa a San Carlo alle Quattro Fontane.

Sentite figlia, cosa mi è accaduto questa mattina. Dopo essermi comunicata mi è andato l’occhio ad una lapide nuova, poco distante da dove mi ero posta in ginocchio. Senza mia volontà gli occhi mi si fermavano in quella lapide; più volevo ritirarli, viepiù la vista sulla lapide si fermava. Fui dunque obbligata a leggere contro la mia volontà, e leggo: «Qui riposano le ceneri di Carolina Alvarez». Pensai che questa fosse una donna anziana, di vecchia età, che avesse in vita frequentato la suddetta Chiesa, e per sua devozione stesse sepolta. Formato questo pensiero, così sento dirmi con voce mesta e dolente: «Non sono vecchia come tu credi; ma sappi che sono di giovanile età, sovvengati chi io sono, pure in vita mi conoscesti! Leggi con attenzione che mi rammenterai». Torno a leggere con riflessione la lapide e ben conobbi esser questa la figlia del celebre scultore Alvarez, che abitava incontro a noi all’altra casa, come voi bene ricorderete, era tanto cara e sapevamo che era passata all’altra vita, di tenera età, non avendo che 16122 anni. Supponendo che già stesse in paradiso, così io le dissi: «Anima benedetta, che già sei in cielo, prega per me, misera peccatrice». Così mi rispose la suddetta: «Sappi che ancora sono dalla giustizia di Dio ritenuta in purgatorio, da te aspetto il suffragio e la liberazione da questo orrido carcere! La tua preghiera molto mi può giovare; impegnati per me presso l’altissimo Iddio, perché io possa andarlo presto a godere per tutta l’interminabile eternità. Se mi ottieni questa grazia, io ti prometto di ottener grazia da Iddio per Anna123 tua figlia».

A queste parole intesi tutto commuovermi lo spirito, e piangendo così le risposi: «E che cosa posso farti io, anima benedetta, che sono tanto miserabile e peccatrice che devo confessare, a mia confusione, che sono la creatura più vile della terra?».

Proseguendo a piangere, non sapevo cosa dovevo fare per liberare quest’anima, trovandomi tanto profondata nel mio proprio nulla; pensai di parlare, questa mattina medesima, al mio confessore, lo feci chiamare e tornai per la seconda volta in confessionale e gli raccontai quanto mi era accaduto.

Il buon Padre, vedendomi piangere e sentendo da me che non sapevo come fare per aiutare quest’anima, con voce grave così mi disse: «Fatevi coraggio, che se voi conoscete di essere una peccatrice, non vi dovete smarrire per questo, avete i meriti di Gesù Cristo, in questi dovete avere tutta la fiducia. Presentatevi all’eterno Padre, chiedetegli questa grazia in nome del suo santissimo Figliolo e per gli infiniti suoi meriti, e non abbiate paura che non solo potete liberare quest’anima dal purgatorio, ma anche mille, se vuole. E andate, che siete una sciocca. «Io», mi disse, «vi comando che preghiate per quest’anima, che domani voglio che se ne vada in paradiso. Veramente siete una sciocca che non vi sapete approfittare della grazia che vi fa il Signore. Ricordatevi che più volte si è degnato di consegnarvi le chiavi del purgatorio; dite dunque a Gesù Cristo che ve le ridia per scarcerare quest’anima, ditegli che questo è il comando del vostro confessore, ditegli che, se gli piace, vi faccia fare questa obbedienza. Chiedetelo a Iddio per la sua infinita carità, vedrete che non vi negherà la grazia».

Alle parole del mio padre124 ad altro non pensai che a obbedirlo puntualmente col fare quanto mi aveva comandato. «In questo giorno farò quanto posso per suffragare quest’anima, visiterò la Via Crucis ed altre preghiere. Me ne vado subito in cappella senza pensare ad altro, lascio a voi figlia mia, il pensiero della casa».

Così per quel giorno e anche tutta la notte, Elisabetta stette sempre in orazione, prendendo uno scarso riposo per terra sopra un pagliaccetto di crine, come era solita.

Il giorno dopo se ne andò in Chiesa per ricevere la Santa Comunione; appena tornata a casa narrò alla figlia il compimento del racconto, ecco le sue parole: Questa mattina ho applicato la Santa Comunione in suffragio di quest’anima, si è concentrato il mio spirito tutto in Dio. In quel tempo così mi ha parlato la suddetta, ma senza vederla: «Ti rendo infinite grazie, fra poco me ne volo al paradiso, sarò sempre memore della tua carità. Torno a prometterti di ottenere da Iddio grazia per Anna125, tua figlia; non dimenticherò i miei genitori, ai quali spero di ottenere la misericordia di Dio. Pregherò ancora per il tuo padre spirituale, al quale devo la sollecita mia liberazione dal purgatorio, per il comando che ti ha imposto».

Circa un’ora e mezza dopo viepiù si è concentrato il mio spirito, e mi è parso di trovarmi sopra un altissimo monte. Da quella altura ho veduto la bella anima di Carolina che se ne volava al cielo in mezzo ad uno splendore di chiarissima luce. Ma quello che mi ha sorpreso è stato di osservare che portava un bello scapolare trinitario, tutto risplendente, con la croce rossa e turchina, lunga e larga quanto era lo scapolare. Ho domandato come le convenisse quel nobile segnale. Mi è stato risposto, «per essersi Iddio degnato di annoverare questa anima sotto il glorioso stendardo dell’Ordine Trinitario per avere il di lei padre consegnato il suo cadavere ai Padri Trinitari con molto affetto di devozione».

È stato il mio spirito invitato a ringraziare la Santissima Trinità, per averle compartito questo favore.

Finalmente quella benedetta anima si è sollevata al cielo risplendente di gloria. Così ne ho perduto la vista, ma mi è restato nel cuore un giubilo di paradiso. Quella vista ha sollevato il mio spirito a contemplare l’infinita bontà di Dio e le sue infinite perfezioni, l’infinito suo amore verso di noi, poveri figli di Adamo.

Così Elisabetta terminò il discorso con la figlia, si ritirò quindi nella sua cappella e per tre giorni stette alienata dai sensi. Non partiva dalla cappella se non per andare in Chiesa per ricevere la Santa Comunione, procurando di non farsi vedere da alcuno quando si trovava in queste alienazioni.

Proseguì Elisabetta il suo tenore di vita per molto tempo dopo il surriferito fatto, facendo in modo che le figlie operassero secondo i propri doveri e dando il permesso di prendersi anche qualche sollievo innocente, accordando alla figlia maggiore di passare vari mesi dell’anno, come si è detto, con la zia, sua sorella.

Un giorno, dunque, che questa figlia stava dalla zia, Elisabetta si trovava sola con la figlia minore, la chiamò con molta fretta e le disse: Ti voglio raccontare una bella cosa, e così principiò il suo racconto: Adesso vedo il frutto della preghiera e della promessa di Carolina Alvarez. Stavo in orazione con molta quiete, quanto mi è stato manifestato che è volontà di Dio che Marianna passi allo stato matrimoniale. Ma quello che mi ha pienamente consolato, è stato che nel vederla in questo stato, mi pareva di vedere come fosse circondata da siepe, di maniera che alcun nemico poteva predarla126, e questa siepe la riguarderebbe in modo da tenerla lontana dal peccato e da ogni sorta di corruzione e cattive occasioni del mondo guasto.

Non si saziava di ripetere: Che consolazione mi ha recato il mio carissimo Signore di essere assicurata dalla quasi impossibilità che questa figlia sia offesa in questo stato tanto pericoloso e pieno di lacci e di occasioni grandi; attendiamo dunque di vedere come disporrà la divina provvidenza e il soggetto che Iddio le invierà per custodirla.

In questo modo terminò il ragionamento su questo proposito, ma proseguì a parlare della grazia grande che Iddio aveva fatto a lei di non pensare ad altro che a consagrarsi a lui interamente.

La fece riflettere che senza alcun merito ma gratuitamente le aveva compartito tale grazia e doveva dimostrargli corrispondenza e gratitudine.

Di più le aggiunse: Conosco di essere l’ostacolo per cui voi non vi facciate monaca, a mio riguardo, no, figlia andate pure dove Iddio vi chiama.

Le rispose la suddetta: Non sia mai, mamma mia, che io l’abbandoni, il Signore mi ha chiamato, è vero, per sua misericordia contro ogni mio merito, ma le dico sinceramente che per non lasciare lei sarei pronta a rinunziare al trono di regina nel secolo e di essere santa se mi fosse promesso di entrare adesso in monastero.

Io adesso non penso a niente, il Signore disporrà in seguito come vuole, adesso sono tranquilla perché conosco di fare la volontà di Dio con l’assistere lei mamma mia, trovandomi contenta di aiutarla a portare il peso di mio padre e di mia sorella, e nel dover disbrigare tutte le aziende di casa; lei non potrebbe da sola disimpegnare queste aziende. Elisabetta a questo parlare della figlia, si mostrò gratissima e le soggiunse: Vi voglio confidare un’altra cosa che mi accadde anni addietro.

Iddio mi si diede a vedere nuovamente sdegnato, per le grandi ingratitudini degli uomini, mi fece conoscere le forti risoluzioni che avrebbe preso la sua divina giustizia, per punire tanta ingratitudine e scelleraggine. Qual pena recò alla povera anima mia, questa cognizione non ve la posso esprimere; primo per vedere Dio offeso, secondo per vedere tanto danno del mio prossimo. Piangevo, mi affliggevo e il povero mio spirito era sopraffatto da una profonda mestizia che non potevo contenere.

Non lasciavo di raccomandarmi caldamente al Signore e di nuovo offrirmi a partire per la sua gloria e per il bene del mio prossimo. Nonostante l’offerta che avevo fatto di tutto cuore, di patire per il bene del mio prossimo, non lasciavo di sentire una nausea di restare in questo mondo, per non trattenermi in mezzo a tante iniquità e a tante gravi offese che si fanno a Iddio che, quasi senza il voto del cuore, il mio spirito era portato alla necessità di pregare il Signore di levarmi con la morte da questa valle di miserie per liberarmi così da tanti pericoli di offenderlo. Non lasciava Iddio per sua bontà di consolarmi, facendomi intendere che se gli uomini avessero maliziosamente imperversato127 col disprezzare le sue misericordie, mi avrebbe levata da questo mondo di iniquità e si sarebbe degnato, mediante i suoi meriti, di premiare le mie povere fatiche e i poveri miei sagrifici fatti per amor suo, con premio eterno. Il compimento delle mie consolazioni non era per me, perché sopraffatta dalla carità verso il mio prossimo, molto più avrei gradito di partire quanto mai dire si possa, è che Iddio si compiacesse nella sua santissima volontà di mandarmi all’inferno.

Molto volentieri ci andrei, unita sempre al suo divino amore, patirei quelli atroci tormenti, per non vedere tante anime perdute e per non vedere Iddio tanto offeso. Queste sono le mie continue preghiere, se poi piaccia al mio Dio di lasciarmi in vita, ovvero voglia mandarmi la morte in breve tempo, il mio spirito è tranquillo e si compiace nella sua santissima volontà. Vi ho voluto dire questo, o figlia, perché io presentemente non conosco le disposizioni che prenderà sopra di me il Signore, acciò voi riflettiate su quello che credete di fare riguardo al vostro stato, non intendendo di impedirvi l’ingresso in qualunque monastero siate chiamata. A questo parlare di Elisabetta la figlia tornò a confermare quanto le aveva detto altre volte, che mai e poi mai l’avrebbe abbandonata, non curandocercando qualunque vantaggio spirituale o temporale, e con queste parole le impose il silenzio.


 




118 Rifiutato.



119 Discordia.



120 Febbre malarica violenta con alta temperatura e delirio.



121 Deperiva.



122 Morì il 4 novembre 1821 all’età di 14 anni e fu sepolta nella cripta della Chiesa al n. 10. Sicché Elisabetta, nell’occasione suddetta, pregava nella cripta o Chiesa sotterranea. (Cfr. Libri dei Defunti Sepultados en la Iglesia de San Carlino, 1638, J759).



123 Marianna.



124 Padre Ferdinando di San Luigi Gonzaga, trinitario.



125 Marianna.



126 Strapparla con la forza.



127 Infierito.






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