Nel terminare il mese di novembre del
1824, cadde inferma la suocera di Elisabetta. Chi può descrivere le premure della
suddetta, in particolar modo con le più ferventi orazioni, mentre l’amava come
una madre ed ella la riguardava come una figlia carissima! Non mancò di andarla
a visitare e riceverne la benedizione. Nel decorso dell’infermità mandava
spesso le figlie in sua vece a visitarla, con il padre o con la donna di
servizio, quando egli non poteva. Benché non mancava il suddetto di visitare la
madre anche due volte al giorno e, se non poteva durante il giorno suppliva la
sera, anche per darne parte alla consorte perché pregasse con maggior fervore
per la salute della madre. Ma Elisabetta sapeva che quella era l’ultima
infermità della sua amatissima suocera; tutte le sue preghiere erano
indirizzate per un felice passaggio, giorno e notte stava quasi sempre ritirata
in cappella.
Finalmente il 12 dicembre 1824, cessò di
vivere con una morte preziosa, in pieni sentimenti e con un’intenzione di animo
che fece tenerezza e ammirazione a chi si trovò presente, accompagnando le
preci non solo quando ricevette i sagramenti, ma fino all’ultimo momento del
suo vivere.
Elisabetta la mattina di buonora avvisò le
figlie che la nonna era trapassata e le mandò a fare le devozioni per suffragio
della sua anima. La suddetta si portò ancora in Chiesa per ricevere la Santa
Comunione e ascoltare più Messe. Dopo essere tornata in casa, nella giornata
chiamò la figlia e le disse: Sentite
quello che mi è accaduto: stavo pregando con tutto l’affetto del cuore per
conoscere lo stato dell’anima della mia degnissima suocera. Il Signore mi ha
fatto conoscere che si trova in purgatorio. L’ho pregato tanto perché si degni
di liberarla presto da quelle pene per i suoi meriti infiniti. Mi sono offerta
a qualunque penalità acciò mi conceda questa grazia, senti la risposta che ho
avuto ‘Quando un sacerdote verrà all’improvviso a celebrare la Messa nella
tua cappella, in quella Messa che tu ascolterai, condurrò quest’anima a godermi
svelatamente per tutta l’eternità in paradiso’.
A
questa promessa del mio Signore Gesù Cristo, si è molto consolato il mio spirito
e con atti di gratitudine l’ho ringraziato per tanta degnazione di aver
ascoltato la mia miserabile preghiera a pro di quest’anima. Sento peraltro un
desiderio di pregarlo che per sua bontà abbrevi il tempo a questa sua
misericordia e mi invii questa Santa Messa. Difatti pochi giorni dopo, se non erro il giorno
dell’aspettazione del parto di Maria santissima, il 18 dicembre, la mattina di
buonora Elisabetta con la figlia minore si erano preparate per andare insieme
in Chiesa. La figlia voleva sollecitarla, essendo suonata la Messa e, siccome
la madre tardava andò a vedere perché ritardava e le disse: Mamma mia si sbrighi, altrimenti non
facciamo in tempo, ma la suddetta allungava di maniera che pareva non
potesse andare.
In questo intervallo sente una suonata di
campanello, Elisabetta chiama la figlia e le dice: Corri che questa è la Messa improvvisa, va’ ad aprire la porta. In
realtà era il buon Fra Mariangelo camaldolese, il quale venne per parte di un
Padre dell’istesso Ordine a pregarla se poteva celebrare quella mattina la
Santa Messa nella sua cappella, sentendone una necessità e un impulso tanto
forte che tutta la notte aveva combattuto come fosse una tentazione, per non
eseguirla e, quando è andato a celebrare la Messa dove è solito, è dovuto tornare
indietro per eseguire l’ordine di Dio, sicché disse il buon laico: Se vi contentate verrà subito. Rispose Elisabetta: Che vi pare Fra Mariangelo mio, ditegli che
mi comparte un favore grande, senza spiegare altro.
Chi può spiegare l’allegria e il contento
della suddetta! Principiò a battere le mani di consolazione, fece spogliare la
figlia e le fece preparare la cappella per far celebrare questa Messa tanto
desiderata dalla medesima. Arrivò il buon Padre domandando scusa per l’ardire
che si era preso, non essendovi mai stato a celebrare la Messa, ma non aveva
potuto resistere al comando di Dio.
Questo Padre celebrò la Santa Messa con un
indicibile fervore, e le consolazioni di Elisabetta non sono spiegabili, mentre
dopo che ella si era comunicata, vide l’ingresso in cielo dell’anima della sua
suocera, in mezzo ad un’immensa luce, come le aveva promesso il Signore, così
seguì.
Restò tutto quel giorno come in un’estasi
di paradiso sempre genuflessa in cappella rendendo grazie al suo Signore per un
tanto beneficio compartitole dalla misericordia di Dio.
Dopo la morte della suocera aveva mandato
di bel nuovo la sua figlia maggiore con la zia, sua sorella. In questo
frattempo, un tale Vincenzo Brandi, determinò di dare moglie ad un suo
figlio128, per la scelta si consigliò con il mentovato in addietro
Giovanni Cherubini, con il quale si confidava in tutte le risoluzioni che
voleva intraprendere. Domandò se aveva cognizione di qualche brava giovane che
fosse adatta per il suo figlio. Il buon Cherubini che conosceva intimamente gli
affari di famiglia di Elisabetta, le propose subito la di lei figlia, come la
più adatta per il suo figlio in genere di educazione, abilità e buon carattere,
e corredata anche di virtù morali.
A questo consiglio del Cherubini, non
esitò punto il suddetto Brandi di voler fare la richiesta alla madre. Si unì
con il suddetto e insieme fecero ad Elisabetta la proposta di questo matrimonio
al quale la medesima subito acconsentì perché da lume superiore conobbe che
questo era il destinato da Iddio per la sua figlia, e in questo riconobbe la
siepe che aveva veduto attorno all’anima della suddetta figlia e si decise di
stringere l’affare. Ma prima bisognava sentire la giovane che avrebbe fatto
tornare subito in casa se era contenta, poi il padre e tutti i parenti se vi
acconsentivano.
Per combinare tante cose, passarono dei
giorni, perché anche il Brandi aveva da dirlo al figlio e trattarne in
famiglia. E così passarono dei giorni senza stabilire niente, ma il matrimonio
era concluso per una parte e per l’altra. Con questa dilazione accadde un poco
di infermità di Elisabetta e questo fu un altro motivo per cui non si poté
effettuare il matrimonio. Pareva in seguito che la suddetta all’esteriore
avesse non solo migliorato, ma fosse quasi guarita, quando, si può dire
all’improvviso e inaspettatamente per gli altri ma non per lei, Iddio la chiamò
al riposo eterno, come si dirà quando prevede la sua morte e si tratterà negli
ultimi capitoli.
Per terminare su questo proposito, il
matrimonio si fece vari giorni dopo il passaggio all’altra vita di Elisabetta,
essendo già tutto combinato, non mancava che andassero all’Altare per la
cerimonia ecclesiastica, e così si fece con pari consolazione di ambedue le
famiglie.
Il motivo per cui il Signore non permise
che questo matrimonio seguisse prima della morte di Elisabetta resta occulto a
noi, mentre la divina provvidenza così dispose.
Penso peraltro che essendo la suddetta
tanto spogliata delle cose del mondo, forse le avrebbe recato molta pena il
vedere una figlia che si poneva in una carriera di pericoli e di pesi.
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