Possiamo misurare come fu eroica la speranza della
nostra Elisabetta dalla grandezza della di lei fede, essendo che Iddio è
l’oggetto dell’una e dell’altra. Della prima, come fonte di verità; della
seconda, come fonte di beatitudine eterna. La cristiana speranza dunque, deve
affatto farci diffidare di noi stessi, ed abbandonarci nelle braccia
dell’onnipotenza bontà e misericordia divina, per i meriti di Gesù Cristo
nostro riparatore.
Bisogna però equilibrare tutto ciò in maniera che
non possa piegare per due estremi opposti o di presunzione di salvarci senza
merito, o di disperazione; quanto fosse salda ed eroica nella nostra Elisabetta
questa virtù, l’osserveremo in questo capitolo.
Fu ella eletta da Dio a grandi opere, benché nella
solitudine del suo spirito e nel suo nascondimento e nei suoi umili portamenti,
pur tuttavia il Signore che con sapienza infinita dispone i mezzi necessari
perché efficacemente si ottenga il fine stabilito, le ricolmò il seno di una grande
speranza affinché non avesse a restare oppressa sotto il grave peso di quelle
opere e patimenti, in cui voleva si assoggettasse.
Dava ella chiaramente a conoscere che tutta la sua
fiducia era in Dio, aveva tanta fiducia di conseguire l’eterna beatitudine, che
confortava sempre il proprio cuore a non dubitare delle divine misericordie.
Ella sperava di certo e con fermezza, sebbene si confessava peccatrice, di
ottenere dalla divina misericordia il perdono dei peccati e la vita eterna per
i meriti di Gesù Cristo. Sovente innalzava e magnificava la misericordia divina
e, penetrata dal vivo sentimento della misericordia stessa, riponeva la sua
speranza di ricevere il premio delle sue fatiche e patimenti nella sola bontà
di Dio per i meriti di Gesù Cristo.
Si rilevava questa sua speranza dai frequenti
sospiri che vibrava verso il cielo, aspirando alla eterna gloria. Sebbene lo
faceva con molta disinvoltura, per non farsi lodare ed osservare, ma
spessissimo durante il giorno ripeteva atti di speranza e così sino all’ultimo
respiro non cessò dai medesimi. Aspettò costantemente da Dio il perdono dei
peccati e la vita eterna con i mezzi necessari per acquistarla dalla divina
misericordia, per i meriti del Salvatore.
Non solo in lei era ferma la speranza nella misericordia
di Dio, ma animava anche gli altri a non diffidare della medesima; di somma
efficacia riusciva intorno a questo particolare il suo dire, nei ragionamenti
familiari e privati con persone tribolate che a lei ricorrevano.
Molti furono coloro che vennero consolati dal suo
parlare, con una soavità di spirito particolare faceva loro concepire un’idea
grande della divina misericordia e quanto impegno ella abbia di accogliere
tutti, anche i peccatori pentiti fra le amorose sue braccia.
Esortava ancora a comprendere la propria viltà e
miseria, perché si allontanassero dai pericoli di cadere nel peccato. Con
questa speranza in Dio, richiamò e sollevò molte anime dalla via di perdizione
e molte dalla pusillanimità131 e le ricondusse nel giusto e retto
sentiero.
A misura però della confidenza che la nostra
Elisabetta aveva in Dio, era la diffidenza che aveva di se stessa, protestavasi
di continuo, che senza una speciale assistenza del Signore non solo non poteva
fare cosa alcuna di buono, ma sarebbe precipitata in un abisso di malvagità.
Di questa parte della sua speranza, tornerà più a
proposito parlare, quando tratteremo della sua profonda umiltà. Or se tanto
robusta fu la sua speranza in Dio, circa la salvezza propria e del suo
prossimo, non meno ferma era quella fiducia che aveva intorno al mantenimento
della sua famiglia, come avvenne in tante circostanze.
Era familiare il suo concetto di ripetere, confidiamo in Dio, che Egli ci provvederà di
tutto. Questa sua gran fiducia nel Signore, venne dal cielo remunerata con
segni non equivoci di straordinari portenti. Quando si trovava in molte
ristrettezze, diceva alle figlie: Non vi
sgomentate se ci manca il tutto, non
temete, confidate in Dio e non temete che vedrete come saremo provvedute dalla
Divina Provvidenza, come difatti
seguiva.
Più volte si trovò senza denaro e senza pane al
mezzogiorno, eppure miracolosamente fu sempre sovvenuta. Faceva apparecchiare
le figlie dicendo: Non dubitate che,
benché manchi tanto pranzerete, e
così fu in tutte le occasioni che le mancava il necessario per il
sostentamento. Nella strettezza in cui si trovò in molte occasioni, Elisabetta
mai licenziò i poveri che le si presentavano alla porta di casa, diceva alle
figlie: Confidate in Dio, non temete,
basterà il pane per noi e anche per i
poveri, e faceva che loro stesse distribuissero quasi quanto avevano.
Eppure, non solo bastava quel poco per la loro tavola, ma sopravanzava per la
sera e per il giorno dopo.
Con questa confidenza in Dio ottenne grazie
singolarissime a vantaggio del prossimo, non solo molte conversioni di traviati
peccatori, ma guarigioni istantanee di molti infermi, e più volte moltiplicò
con la sua fiducia, grano, vino, olio e legumi, di maniera che quando si
vedevano questi generi al termine, erano poi sufficienti per molto tempo e per
distribuirne ai poveri, non solo nella sua ristretta famigliola ma in varie
famiglie.
Con le sue preghiere si ottennero questi prodigi,
ed esortava tutti a confidare in Dio, facendo toccare con mano come il Signore
è liberale con quelli che hanno fiducia.
Chi la conobbe si confermò nell’alta idea che
aveva concepita della di lei perfezione e della cura speciale che Iddio aveva
di questa sua serva, che era piena di fiducia verso la sua provvidenza; ma
della speranza in Dio, abbiamo detto abbastanza.
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