La carità che viene giustamente chiamata la regina
di tutte le virtù, è di tutte, per così dire, l’anima e la vita, per cui
insegnò Sant’Agostino, che ella è la vera, propria misura della soprannaturale
giustizia. Nella nostra serva di Dio, Elisabetta giunse ad un alto grado di
perfezione, sembrava che non sapesse ad altro pensare che al suo Dio. Questo
ravvolgeva sempre nella mente; a questo di continuo umiliava le sue fervorose
suppliche. Questo come in viva immagine effigiato ravvisava in ogni creatura ed
in ogni oggetto. Sicché non vi era occupazione o affare che potesse distrarla
per un momento dall’amato Suo Bene. Da questo ancora verso il suo Dio nacque in
lei quel santo trasporto che da fanciulla ebbe per gli atti di pietà e di
religione. Se vi fu qualche intervallo di una qualche dissipazione nella
floridezza di gioventù, che per un momento la ritirò da un amore fervente,
peraltro mai tralasciò di ricorrere a Iddio nei travagli che le permetteva in
famiglia, disponendo così, per richiamarla al primiero fervore, come ella
stessa se ne espresse più volte, con tal detestazione e pentimento che tutta la
vita pianse questi suoi traviamenti come avesse commesso le maggiori
scelleratezze del mondo.
Appena il Signore le tornò a vibrare i Suoi raggi
si diede tutta all’esercizio dell’amor santo di Dio, e non trovava altro
piacere che di starsene sempre orando negli angoli della casa o nella sua
camera se poteva star sola, e per maggior raccoglimento teneva socchiuse le
finestre.
Dimorando poi in famiglia, nelle occupazioni
domestiche procurava il raccoglimento stando sempre in silenzio procurando di
disbrigarsi per ritirarsi in un luogo appartato di casa per orare. Anzi immersa
nella contemplazione delle cose sovrumane e celesti era tanto acceso il suo
cuore dell’amor di Dio che non sapeva sciogliere la sua lingua che per lodare
Dio e parlare di Dio.
Non si udì mai dalla sua bocca una parola inutile,
un discorso che non fosse edificante ed istruttivo. Chiunque portavasi da lei
per qualche spirituale e temporale bisogno, con bel garbo li disbrigava, oppure
introducendo un discorso intorno alle cose celesti, li faceva da lei partire
compunti132 o infervorati. Attestò il suo confessore che dal momento in
cui si era dedicata a Iddio che fu nel ventesimo sesto anno della sua età, cioè
da quell’epoca per tutto il resto del viver suo, non aveva ella offeso
gravemente il Sommo Bene. Mentre se si eccettuano pochi difetti leggeri commessi
nel convivere in famiglia, del resto sino alla morte conservò per tutta la sua
vita una coscienza purissima ed illibatissima.
Un incendio sì grande di amore la teneva in
continua apprensione di offendere il Bene amato, questo santo timore, figlio della
carità ardentissima della nostra Elisabetta verso il suo Dio, fu sempre
radicato e fisso nella sua anima e perciò obbligossi a non discostarsi neppure
un apice dall’ossequio dovutogli, può quindi idearsi chiunque a qual segno
purgasse e raffinasse il suo cuore, distaccandolo da ogni altro affetto, che
celeste non fosse. Questo santo timore di potere offendere il suo Dio la faceva
stare sempre vigilante sopra se stessa ed attenta ad ogni movimento del suo
cuore, ad ogni sua parola ed azione.
Se la prova più massiccia della carità verso Dio,
al dire del Pontefice San Gregorio è appunto una continua fatica al fine di
promuoverne in se stesso o in altri, la Gloria.
Bisogna dire che grandissimo fu l’amore verso Dio
nel cuore della nostra Elisabetta. Per amore del suo Dio, nel secolo spogliossi
di tutto, ed abbracciò l’austero istituto di terziaria dell’Ordine della
Santissima Trinità e benché il vestiario non compariva all’esterno, ad ogni
modo, fino alla morte ne osservò lo Statuto e la Regola, con esattezza
indicibile, non curando freddo né caldo e tanti altri patimenti che
accompagnano una vita austera più che fosse stata religiosa in clausura.
Per amore del suo Dio, divenuta finalmente
santamente industriosa, non lasciò indietro mezzo veruno per sollievo spirituale
delle anime, al fine di renderle tutte amanti del suo Dio.
L’incendio sì grande di carità, ristretto negli
angusti limiti del suo cuore, doveva necessariamente manifestarsi all’esterno,
quindi si vedeva spesso accesa nel volto in una maniera cotanto sensibile, che
sembrava uscita allora da una fornace accesa.
Di notte nella sua camera, di giorno in cappella o
a fare le faccende domestiche, si sentiva esclamare continuamente quanto è bello amare Dio! quanto è bello
servire Dio!
Altre volte prorompeva in questi accenti oh amore non amato, o amore non conosciuto!
Ogni creatura le serviva come forte motivo per sollevarsi in Dio: un fiore, un
frutto, un qualche animale, la veduta di un prato, di qualche fonte o anche di
un ruscello; erano questi sufficientissimi ad alienarla dai sensi ed a farla
languire133 di carità.
Vedendo
Iddio in ogni creatura, lo guardava in ogni oggetto; era tanta alle volte la
piena della divina dolcezza che le inondava il cuore e, non potendosi reggere
in piedi, era costretta a cadere a terra, dove si osservava tutta ansante ed
accesa in volto e si udiva ripetere incessantemente oh amore! oh carità!
Quando riceveva la Santa Comunione si vedeva
sensibilmente che pareva un Serafino tutta accesa, indizio era questo di quel
gran fuoco che conservava in seno; per tal motivo, anche in tempo di inverno,
non si accostava mai al fuoco.
Le figlie le dicevano: Nostra madre non sente freddo? Ha fatto tanta gelata che alle fontane,
benché l’acqua corra per la strada, ha formato massi di ghiaccio e noi siamo
intirizzite dal freddo. Allora
Elisabetta con santa semplicità rispondeva alle figlie: Ah, voi non sapete che io
sento tante vampe e un fuoco grande che continuamente mi abbrucia e non sento
freddo! Era questo il fuoco della divina carità che l’abbruciava di
continuo, specialmente nel giorno delle principali solennità del Signore e di
Maria santissima.
In tali giorni si osservava più del solito tutta
esultante ed accesa di carità. Si meraviglierà forse il devoto lettore che non
si abbia in questo luogo fatta parola dell’estasi, dei ratti e dei
deliqui134 di amore che di continuo accompagnarono questa serva di Dio.
Per cui una fortissima prova viene a rilevarsi
della sua gran carità, ma di questi doni, onde venne abbondevolmente ricolma
dal cielo, ne formeremo nel terzo libro un capitolo a parte, conviene perciò
passare oltre, al fine di divisare135 il carattere di questa sua
carità, in rapporto agli altri misteri della nostra santa religione.
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