Tenerissima fu la devozione di Elisabetta verso
l’Augustissimo Sacramento dell’altare, il quale con espressivo e proporzionato
vocabolo vien chiamato il sacramento di amore e di carità.
Fin da fanciulla procurava di visitarlo spesso;
entrata in monastero in educazione, come le era permesso dall’obbedienza, si
tratteneva nel coro e a suo bel agio poteva corteggiare il suo amato Signore,
sotto la specie eucaristica, togliendo a sé quelle piccole ricreazioni.
Tutto quel tempo lo passava ivi genuflessa
adorando Gesù Sacramentato. Nel ricevere la Santa Comunione tre volte la
settimana, viepiù si accese di ferventissimo amore verso l’Eucaristico Bene e
non contenta di tenere bene adornato il suo cuore, cercava in mille guise di
parlare e di accendere nei suoi ragionamenti, quelle buone religiose e compagne
che con lei conversavano.
Quali e quante poi fossero le accoglienze che
faceva al suo Dio la nostra Elisabetta, nel riceverlo nella sagra comunione
fino da fanciulla, prolungando in santi affetti di ringraziamento verso il suo
Dio, sciogliendosi in lagrime di tenerezza, replicando spesso nella giornata
atti ferventissimi di ringraziamenti per tanto dono!
Se tanto amore e riverenza nutriva Elisabetta
verso il Santissimo Sacramento nella sua tenera età nel monastero, che dirò
quando si dedicò al divino servizio in modo straordinario, le sue delizie erano
lo stare per quanto le permetteva il suo stato, in qualche Chiesa avanti il
Santissimo Sacramento, prolungando di due o tre ore immobile a far la corte al
suo amatissimo Signore.
Se non poteva trattenersi tanto a lungo, non
lasciava però di andarvi mattina e giorno. Il desiderio che aveva di riceverlo
fu tale che nel principio della sua vita alla perfezione a cui Iddio l’aveva
chiamata, sentiva nell’animo tale desiderio di riceverlo frequentemente, ma non
ardiva di manifestare questa brama al suo confessore, conoscendosi indegna di
un tanto favore. Con semplicità d’animo presentò questa supplica a Gesù e gli
espose il suo desiderio, interponendoci per mediatrice Maria santissima,
pregandola di dare un forte impulso al suo confessore. Difatti una mattina,
dopo essersi confessata, il confessore le disse: Una forte ispirazione mi
obbliga a darvi il permesso di ricevere la Santa Comunione tre volte la settimana. Chi può spiegare le
consolazioni di Elisabetta a questa bramata licenza! Quali i ringraziamenti più
intensi e cordiali verso il suo Signore e la santissima Vergine! Quanti di
gratitudine gli rese! come si umiliò riconoscendosi immeritevole di un così
grande favore!
Da questa frequente Comunione ne riportò la
medesima tanto fervore e tante grazie, per superare e vincere tutte le
opposizioni che le facevano il mondo, il demonio e se stessa. Con questo mezzo
trionfò generosamente di tutti i suoi nemici e superò con l’esercizio di tutte
le virtù gli ostacoli che le impedivano l’arduo cammino a cui Iddio la
chiamava.
Vedendosi dunque così corroborata136 dalla
frequente Comunione, desiderava riceverla quotidianamente, ma le pareva
impossibile azzardare tale richiesta al confessore, stimandosi indegna di
andarvi così spesso. Ciò nonostante, benché si vedesse ai suoi occhi così vile
e immeritevole, avanzò la supplica a Gesù Sacramentato per la seconda volta e
alla Madre Sua santissima. Fu di tanta efficacia la preghiera, che la mattina
andò per confessarsi e il confessore le disse: Ho molto resistito ad un’ispirazione di darvi il permesso che facciate
la Santa Comunione ogni giorno, io non avevo questa intenzione, perciò
resistevo a questo impulso, ma mi trovo obbligato non solo di darvi questo
permesso, ma di comandarvi la quotidiana Comunione.
A questo felice annunzio, Elisabetta tutta si
disfece in lagrime di gratitudine e di amore verso Gesù e Maria, che tanta
grazia le avevano compartito. Da quando ottenne questa licenza, non tralasciò
mai la Santa Comunione; ancorché per varie cause non potesse andare in prima
mattina, andava all’ultima Messa di mezzogiorno.
In occasione di infermità, si strascinava come
poteva, per non perdere il suo tesoro. Quando fu eretta la cappella, si
celebrava la Messa in casa, quando non poteva andare in Chiesa, ed ella
riceveva la Santa Comunione restando poi tutto il giorno a ringraziare e ad
adorare Gesù Sacramentato, disceso su quell’altare. Fu tale e tanta la
devozione di questa serva di Dio verso la Sagra Eucaristia che sembrava un
serafino acceso di carità.
Sentiva tanta ansietà e fame di questo Divino
Cibo, che in varie occasioni che si trovava impedita e specialmente nel venerdì
santo, il Signore compiacendosi di questo desiderio della sua serva, per mani
angeliche le veniva somministrata la Santa Comunione.
Più volte fu comunicata dal Santo Apostolo San Pietro,
tanto era l’affetto e la riverenza che nutriva verso il santissimo sacramento.
Tenerissimo fu anche l’amore di questa serva di
Dio verso l’augusto mistero del temporale nascimento del Verbo Eterno fatto
Uomo per noi e verso la dolorosissima passione del medesimo.
Spesso ragionava dei patimenti interni e degli
esterni di un Dio bambino e lo faceva con tanta unzione137 di spirito e
con tale effusione di cuore che era impossibile, a dir così, sentirla ragionare
di ciò e non restarne fortemente commossi.
Avvicinandosi il giorno del Santo Natale,
preparava un devoto presepe, dove passava le notti intere meditando la gran
degnazione del Verbo Eterno nel farsi Uomo per noi e nel nascere per noi dentro
una povera stalla.
In questa solennità, nel fervore dell’orazione
restava alienata dai sensi e sorpresa da intimo raccoglimento. Ecco come si
trova notato nel rendere il conto del suo spirito al confessore in più luoghi: Il Signore mi donò nella notte del Santo
Natale una particolare cognizione di me stessa, quanto si umiliò, quanto si
annientò la povera anima mia, qual fosse il dolore di avere offeso il mio
Signore, quante lagrime di contrizione, mi pareva di morire dal dolore! In
questo vedo tre Messaggeri celesti, che verso di me si approssimavano, mi
invitavano ad andare seco loro. A questo invito la povera anima mia sentiva
sommo timore: «Com’è possibile
che possa tanto inoltrarmi mentre sono la creatura più vile della terra?» Ma questi rinnovarono l’invito. Una forza
superiore mi obbliga ad andare con loro; ecco apparire una luce che ci precede
e ci conduce al Presepio. Vedo questo luogo ripieno di immensa luce, miro vago
e leggiadro Bambino che giaceva in povera culla accanto la Sua santissima Madre
e il Suo Putativo Padre. Lo splendore del Suo volto riempiva il mio cuore di
mille affetti. Ma riconoscendomi affatto indegna non ardivo di entrare, ma mi
trattenevo fuori di questo luogo, e domandavo perdono, pietà e misericordia. Ma
questo Divin Bambinello con la Sua preziosa manina mi chiamava dolcemente, i
Suoi replicati inviti mi hanno obbligata non solo ad entrare ma ad avvicinarmi
a Lui. Molte erano le anime che gli
facevano corona in quel sagro luogo. Provai somma confusione mentre ai
replicati inviti di quel Divino Infante dovetti tanto inoltrarmi perfino
avvicinarmi alla sagra culla. Eppure molto inferiore era la povera anima mia al
paragone di queste anime belle, che si trattenevano all’adorazione di questo
Divino Infante.
In altra festività del Santo Natale, nota la
suddetta.
Nella
notte stavo prostrata dinnanzi al mio Dio, protestando di riconoscermi affatto
indegna di trattenermi in compagnia di tante anime a Lui fedeli, per poterlo in
quella Santa Notte lodarlo, benedirlo e ringraziarlo in compagnia dei santi
angeli. Confessando di essere la creatura più vile che abita la terra,
piangendo parte per la mia ingratitudine, parte per la gioia che sentivo nel
mio cuore alla considerazione del grande amore che ci dimostra Iddio col
donarci il Suo santissimo Figliolo, andava ogni momento crescendo la gioia del
mio cuore, l’intelletto veniva rischiarato da interna luce e lo spirito si
andava ingolfando138 nella penetrazione di questo Divino Mistero, quando sopraffatta
dall’immensità dell’infinito amore di
un Dio amante di noi miserabilissime Sue creature, si perdeva il mio povero
intelletto in questo vasto oceano dell’infinita carità di Dio.
Perdetti
in questo tempo ogni idea sensibile, quando da una mano invisibile fui condotta
al sagro Presepe e trasportata sopra di un monte e, in una certa lontananza
vedevo quel piccolo paradiso. Nel vedere il chiarissimo splendore che
tramandava quel beato tugurio da ogni intorno, che per essere situato alla
falda di un disastroso monte, rendeva luminosa la valle contigua, che restava
ai piedi del monte. Ah già il cuor mio era impaziente per potermi là
approssimare! Ah non avrei voluto camminare, ma volare tanto era il trasporto
dell’amore che sentivo verso il nato Signore! Io andavo dicendo fra me, «voglio morire ai Suoi piedi per il dolore di averlo offeso». Intanto l’amore disponeva il mio cuore a
fare ogni qualunque sagrificio per compiacere il Divino Infante. Non so ridire
di qual grado fosse la fede, la speranza, la carità, l’umiltà, l’obbedienza, la
purità, la povertà che mi fu somministrata dallo Spirito del Signore. In quei
preziosi momenti fui trasformata in guisa tale, che io più non conoscevo me
stessa e ne restavo ammirata, e nell’ammirazione conoscevo il mio nulla, e in
questo lodavo e benedicevo l’infinita bontà di Dio dando a Lui tutto l’onore e
la gloria, e intanto mi andavo avvicinando al Beato Presepio.
Vidi
quel felice tugurio ripieno di splendidissima luce, molti erano gli adoratori
di quel grazioso Infante, vedevo nella suddetta valle contigua il Beato
Presepe, come già dissi, ripieno di luce che tramandava dappertutto l’alta
magnificenza del nato Re del Cielo, che per amor dell’uomo si degnò nascere in
estrema povertà. Vedevo in questo luogo ogni classe di persone: religiosi di
ogni Ordine, sacerdoti, monache e secolari, e tutti adoravano il nato
Salvatore.
Furono tali e tante le apparizioni che in forma di
Bambino ricevette questa sua serva, non solo nella solennità del Santo Natale,
ma molte altre volte nell’anno.
Che dirò poi della tenera e particolare Sua
devozione verso la passione e morte del Redentore! Tutta la vita di questa
serva di Dio fu consacrata a meditare ed a promuovere, per quanto poteva nel
suo stato, una devozione sì fruttuosa che era tanto acceso nel di lei cuore il
fuoco di questo smisurato incendio.
La sua continua meditazione era gradita sopra i
patimenti e la morte del nostro amatissimo Redentore. Bene spesso le compariva
sotto queste sembianze: le si dava a vedere nell’orazione all’Orto, nei
tribunali nella flagellazione e in quello stesso atteggiamento e figura che fu
mostrato al popolo, e di più portando la croce e la crocifissione del suo
Signore.
A queste considerazioni così vive della passione
del Redentore, sentiva passarsi da parte a parte le viscere da una quanto
acuta, altrettanto invisibile spada, né potendo reggere l’acerbità139
del dolore, le conveniva adagiarsi un poco e non poteva reggersi in piedi dal
veemente patire.
Il Signore volle inoltre rendere partecipe questa
sua serva di tutti i Suoi dolori della passione, perfino delle sagre stimmate;
ma appena ricevuto questo sovrumano favore nel suo corpo, domandò la grazia al
Suo Sposo Celeste, di rendergliele invisibili agli sguardi altrui e ne fu
subito compiaciuta, tanto fu grande la sua umile ma fervente preghiera.
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