Mi sembra adatto qui fare menzione della gran
carità di Elisabetta verso le anime del purgatorio e di quanto il Signore fosse
liberale verso la serva nel compiacere le sue domande, benché ella si stimasse
indegna e incapace di poterle giovare.
Riferirò per primo quanto le accadde il giorno 17
giugno 1814.
Era uscita dalla Chiesa e si portò alla sua casa;
si mise tutta intenta a lavorare quando tutto ad un tratto fu rapita in estasi.
In questa ricevette un favore molto grande, dopo questa comunicazione si
trovava il suo spirito in somma quiete, godendo dei doni gratuiti di
predilezione di un Dio amante. Dopo tre ore di questo rapimento le si presentò
il Santo Pontefice Pio VI145 e le disse che pregato avesse per lui che
era ancora in purgatorio per diverse mancanze riguardanti il pontificato.
Piena di ammirazione gli disse: E cosa mai volete da me, anima benedetta,
che sono la creatura più vile, più miserabile che abiti la terra? Andate dalle
anime spose di Gesù Cristo, che vi ottengano la grazia!
Riconoscendo se stessa e la sua scelleraggine, si mise
a piangere; ma il santo pontefice non restò persuaso dalla sua confusione, ma
viepiù si raccomandava.
Mossa dunque da una certa compassione, gli domandò
cosa voleva che avesse fatto per liberarlo dal purgatorio. Va’ dal tuo padre spirituale, le disse, e l’obbedienza ti manifesterà
cosa devi fare per ottenermi la grazia. Ti prometto di non abbandonarti mai e
di esserti valevole protettore in cielo.
Dette le suddette parole, disparve. La mattina
seguente andò Elisabetta dal suo confessore per renderle conto di ciò che era
passato nel suo spirito e gli domandò cosa doveva fare. Il confessore le impose
di andare cinque volte a Santa Maria Maggiore a visitare l’Altare di SanPio
V146, e pregarlo per la liberazione di questo suo successore; altre cinque
visite alla Chiesa di Santa Pudenziana147 pregando i santi martiri per
ottenere la grazia.
Si portò il suddetto giorno 18 a Santa Maria
Maggiore a visitare l’altare del suddetto Santo. Si raccolse il suo spirito e
fu sopraffatta dallo Spirito del Signore, quando si avvide che il Signore
prendeva per pura Sua carità della compiacenza in lei. Lo pregò di liberare il
suddetto Santo Pontefice dal purgatorio. Si degnò Iddio di rimettere al suo
arbitrio la liberazione di quest’anima. La povera Elisabetta, restò sopraffatta
dallo stupore per l’esuberanza della grazia: Mio Dio, disse, bontà
infinita, lasciate che soggetti all’obbedienza la vostra grazia e, se Vi piace,
lasciate che il mio padre spirituale destini il giorno.
Molto piacque al Signore questo atto di
sottomissione e ad arbitrio del suo direttore fu rimesso il giorno della
liberazione.
La mattina seguente tornò dal suo confessore per
renderle conto di quanto era passato nel suo spirito. Le disse il confessore: Io vi comando di raccomandarvi al Signore,
acciò si degni in questo giorno di liberare quest’anima dal purgatorio. Badate
bene, le disse, che non passi la notte! Dite al Signore che questa è l’obbedienza che vi corre e si degni di
esaudirvi!
Si partì dal confessionale e si pose in ginocchio
piangendo: Gesù mio, avete inteso quanto
mi ha imposto il Vostro ministro; per carità, lasciatemi obbedire.
Fu accertata dal Signore, che all’ora del Vespro
questa santa anima avrebbe avuto l’ingresso felice nella patria degli eterni
contenti.
All’ora del Vespro fu nuovamente assicurata della
grazia, provando una interna dolcezza; restando nella pace del Signore, lodando
e benedicendo il Suo Santo Nome.
La mattina seguente nella Santa Comunione, vide
questo Santo Pontefice davanti al Trono Augustissimo del Sommo Dio. E rivolta a
lui lo pregò di intercedere per tutti: Santo
Pontefice, gli disse, pregate per la
Santa Chiesa, particolarmente vi stia a cuore la povera città di Roma. Unisco le mie povere preghiere alle fervide Vostre o Santo Pontefice.
Iddio ci mostra il Suo sdegno giustissimo contro tanti peccati enormissimi che
l’offendono, particolarmente ci mostra Roma ingrata, e qual è il gastigo
preparato per questa ingrata città: dopo
molte afflizioni di ogni sorta, è il togliere a questa il grande onore di
possedere la Santa Sede.
Oh
quante miglia distante da te, o misera città, si sarebbe allontanata la Santa
Sede, se le fervide preghiere di questo Santo Pontefice non avessero
interceduto la grazia!
Rallegrati,
dunque, che la Santa Sede non partirà da te; ma non sarai immune dal flagello
che Iddio è per mandare sopra la terra, per la inosservanza dei suoi
comandamenti. Se non mutiamo costumi, guai a noi!
Grandi furono i ringraziamenti che ricevette da
questo Santo Pontefice, molte promesse gli fece di aiutarla in tutta la sua
vita. Le fece intendere che molta parte vi aveva con la sua preghiera continua
nell’ottenere la suddetta grazia, cioè di non castigare la povera città di
Roma, col privarla della Santa Sede. Le soggiunse che avesse ringraziato il suo
confessore per avergli accelerato il felice ingresso al paradiso. Le promise
che in benemerenza della carità usata verso di lui, lo avrebbe assistito nel
punto della sua morte.
Dopo pochi giorni del fatto antecedente,
Elisabetta era tornata a casa dalla Chiesa ed attendeva alle sue faccende
domestiche. In queste vide apparire due religiosi trinitari, che umilmente la
pregarono di volerli liberare dal purgatorio.
Cosa
volete, disse loro, da me, o anime sante? non sapete che sono la
creatura più miserabile e peccatrice che abita la terra?.
Non
altro vogliamo,
soggiunsero, che visiti in nostro
suffragio la Scala Santa, le dissero che i loro nomi erano uno Girolamo e
l’altro Raimondo.
La mattina seguente riferì tutto al suo padre
spirituale, il quale le disse che non desse mente a queste immaginazioni e le
avesse disprezzate.
Ma nonostante fosse andata il giorno medesimo a
visitare la Scala Santa, il giorno dopo il pranzo si portò alla Scala Santa e
con molto raccoglimento, andò prima a visitare la Chiesa di San Giovanni e dopo
essersi trattenuta circa una mezz’ora, passò a visitare la Scala Santa. Quando
fu al primo gradino, vide apparire i due religiosi trinitari che salivano
insieme la Scala Santa.
L’interno raccoglimento l’obbligava a trattenersi
qualche tempo per ogni gradino; quelle benedette anime la sollecitavano; la
carità l’affrettava, la devozione la tratteneva. Per quanto si affaticasse, vi
mise circa un’ora. Terminato che ebbe di salire l’ultimo gradino, la
ringraziarono della carità loro usata, promettendole di ricordarsi di lei e
rapidamente spiccarono al cielo.
L’anno seguente, si trovava nella Chiesa di San
Carlo alle Quattro Fontane; non sapeva per qual motivo ci fosse il suono
lugubre delle campane. Stava il suo spirito in sommo raccoglimento, quando le
fu manifestato che le suddette campane suonavano per suffragare le anime dei
padri trinitari che si trovavano in purgatorio.
Le fu significato che nel celebrarsi la Messa
cantata le suddette anime sarebbero libere dal purgatorio. Quando da mano invisibile
fu trasportato il suo spirito in un certo luogo dove vide queste anime
fortunate, che tutte ansiose stavano aspettando il felice momento di potersi
unire a quell’immenso bene che ardentemente bramavano di possedere.
I Padri non erano che nel numero di tre o cinque.
Non poté distinguere bene quanti fossero per la moltitudine delle altre anime
appartenenti a questo sagro Ordine Trinitario, che umilmente si raccomandavano
per presto sortire da quelle pene.
Le loro premure destarono in Elisabetta un gran
desiderio di liberarle da quel penare. Si raccomandò caldamente al Signore,
acciò degnato si fosse di consolare tutte le suddette anime.
Il Signore si degnò di ascoltare la preghiera
della sua serva; le fece intendere che avesse ascoltata in loro suffragio la
Messa e che sarebbero state liberate unitamente ai Padri Trinitari. Nell’Introito vide che tutte queste anime
mutarono aspetto, da pallide e smorte, da afflitte e dolenti, al momento
divennero floride e vivaci, tutte assorte in Dio, e stavano aspettando ansiose
il felice momento di poterlo possedere.
Nel cantare il Diesilla,
si misero tutte in bell’ordine; nell’Oremus
fu data una certa disposizione, e divennero chiare come l’ambra e furono
purificate nei meriti di Gesù Cristo.
Al Sanctus
apparve candida luce che le rese quanto mai belle; alla Elevazione
furono condotte al cielo per mano dagli angeli; nel dire Benedictus qui venit
furono ricevute dall’Eterno Iddio, e annoverate fra i beati comprensori del
cielo.
Un altro giorno dopo la Santa Comunione se ne
stava Elisabetta in sommo raccoglimento, quando si vide presente l’anima di suo
padre trapassato da circa nove anni; vedeva quella anima bella, tutta ammantata
di luce. Seco si rallegrò, per un alto favore compartitogli dall’Eterno Iddio.
In questo si umiliò profondamente e mostrando a Lui la sua riconoscenza verso
l’infinito amore di Dio, con abbondanti lagrime deplorava le sue colpe. Suo
padre a questa confessione, non si rattristò ma la pregò caldamente di
raccomandare all’Eterno Iddio, tutti i loro parenti defunti; ella prontamente
obbedì, porgendo all’Altissimo le sue suppliche con tutto fervore per suffragio
delle suddette anime.
Offrì nel sagrificio della Santa Messa i meriti di
Gesù Cristo. La sua preghiera avvalorata dai meriti del buon Gesù fu molto
efficace e tutto ad un tratto furono liberate da quel tenebroso carcere; queste
erano nel numero di quindici. All’Introito
della Messa, Elisabetta fece la preghiera e al Sanctus si ottenne la grazia. Alla Elevazione, furono liberate; al Sanctus
recò loro la felice nuova; alla Elevazione
i rispettivi angeli custodi delle suddette anime scesero con somma allegria in
quel carcere e trattele fuori da quell’oscuro luogo, al momento apparvero
ammantate di splendidissima luce e si sollevarono al cielo, dopo avere
profondamente adorato il Divin Sacramento esposto.
Fatto un profondo inchino avanti all’altare,
ringraziarono la loro liberatrice, con sensi di gratitudine e se ne andarono
felicemente agli eterni riposi.
Il 4 novembre 1817 festa di San Carlo Borromeo148,
se ne stava lo spirito di Elisabetta godendo quanto mai di bene possa godersi
da creatura viatrice, tanto era perfetta l’intima unione che godeva del suo
Iddio, quando in mezzo a questa perfetta quiete, sentì molte voci lamentevoli, che
a lei facevano ricorso. Conobbe essere queste le anime benedette del
purgatorio. Si rivolse verso il Suo Dio, tutta compassione verso queste anime
sante, e lo pregò di accordarle in grazia di portarsi a quell’orrido carcere,
per poterle liberare.
Il suo Dio le accordò la grazia, mediante i meriti
di Gesù e di Maria ed i santi Re Magi, ed i meriti di San Carlo Borromeo, i
quali la condussero con loro in quel tenebroso carcere.
Nell’aprirsi quel profondo luogo, volle morire nel
vedere gli atroci tormenti che quelle benedette anime pativano. Erano tali e
tanto gravosi i patimenti che non è possibile manifestarlo. Sentiva la medesima
tanta compassione di loro che per liberarle si sarebbe data a patire i più
gravi tormenti. Dimostrò con lagrime di compassione i suoi desideri al suo
amorosissimo Gesù, che tutto amore si degnava di guardarla. Lo pregò
incessantemente ed ottenne dalla sua infinita liberalità la grazia di liberare
molte di quelle benedette anime dal purgatorio.
Quale consolazione fu per lei il vedere in un
baleno libere affatto da quei spietati tormenti una moltitudine di anime sante,
che piene di gaudio se ne andarono al cielo a godere Iddio per tutta
l’interminabile eternità!
Quando ottenne l’altare privilegiato, dopo che fu
eretta la cappella in casa, si degnò Iddio per mezzo delle orazioni di
Elisabetta, di compartire molte grazie tanto alle persone viventi, quanto alle
defunte, ottenendo dall’infinita bontà di liberare un buon numero di anime dal
purgatorio, e fra queste il buon Cardinale Scotti, per il quale fece molte
orazioni ed altri suffragi.
Si applicò dunque con tutto l’impegno a suffragare
questa anima, la quale le apparve dopo la Santa Comunione che aveva applicato
in suo suffragio, e con molte lagrime aveva pregato il Signore di liberare
questa anima dal purgatorio. Le apparve pieno di gioia e di contento,
ringraziandola cordialmente di quanto avevo fatto per suo suffragio. Mercé, le disse, l’infinita misericordia di Dio e le tue preghiere, che hanno mosso Dio
a usarmi misericordia con l’abbreviare il tempo della mia dimora in quel
tenebroso carcere. La divina giustizia mi aveva condannato nel purgatorio per
il lungo spazio di trenta anni; in questo momento ricevo la consolante nuova
che la misericordia infinita dell’eterno Iddio mi chiama agli eterni riposi. La
bontà di Dio mi ha manifestato essere stata la tua preghiera che a tanto bene
mi conduce; la mia gratitudine a beneficio sì segnalato ottenne dall’Altissimo
di venirti a ringraziare. Avanti al Trono di Dio porgerò le mie suppliche per
il tuo bene spirituale come ancora ricorderò il mio buon amico, per mezzo del
quale ricevo questo gran bene. E nuovamente a lei rivolto, il suddetto
defunto: Le tue penitenze, digiuni e
orazioni hanno dato il giusto compenso alla divina giustizia di Dio, mediante
gli infiniti meriti di Gesù Cristo, ai cui meriti unisti la tua penitenza,
digiuni e orazioni che facesti in mio suffragio. Adesso, adesso me ne vado al
cielo a godere l’immenso bene per tutta l’interminabile eternità.
Così dicendo, per mezzo di un globo di luce
chiarissimo lo vide sollevare nell’altezza del cielo, lasciando nel suo cuore
un contento di paradiso, un sentimento di profonda umiltà ed un particolare
raccoglimento.
Darò termine a questo vasto ragguaglio, perché se
volessi descriverli tutti formerei un volume da stancare chi legge.
Terminerò con un altro racconto dal quale il
lettore comprenderà come il Signore degnò la Sua serva di farla arbitra del
purgatorio nel corso dell’anno, ma in particolare nella ottava dei defunti.
Il primo novembre 1822, festa di tutti i Santi,
stava Elisabetta con il suo spirito sollevato da Iddio con un ratto divino,
trovandosi con lo spirito in una grande altezza; vedendosi circondata di luce
che a sé l’univa, l’anima veniva a perdersi in Dio, perdendo la sua proprietà.
Terminata questa divina unione, tornò alquanto in se stessa, senza perdere il
gran bene che godeva ancora nell’anima. In quel momento ricordò che si dava
principio in quella santa giornata, all’ottavario dei fedeli defunti; si
rivolse con somma premura ed impegno verso il suo Dio e lo pregò con fervente
preghiera e con calde lagrime ad usare misericordia con le anime defunte. Mio Dio, gli disse, degnatevi di darmi la chiave di quell’orrido carcere, come altre volte vi siete degnato darmi, perché io sento un
desiderio grande di scarcerare dal purgatorio quelle anime sante. Vi supplico
di questa grazia per gli infiniti meriti della vostra passione e morte.
Questa offerta bastò per ottenere la grazia, per
essere di valore infinito. All’istante il suo Dio, per sua bontà, si degnò
concederle quanto bramava e la fece arbitra delle sue misericordie; ma l’anima,
in luogo di approfittarsi liberamente della grazia, con umile sentimento
domandava al suo Iddio cosa doveva fare, e non ardiva neppure alzare gli occhi
della mente, ma si tratteneva genuflessa avanti al Suo Divino Cospetto. Stava
dunque, piena di timore, avanti al Divino Signore, non sapendo cosa doveva
fare. Va’, mi disse Iddio, presentati a quel carcere a mio nome, reca a
quelle anime la consolante nuova che presto saranno con me in Paradiso.
In quell’istante apparvero tre santi angeli, i
quali accompagnarono la sua anima all’orrido carcere del purgatorio. Il suo
spirito lo vedeva sotto la forma di un’ombra chiarissima, tutto risplendente di
luce. Si approssimò dunque l’anima a quell’orrido carcere in compagnia dei tre
santi angeli e recò da parte di Dio a quelle sante anime la consolante nuova
della loro prossima liberazione.
Non è possibile il ridire l’esultazione, il
gaudio, la consolazione di quelle sante anime e quanto mai grandi fossero i
loro ringraziamenti e le lodi che ne resero all’infinita misericordia di Dio.
Questo fatto le seguì la mattina. Il giorno dopo
il pranzo si portò alla Chiesa e stette in orazioni più di tre ore, pregando
per le anime purganti; in questo tempo il suo Iddio si degnò mostrarle il
trionfo della Sua misericordia verso le anime purganti. Vide dunque quelle
sante anime che a schiere, accompagnate dai loro santi angeli custodi, gloriose
e trionfanti se ne salivano al cielo.
In tutti i giorni dell’ottavario seguì lo stesso,
di più in Marino dove si trovava Elisabetta, perché il duomo incluse un altro
giorno di esposizione in suffragio dei fedeli defunti. Sicché in nove schiere
può dirsi che si spopolò il purgatorio!
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