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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

IntraText CT - Lettura del testo

  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO SECONDO
      • 1 - VITA DI ELISABETTA CANORI MORA TRINITARIA SCALZA IN QUALITÀ DI TERZIARIA
        • 7 - Sua singolare carità verso le anime purganti
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7 - Sua singolare carità verso le anime purganti

 

Mi sembra adatto qui fare menzione della gran carità di Elisabetta verso le anime del purgatorio e di quanto il Signore fosse liberale verso la serva nel compiacere le sue domande, benché ella si stimasse indegna e incapace di poterle giovare.

Riferirò per primo quanto le accadde il giorno 17 giugno 1814.

Era uscita dalla Chiesa e si portò alla sua casa; si mise tutta intenta a lavorare quando tutto ad un tratto fu rapita in estasi. In questa ricevette un favore molto grande, dopo questa comunicazione si trovava il suo spirito in somma quiete, godendo dei doni gratuiti di predilezione di un Dio amante. Dopo tre ore di questo rapimento le si presentò il Santo Pontefice Pio VI145 e le disse che pregato avesse per lui che era ancora in purgatorio per diverse mancanze riguardanti il pontificato.

Piena di ammirazione gli disse: E cosa mai volete da me, anima benedetta, che sono la creatura più vile, più miserabile che abiti la terra? Andate dalle anime spose di Gesù Cristo, che vi ottengano la grazia!

Riconoscendo se stessa e la sua scelleraggine, si mise a piangere; ma il santo pontefice non restò persuaso dalla sua confusione, ma viepiù si raccomandava.

Mossa dunque da una certa compassione, gli domandò cosa voleva che avesse fatto per liberarlo dal purgatorio. Va’ dal tuo padre spirituale, le disse, e l’obbedienza ti manifesterà cosa devi fare per ottenermi la grazia. Ti prometto di non abbandonarti mai e di esserti valevole protettore in cielo.

Dette le suddette parole, disparve. La mattina seguente andò Elisabetta dal suo confessore per renderle conto di ciò che era passato nel suo spirito e gli domandò cosa doveva fare. Il confessore le impose di andare cinque volte a Santa Maria Maggiore a visitare l’Altare di SanPio V146, e pregarlo per la liberazione di questo suo successore; altre cinque visite alla Chiesa di Santa Pudenziana147 pregando i santi martiri per ottenere la grazia.

Si portò il suddetto giorno 18 a Santa Maria Maggiore a visitare l’altare del suddetto Santo. Si raccolse il suo spirito e fu sopraffatta dallo Spirito del Signore, quando si avvide che il Signore prendeva per pura Sua carità della compiacenza in lei. Lo pregò di liberare il suddetto Santo Pontefice dal purgatorio. Si degnò Iddio di rimettere al suo arbitrio la liberazione di quest’anima. La povera Elisabetta, restò sopraffatta dallo stupore per l’esuberanza della grazia: Mio Dio, disse, bontà infinita, lasciate che soggetti all’obbedienza la vostra grazia e, se Vi piace, lasciate che il mio padre spirituale destini il giorno.

Molto piacque al Signore questo atto di sottomissione e ad arbitrio del suo direttore fu rimesso il giorno della liberazione.

La mattina seguente tornò dal suo confessore per renderle conto di quanto era passato nel suo spirito. Le disse il confessore: Io vi comando di raccomandarvi al Signore, acciò si degni in questo giorno di liberare quest’anima dal purgatorio. Badate bene, le disse, che non passi la notte! Dite al Signore che questa è l’obbedienza che vi corre e si degni di esaudirvi!

Si partì dal confessionale e si pose in ginocchio piangendo: Gesù mio, avete inteso quanto mi ha imposto il Vostro ministro; per carità, lasciatemi obbedire.

Fu accertata dal Signore, che all’ora del Vespro questa santa anima avrebbe avuto l’ingresso felice nella patria degli eterni contenti.

All’ora del Vespro fu nuovamente assicurata della grazia, provando una interna dolcezza; restando nella pace del Signore, lodando e benedicendo il Suo Santo Nome.

La mattina seguente nella Santa Comunione, vide questo Santo Pontefice davanti al Trono Augustissimo del Sommo Dio. E rivolta a lui lo pregò di intercedere per tutti: Santo Pontefice, gli disse, pregate per la Santa Chiesa, particolarmente vi stia a cuore la povera città di Roma. Unisco le mie povere preghiere alle fervide Vostre o Santo Pontefice. Iddio ci mostra il Suo sdegno giustissimo contro tanti peccati enormissimi che l’offendono, particolarmente ci mostra Roma ingrata, e qual è il gastigo preparato per questa ingrata città: dopo molte afflizioni di ogni sorta, è il togliere a questa il grande onore di possedere la Santa Sede.

Oh quante miglia distante da te, o misera città, si sarebbe allontanata la Santa Sede, se le fervide preghiere di questo Santo Pontefice non avessero interceduto la grazia!

Rallegrati, dunque, che la Santa Sede non partirà da te; ma non sarai immune dal flagello che Iddio è per mandare sopra la terra, per la inosservanza dei suoi comandamenti. Se non mutiamo costumi, guai a noi!

Grandi furono i ringraziamenti che ricevette da questo Santo Pontefice, molte promesse gli fece di aiutarla in tutta la sua vita. Le fece intendere che molta parte vi aveva con la sua preghiera continua nell’ottenere la suddetta grazia, cioè di non castigare la povera città di Roma, col privarla della Santa Sede. Le soggiunse che avesse ringraziato il suo confessore per avergli accelerato il felice ingresso al paradiso. Le promise che in benemerenza della carità usata verso di lui, lo avrebbe assistito nel punto della sua morte.

Dopo pochi giorni del fatto antecedente, Elisabetta era tornata a casa dalla Chiesa ed attendeva alle sue faccende domestiche. In queste vide apparire due religiosi trinitari, che umilmente la pregarono di volerli liberare dal purgatorio.

Cosa volete, disse loro, da me, o anime sante? non sapete che sono la creatura più miserabile e peccatrice che abita la terra?.

Non altro vogliamo, soggiunsero, che visiti in nostro suffragio la Scala Santa, le dissero che i loro nomi erano uno Girolamo e l’altro Raimondo.

La mattina seguente riferì tutto al suo padre spirituale, il quale le disse che non desse mente a queste immaginazioni e le avesse disprezzate.

Ma nonostante fosse andata il giorno medesimo a visitare la Scala Santa, il giorno dopo il pranzo si portò alla Scala Santa e con molto raccoglimento, andò prima a visitare la Chiesa di San Giovanni e dopo essersi trattenuta circa una mezz’ora, passò a visitare la Scala Santa. Quando fu al primo gradino, vide apparire i due religiosi trinitari che salivano insieme la Scala Santa.

L’interno raccoglimento l’obbligava a trattenersi qualche tempo per ogni gradino; quelle benedette anime la sollecitavano; la carità l’affrettava, la devozione la tratteneva. Per quanto si affaticasse, vi mise circa un’ora. Terminato che ebbe di salire l’ultimo gradino, la ringraziarono della carità loro usata, promettendole di ricordarsi di lei e rapidamente spiccarono al cielo.

L’anno seguente, si trovava nella Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane; non sapeva per qual motivo ci fosse il suono lugubre delle campane. Stava il suo spirito in sommo raccoglimento, quando le fu manifestato che le suddette campane suonavano per suffragare le anime dei padri trinitari che si trovavano in purgatorio.

Le fu significato che nel celebrarsi la Messa cantata le suddette anime sarebbero libere dal purgatorio. Quando da mano invisibile fu trasportato il suo spirito in un certo luogo dove vide queste anime fortunate, che tutte ansiose stavano aspettando il felice momento di potersi unire a quell’immenso bene che ardentemente bramavano di possedere.

I Padri non erano che nel numero di tre o cinque. Non poté distinguere bene quanti fossero per la moltitudine delle altre anime appartenenti a questo sagro Ordine Trinitario, che umilmente si raccomandavano per presto sortire da quelle pene.

Le loro premure destarono in Elisabetta un gran desiderio di liberarle da quel penare. Si raccomandò caldamente al Signore, acciò degnato si fosse di consolare tutte le suddette anime.

Il Signore si degnò di ascoltare la preghiera della sua serva; le fece intendere che avesse ascoltata in loro suffragio la Messa e che sarebbero state liberate unitamente ai Padri Trinitari. Nell’Introito vide che tutte queste anime mutarono aspetto, da pallide e smorte, da afflitte e dolenti, al momento divennero floride e vivaci, tutte assorte in Dio, e stavano aspettando ansiose il felice momento di poterlo possedere.

Nel cantare il Diesilla, si misero tutte in bell’ordine; nell’Oremus fu data una certa disposizione, e divennero chiare come l’ambra e furono purificate nei meriti di Gesù Cristo.

Al Sanctus apparve candida luce che le rese quanto mai belle; alla Elevazione furono condotte al cielo per mano dagli angeli; nel dire Benedictus qui venit furono ricevute dall’Eterno Iddio, e annoverate fra i beati comprensori del cielo.

Un altro giorno dopo la Santa Comunione se ne stava Elisabetta in sommo raccoglimento, quando si vide presente l’anima di suo padre trapassato da circa nove anni; vedeva quella anima bella, tutta ammantata di luce. Seco si rallegrò, per un alto favore compartitogli dall’Eterno Iddio. In questo si umiliò profondamente e mostrando a Lui la sua riconoscenza verso l’infinito amore di Dio, con abbondanti lagrime deplorava le sue colpe. Suo padre a questa confessione, non si rattristò ma la pregò caldamente di raccomandare all’Eterno Iddio, tutti i loro parenti defunti; ella prontamente obbedì, porgendo all’Altissimo le sue suppliche con tutto fervore per suffragio delle suddette anime.

Offrì nel sagrificio della Santa Messa i meriti di Gesù Cristo. La sua preghiera avvalorata dai meriti del buon Gesù fu molto efficace e tutto ad un tratto furono liberate da quel tenebroso carcere; queste erano nel numero di quindici. All’Introito della Messa, Elisabetta fece la preghiera e al Sanctus si ottenne la grazia. Alla Elevazione, furono liberate; al Sanctus recò loro la felice nuova; alla Elevazione i rispettivi angeli custodi delle suddette anime scesero con somma allegria in quel carcere e trattele fuori da quell’oscuro luogo, al momento apparvero ammantate di splendidissima luce e si sollevarono al cielo, dopo avere profondamente adorato il Divin Sacramento esposto.

Fatto un profondo inchino avanti all’altare, ringraziarono la loro liberatrice, con sensi di gratitudine e se ne andarono felicemente agli eterni riposi.

Il 4 novembre 1817 festa di San Carlo Borromeo148, se ne stava lo spirito di Elisabetta godendo quanto mai di bene possa godersi da creatura viatrice, tanto era perfetta l’intima unione che godeva del suo Iddio, quando in mezzo a questa perfetta quiete, sentì molte voci lamentevoli, che a lei facevano ricorso. Conobbe essere queste le anime benedette del purgatorio. Si rivolse verso il Suo Dio, tutta compassione verso queste anime sante, e lo pregò di accordarle in grazia di portarsi a quell’orrido carcere, per poterle liberare.

Il suo Dio le accordò la grazia, mediante i meriti di Gesù e di Maria ed i santi Re Magi, ed i meriti di San Carlo Borromeo, i quali la condussero con loro in quel tenebroso carcere.

Nell’aprirsi quel profondo luogo, volle morire nel vedere gli atroci tormenti che quelle benedette anime pativano. Erano tali e tanto gravosi i patimenti che non è possibile manifestarlo. Sentiva la medesima tanta compassione di loro che per liberarle si sarebbe data a patire i più gravi tormenti. Dimostrò con lagrime di compassione i suoi desideri al suo amorosissimo Gesù, che tutto amore si degnava di guardarla. Lo pregò incessantemente ed ottenne dalla sua infinita liberalità la grazia di liberare molte di quelle benedette anime dal purgatorio.

Quale consolazione fu per lei il vedere in un baleno libere affatto da quei spietati tormenti una moltitudine di anime sante, che piene di gaudio se ne andarono al cielo a godere Iddio per tutta l’interminabile eternità!

Quando ottenne l’altare privilegiato, dopo che fu eretta la cappella in casa, si degnò Iddio per mezzo delle orazioni di Elisabetta, di compartire molte grazie tanto alle persone viventi, quanto alle defunte, ottenendo dall’infinita bontà di liberare un buon numero di anime dal purgatorio, e fra queste il buon Cardinale Scotti, per il quale fece molte orazioni ed altri suffragi.

Si applicò dunque con tutto l’impegno a suffragare questa anima, la quale le apparve dopo la Santa Comunione che aveva applicato in suo suffragio, e con molte lagrime aveva pregato il Signore di liberare questa anima dal purgatorio. Le apparve pieno di gioia e di contento, ringraziandola cordialmente di quanto avevo fatto per suo suffragio. Mercé, le disse, l’infinita misericordia di Dio e le tue preghiere, che hanno mosso Dio a usarmi misericordia con l’abbreviare il tempo della mia dimora in quel tenebroso carcere. La divina giustizia mi aveva condannato nel purgatorio per il lungo spazio di trenta anni; in questo momento ricevo la consolante nuova che la misericordia infinita dell’eterno Iddio mi chiama agli eterni riposi. La bontà di Dio mi ha manifestato essere stata la tua preghiera che a tanto bene mi conduce; la mia gratitudine a beneficiosegnalato ottenne dall’Altissimo di venirti a ringraziare. Avanti al Trono di Dio porgerò le mie suppliche per il tuo bene spirituale come ancora ricorderò il mio buon amico, per mezzo del quale ricevo questo gran bene. E nuovamente a lei rivolto, il suddetto defunto: Le tue penitenze, digiuni e orazioni hanno dato il giusto compenso alla divina giustizia di Dio, mediante gli infiniti meriti di Gesù Cristo, ai cui meriti unisti la tua penitenza, digiuni e orazioni che facesti in mio suffragio. Adesso, adesso me ne vado al cielo a godere l’immenso bene per tutta l’interminabile eternità.

Così dicendo, per mezzo di un globo di luce chiarissimo lo vide sollevare nell’altezza del cielo, lasciando nel suo cuore un contento di paradiso, un sentimento di profonda umiltà ed un particolare raccoglimento.

Darò termine a questo vasto ragguaglio, perché se volessi descriverli tutti formerei un volume da stancare chi legge.

Terminerò con un altro racconto dal quale il lettore comprenderà come il Signore degnò la Sua serva di farla arbitra del purgatorio nel corso dell’anno, ma in particolare nella ottava dei defunti.

Il primo novembre 1822, festa di tutti i Santi, stava Elisabetta con il suo spirito sollevato da Iddio con un ratto divino, trovandosi con lo spirito in una grande altezza; vedendosi circondata di luce che a sé l’univa, l’anima veniva a perdersi in Dio, perdendo la sua proprietà. Terminata questa divina unione, tornò alquanto in se stessa, senza perdere il gran bene che godeva ancora nell’anima. In quel momento ricordò che si dava principio in quella santa giornata, all’ottavario dei fedeli defunti; si rivolse con somma premura ed impegno verso il suo Dio e lo pregò con fervente preghiera e con calde lagrime ad usare misericordia con le anime defunte. Mio Dio, gli disse, degnatevi di darmi la chiave di quell’orrido carcere, come altre volte vi siete degnato darmi, perché io sento un desiderio grande di scarcerare dal purgatorio quelle anime sante. Vi supplico di questa grazia per gli infiniti meriti della vostra passione e morte.

Questa offerta bastò per ottenere la grazia, per essere di valore infinito. All’istante il suo Dio, per sua bontà, si degnò concederle quanto bramava e la fece arbitra delle sue misericordie; ma l’anima, in luogo di approfittarsi liberamente della grazia, con umile sentimento domandava al suo Iddio cosa doveva fare, e non ardiva neppure alzare gli occhi della mente, ma si tratteneva genuflessa avanti al Suo Divino Cospetto. Stava dunque, piena di timore, avanti al Divino Signore, non sapendo cosa doveva fare. Va, mi disse Iddio, presentati a quel carcere a mio nome, reca a quelle anime la consolante nuova che presto saranno con me in Paradiso.

In quell’istante apparvero tre santi angeli, i quali accompagnarono la sua anima all’orrido carcere del purgatorio. Il suo spirito lo vedeva sotto la forma di un’ombra chiarissima, tutto risplendente di luce. Si approssimò dunque l’anima a quell’orrido carcere in compagnia dei tre santi angeli e recò da parte di Dio a quelle sante anime la consolante nuova della loro prossima liberazione.

Non è possibile il ridire l’esultazione, il gaudio, la consolazione di quelle sante anime e quanto mai grandi fossero i loro ringraziamenti e le lodi che ne resero all’infinita misericordia di Dio.

Questo fatto le seguì la mattina. Il giorno dopo il pranzo si portò alla Chiesa e stette in orazioni più di tre ore, pregando per le anime purganti; in questo tempo il suo Iddio si degnò mostrarle il trionfo della Sua misericordia verso le anime purganti. Vide dunque quelle sante anime che a schiere, accompagnate dai loro santi angeli custodi, gloriose e trionfanti se ne salivano al cielo.

In tutti i giorni dell’ottavario seguì lo stesso, di più in Marino dove si trovava Elisabetta, perché il duomo incluse un altro giorno di esposizione in suffragio dei fedeli defunti. Sicché in nove schiere può dirsi che si spopolò il purgatorio!


 




145 Giannangelo Braschi, fu eletto Papa con il nome di Pio VI, il suo pontificato durò 24 anni dal 15 febbraio 1775 al 29 agosto 1799. Ordinato sacerdote in età matura, nel 1773 venne eletto cardinale da Clemente XIV e dopo la sua morte ed un conclave durato 4 mesi, fu eletto Papa.

Regnò in un momento molto difficile per la Chiesa per gli aspri contrasti con il gallicanesimo, il giansenismo, il giuseppismo, mentre la filosofia degli Enciclopedisti preparava un rivolgimento radicale della cultura.

Il suo pontificato fu perciò una continua lotta e dovette sopportare molte limitazioni dell’autorità ecclesiastica.

Pio VI ebbe il merito di favorire gli studi e di aver saputo affrontare coraggiosamente i problemi di risanamento igienico, di miglioramento delle abitazioni e delle vie di comunicazione. Tentò il prosciugamento delle Paludi Pontine, favorì il commercio e l’industria e completò il Museo clementino. (Cfr. Grande Dizionario Enciclopedico, Torino, UTET, 1968).



146 Fu Papa dal 7 gennaio 1566 al maggio 1572. Michele Ghislieri (Bosco Marengo, Alessandria, 1504Roma, 1572). Entrato nell’Ordine Domenicano, fu ordinato sacerdote nel 1528. Paolo IV nel 1556 lo elesse vescovo di Sutri e Nepi e nel 1557 fu nominato cardinale. Alla morte di Pio IV gli succedette mantenendo l’austerità del religioso rigido verso se stesso e verso gli altri.

Inviò visitatori apostolici nelle varie diocesi per vigilare sulla cultura e i costumi del clero secolare di Roma. Bandì il nepotismo, richiese sicure prove di zelo e moralità per chi dovesse venir eletto vescovo. Emanò ordinanze severissime per migliorare la moralità del popolo. Fu beatificato da Clemente X nel 1672 e santificato nel 1712 da Clemente XI. (Cfr. Grande Dizionarioop. cit.).



147 È tra le Chiese più antiche di Roma, fu costruita alla fine del IV secolo sui resti di un edificio termale romano che aveva probabilmente inglobato la casa del senatore Pudente, padre di Pudenziana e della sorella Prassede. Gli ampi rifacimenti cinquecenteschi hanno dato all’interno della Chiesa un aspetto tardo-rinascimentale, mentre la facciata ha subito un restauro ottocentesco che poco si armonizza con il campanile del XIII secolo. Tesoro di S. Pudenziana è la cappella Caetani, ricchissima di stucchi e marmi che creano un suggestivo effetto cromatico (navata sinistra). Fu ricostruita alla fine del cinquecento da Francesco da Volterra e ultimata da Carlo Maderno. (Cfr. Museo Italia, op. cit.).



148 Cardinale (1560), arcivescovo di Milano (Arona 1538Milano 1584). Con infaticabile zelo promosse studi, stroncò gli abusi del clero, istituì orfanotrofi, ricoveri per i poveri, scuole e collegi. Curò la conservazione delle tradizioni liturgiche ambrosiane. Soccorse personalmente gli appestati durante la terribile pestilenza che devastò Milano. Fu canonizzato il 21 agosto 1610. (Cfr. Grande Dizionario Enciclopedico, op. cit.).






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