Si compiaceva Iddio sovente, per illuminare viepiù
la mente della nostra Elisabetta, intorno alla cognizione della sua essenza e
bontà e per aumentare maggiormente nella medesima l’amore, infondeva tanta luce
nell’intelletto della nostra serva di Dio, e tanto ardore alla di lei volontà
che non solo in questa, per dir così, si perdevano le potenze dell’anima ma
ancora i sensi esterni del corpo.
In questo stato era favorita dal Signore con
l’estasi; oltre a ciò sentiva spesso nel suo interno come una forte
impressione, per la quale il suo corpo veniva anche a sollevarsi dalla terra.
In quella positura157 in cui si ritrovava ed in tale circostanza anche
lei, una volta guarita si può dire dal ratto, se ne avvedeva e si trovava per
le mani il lavoro o la scopa, o qualunque altra cosa manuale.
Volendosi trattare di queste estasi e ratti, si
incontra molta difficoltà, a motivo che furono tanto spesso e familiari nella
nostra Elisabetta, che senza punto esagerare, per questo capo può paragonarsi
alle ammirabili Sante Teresa, Geltrude ed altre Eroine che ammirano ed esaltano
la Santa Chiesa.
A corto dire, dal tempo in cui si consagrò alla
vita devota e si dedicò tutta al servizio di Dio quasi segregandosi dal mondo
sino alla morte, non fu altro la sua vita che un intreccio sorprendente di
estasi e di ratti.
Camminando, ragionando, a tavola, in Chiesa, in
cappella, nella stanza, si vedeva sempre alienata dai sensi e rapita in Dio.
Intorno a questo particolare, se si dovessero descrivere tutti, non mancherebbe
chi dicesse indiscretezza, a motivo che replicandosi sempre lo stesso,
apporterebbe noia e fastidio al lettore devoto. Si darà dunque brevemente un
saggio dei favori che le compartì Iddio, nel modo che si registrano.
Nel 1809 la vigilia di San Giovanni Battista, nel
principiare l’orazione preparatoria fu sopraffatta da particolare
illustrazione, fu illuminata la sua mente e l’intelletto fu sollevato a
contemplare l’eterna misericordia. Dopo aver profondamente adorato con l’intimo
dell’anima l’eterno Iddio, dopo essersi profondamente umiliata e inabissata nel
proprio nulla, dopo aver riconosciuto Iddio per assoluto padrone del cielo e
della terra, dopo essersi offerta tutta al Suo divino beneplacito, tutto ad un
tratto fu sopraffatta da dolcissimo riposo.
In questo tempo si trovò con lo spirito in luogo
deserto, dove tutto spirava santità. Vide da lungi il gran precursore Giovanni,
che verso di ella si approssimava; il suo spirito, pieno di venerazione e di
rispetto, si prostrò dinanzi a lui, lo supplicò umilmente a volersi degnare di
proteggerla. Tutto intimorito era il suo spirito alla presenza di questo gran
santo; i suoi occhi erano divenuti due fonti di lagrime, si sprofondava nel
nulla la sua anima e, fissi gli occhi in terra, un gelido timore le scorreva
nel cuore.
Il santo precursore con dolci accenti prese a
consolarla: Non temere, le disse, non temere. Di nuova consolante apportatore sono io. A te vengo da parte
dell’altissimo Iddio, acciò ti prepari
a ricevere gli alti favori dell’eterna sua bontà. Vedi, le disse, là ti aspetta il Paraclito Spirito per celebrare con te i celesti
sponsali. Diceva il Santo: Io sarò il
fortunato tuo condottiero. Oh grazia
ben grande, oh felice anima! esclamava pieno di ammirazione, oh infinita bontà dell’Altissimo! e
intanto le additava da lungi la terra di promissione. L’ammirazione e
l’esclamazione del santo precursore servirono alla medesima di somma
confusione; umiliando se stessa, non sapeva comprendere come mai si degnasse
Iddio di favorire con grazie tanto singolari un’anima tanto scellerata come si
riconosceva. Di santo orrore sentiva il cuore ripieno, piangeva, ma sentiva
contento il cuore. Una dolce violenza non le permetteva il potersi partire, ma
piena d’amore e di santi affetti anelante diceva: Il mio Bene dov’è?. Il
santo timore l’avrebbe trasportata ben lungi, ma la riverenza, il rispetto,
l’amore, dolce violenza facevano al suo cuore e non le permettevano il potersi
partire. In questo dolce contrasto in un baleno il suo cuore fu illuminato da
raggio inaspettato. La fede, la speranza, la carità, l’amore trasmutar fecero
l’anima e il cuore; una nuova vita le parve di respirare e, tutto assorto in
Dio, si profondava lo spirito in replicati atti di santa umiltà.
Il giorno seguente le apparve di nuovo il suddetto
santo, tutto sfolgoreggiante di luce, e la condusse sopra un alto monte, dove
da lungi le fece vedere la terra di promissione. Oh come nel mirar la vaghezza,
la bellezza, la fertilità di questa, la suddetta ardentemente desiderava di
potervi entrare, ma piena di stupore restò quando si avvide che non vi era
strada che là potesse condurre, mentre la benedetta terra era segregata affatto
da tutto il creato.
Il santo le additava da lungi la sua amenità, la
sua fertilità. La dimostrazione che le faceva il santo era tutta spirituale,
intima, profonda, riguardante l’intelligenza dello spirito. Si accese nel suo
cuore un amore ardentissimo verso Iddio, la cognizione intellettuale le faceva
conoscere il significato di quello che nella immaginativa le si rappresentava.
L’intelletto restò illuminato da quello splendore
che circondava il Battista; lo spirito fu sollevato nell’ampiezza della
divinità e dell’immensità di Dio. Nella rappresentanza della amenità e della
fertilità di questa benedetta terra, con la dimostrazione più magnifica che
possa concepire la mente umana, di bello, di dilettevole, e quanto mai di
prezioso e di magnifico possa comprendere tutto l’universo unito insieme. Oh
come in tutte queste magnificentissime cose riconosceva il gran Dio degli
eserciti per quell’onnipotente che egli è, ripieno della sua gloria in cielo e
in terra.
La medesima con tutto rispetto e riverenza si
profondava158 nel suo nulla, riconoscendosi la più miserabile; la
cognizione e la penetrazione di sì alto mistero rese estatico il suo spirito.
Iddio si degnò comunicarle per mezzo di
particolare intelligenza, cose sì alte e sublimi che il suo intelletto non poté
comprendere del tutto. In questa le vennero dimostrate le ricchezze celestiali
di quella benedetta terra. Oh come desiderava potervi andare! Ma non vi era
strada che là conducesse. Piena di affetto, alla benedetta terra rivolta, le
mandava i più infuocati sospiri, porgeva le più ferventi suppliche
all’Altissimo.
Rivolta al suo condottiero con calde lagrime lo
pregava a volerla là condurre; benché si riconoscesse affatto indegna, affidata
però nei meriti del suo Gesù, sperava di ottenere la grazia. In questo tempo
vide apparire molti angeli che, per comando di Dio, alzarono un magnifico ponte
per mezzo del quale poté l’anima della suddetta avere l’ingresso: così le fu
facile introdursi nella benedetta terra, accompagnata dal santo precursore e da
molte schiere angeliche, e in questo modo piena di gaudio, entrò nella terra di
promissione. I santi angeli mostrarono il più alto loro stupore per vedere
quest’anima tanto favorita da Iddio; la loro ammirazione rendeva alla medesima
una profondissima umiltà.
Appena pose i piedi in quella benedetta terra, le
fu dal suo Dio comunicata una purità angelica, che rese lo spirito puro e
semplice come una colomba. L’amor santo di Dio formò un vivo incendio di amore
ardentissimo. Quello poi che conteneva di bello e di prezioso in questo
vastissimo monte non si può mai descrivere né comprendere se non dalle anime
alle quali per mezzo della grazia soprannaturale, venga da Dio permesso di
penetrare.
Mentre non è spiegabile in paragone di quello che
sensibilmente noi vediamo di bello nel nostro mondo visibile, mentre è tanto
differente quanto la creta dall’oro finissimo.
Il santo condottiero l’andava conducendo e additandole
ora una cosa ora un’altra di quelle magnificenze, ma il suo spirito era rivolto
del tutto verso il Creatore che amava ardentissimamente e invece di prendere
compiacenza in queste cercava solo Iddio.
Nel tempo che il santo precursore faceva contemplare
le bellezze del monte santo allo spirito di Elisabetta, le additò un magnifico
palazzo, le disse esser quello del sommo Re, e che preparata si fosse ad essere
là introdotta per celebrare con il sovrano Signore i celesti sponsali.
A questa notizia il suo spirito fu sopraffatto da
santo timore, e inabissata nel proprio nulla si confondeva e confessandosi
indegnissima di sì alto favore, piangendo dirottamente si raccomandava
caldamente al suo santo condottiero, acciò l’avesse tratta fuori da quel luogo,
perché le pareva di oscurare la gloria di un Dio di infinita maestà,
riconoscendosi affatto indegna di tanto onore. Tornava con questi sentimenti ad
umiliarsi e viepiù si accendeva di carità. Fu dunque condotta da immenso stuolo
di angeli al regio palazzo. Prima di giungere vi era una ripida gradinata;
salita che ebbe l’alta scala, con sommo stupore vide che il magnifico palazzo
non aveva porta corrispondente alla sua magnificenza per poter entrare. Oh come
restò attonita159 e piena di stupore! non conoscendo la giusta cagione
come sì bello edificio non avesse che una piccolissima porta non più grande
della bocca di un forno. Peraltro questa era di forte metallo ben chiusa e
sigillata, di maniera che non si poteva penetrare. Il Santo Battista, conoscendo
la sua incapacità, la ammaestrò: Sappi,
le disse, che l’abitazione del sommo Re
non ha porta corrispondente alla Sua magnificenza, per denotare160 a quelli che vogliono entrare che si devono
umiliare, annientare, assottigliare, per così penetrare questa angusta porta.
Il Santo precursore le fece un grande elogio della
santa umiltà, le fece conoscere quanto doverosa sia ad ogni creatura questa
virtù, e quanto onore rende al sommo Iddio. A questa dimostrazione del Santo,
la medesima conobbe la necessità di questa virtù, e con sospiri e lagrime
pregava il suo Dio acciò si degnasse concederle la santa umiltà.
A questa preghiera si sente ad un tratto una
totale innovazione di spirito, che giustificò il suo cuore, e la grazia del
Signore per quel momento la trasmutò in un serafino di amore. In quel tempo
restò purificato il suo spirito, per mezzo della suddetta grazia, le comunicò
Iddio tutte quelle disposizioni che richiedeva un sì alto favore.
Si annientò dunque l’anima, si profondò nel
proprio suo nulla, e così ebbe libero l’ingresso. Si dischiuse al momento la
feral porta e l’anima, bene assottigliata con la grazia di Dio, nel magnifico
palazzo fu introdotta.
Dice la suddetta: Cosa dirò mai di questa magnificenza?
Non mi inoltro a proseguire le continue elevazioni
di spirito che questa serva di Dio godeva, perché quotidianamente era assorta
in estasi a contemplare le divine perfezioni.
Basterà quanto ho accennato per non accrescere
volume, lasciando di aumentare o diminuire a chi correggerà questo mio
qualunque dire, essendo la scrivente molto ignorante e incapace di riuscire in
tale opera.
|