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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

IntraText CT - Lettura del testo

  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO TERZO
        • 4 - Grazie miracolose concesse da Dio alle preghiere di Elisabetta
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4 - Grazie miracolose concesse da Dio alle preghiere di Elisabetta

 

Il Signore qui facit mirabilia magna solus165 come parla il Re profeta e si compiace di operarli ancora per mezzo dei suoi servi prediletti. Volle anche concedere alla nostra serva di Dio un tale gratuito dono in una maniera speciale facendo uso di una discreta brevità se ne riferirà qualcuno per edificazione del devoto lettore.

Compiacendosi il Signore di compartire molte grazie per mezzo dell’acqua che Elisabetta faceva benedire dal suo Gesù Nazareno, animava con questa ad avere fiducia e ne riportavano strepitosi miracoli.

Un padre di famiglia con poche ciambelle che la medesima gli mandò, benché moribondo, appena gliele accostarono alla bocca, con tutto che non poteva mangiare, restò libero dal male al momento, con sorpresa dei professori e meraviglia della famiglia, trovandosi si può dire senza convalescenza e tornò al suo impiego come se non avesse sofferto alcun male, con stupore di chi lo conosceva e lo tenevano per morto.

Un giorno si trovarono in casa di Elisabetta molte persone attinenti alla famiglia, le quali fecero una ricreazione nel loro giardino; nel tempo che si rallegravano innocentemente venne una donna166 già cognita. Appena entrata in casa, nel vedere Elisabetta si buttò in ginocchio e fra singhiozzi e lagrime, senza vergogna delle persone che vi erano, proruppe in accenti lamentevoli ché il suo fratello si era ammalato e quasi spedito e assolutamente ne voleva la guarigione dicendole in presenza di tutti: Voi sapete la causa, mi preme l’anima. Allora Elisabetta la condusse seco in cappella, le dette un non so che, e l’assicurò della sollecita guarigione, come seguì con stupore non solo dei professori ma dell’istesso infermo il quale si trovava in molti inviluppi e non voleva in alcun conto confessarsi, di modo che erano degli anni che non soddisfaceva neppure il precetto pasquale. Quando questa tornò a ringraziare Elisabetta per l’ottenuta guarigione del fratello in così breve tempo, la suddetta le disse: Riferite il tutto a Gesù Nazareno e alla vostra fede, ma siccome questa ripeteva: La mia consolazione che sia guarito è per la sua anima, ma non vedo principio che si renda almeno di soddisfare il precetto pasquale, me l’aveva promesso nella gravezza del male dicendomi: appena guarito soddisferò ai miei doveri, ma adesso se la ride.

A questo, soggiunse Elisabetta: Non vi prendete pena, non lo seccate altrimenti si esacerba; lasciatelo fare, vedrete come lavorerà la grazia! un poco per volta lascerà i negozi illeciti e le usure e si riconcilierà con Dio, dandogli spazio di vari altri anni da sopravvivere una vita tutta morigerata e santa; voi gli chiuderete gli occhi con una consolazione e soddisfazione di spirito, vedendo questa anima tutta data alla servitù e all’unione con Gesù Cristo.

La santa donna a queste parole si rallegrò santamente, ma dubitava per la sua poca salute e per i suoi demeriti di potere arrivare a questa santa consolazione, Elisabetta le rispose: Vi basti questo, e la licenziò e il tutto si verificò.

Vi era una signora che aveva la disgrazia di dare alla luce i figli morti ed erano stati nel numero di sette ovvero otto; si trovava incinta ma in preda alla malinconia.

Elisabetta le mandò a dire che stesse di buon animo che il fanciullo sarebbe nato vivo e che mai più avrebbe dato alla luce figli morti. Le mandò una devozione acciò se la fosse posta al collo e non temesse di niente.

Ad un’altra donna le era occorsa la stessa disgrazia, aveva dato alla luce undici figli morti ed era inconsolabile di trovarsi incinta del duodecimo figlio. Un’amica di questa conosceva Elisabetta e le raccontò l’afflizione di questa sua amica, rispose Elisabetta: Ditele che stia di buon animo che la creatura nascerà viva e non tema di niente, le mandò non so che di devozione, dicendole che avesse fede e il tutto riuscì felicemente.

Di questi casi ne accaddero in buon numero ed altrettanti che non potendo avere prole anche dopo molti anni giudicati dai professori impossibile, con qualche cosarella data da Elisabetta restarono subito feconde.

Se dovessi enumerare le guarigioni miracolose di tutte le qualità di morbi, si formerebbe un volume troppo grosso e mi discosterei dalla brevità che mi sono prefissa.

Termino la narrativa di quei portenti operati da Dio alle preghiere della sua fedele serva, basta quanto finora si è narrato.


 




165 Egli solo ha fatto grandi meraviglie. (Cfr. Ps 135,4).



166 Teresa Cargiuli Romana. (Cfr. Positio super dubio …, op. cit., p. 155).






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