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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

IntraText CT - Lettura del testo

  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO TERZO
        • 5 - Elisabetta prevede la sua morte
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5 - Elisabetta prevede la sua morte

 

Suole ordinariamente il Signore liberare sempre i suoi servi innanzi tempo, renderli consapevoli del loro passaggio all’eterna felicità ed in tal guisa viepiù animarli a tollerare i disagi e le pene di questa misera vita, sul riflesso del poco che loro resta da combattere per l’acquisto della immarcescibile corona ben dovuta a coloro che santamente consumano la carriera della cristiana perfezione, un favoresegnalato venne compartito più tempo innanzi alla nostra Elisabetta, la quale sentiva quel dolce invito Veni ad Patrem167.

Dall’anno 1819 aveva già pronunziato alla figlia minore che la terza malattia sarebbe stata l’ultima della sua vita e sempre le ripeteva, poco più nel decorso di cinque anni che sopravvisse e spesso ragionava sopra la brevità della vita e la fugacità dei beni di questo misero mondo. Ma dopo la morte della sua suocera che accadde il 12 dicembre 1824, nel terminare il suddetto mese, fu sorpresa Elisabetta da un poco di male come fosse un principio di idropisia ma giudicata dal medico non umorale ma quel poco gonfiore cagionato dai nervi ciò nonostante le ordinò vari medicamenti ed ella li usava per obbedienza, ma niente vi era di pericolo né da temersi per la vita. Ma ella ripeteva: Questa è l’ultima mia infermità e lo vedrete. Il consorte e le figlie le davano sulla voce come per tanto piccolo male si mettesse in questa apprensione, ma la medesima rispondeva: Siate certi che quando starò meglio me ne andrò all’altra vita alla quale molto aspiro, non sento apprensione per il male, toglietevi questi pensieri, ma vi dico solo che è mio dovere sistemare gli affari acciò non vi troviate smarrite e desolate, disse alle figlie, ed intanto si andava licenziando da molte persone anche con lettere, ma in modo direi come scherzando acciò poi non restasse nuovo quando sarebbe seguita la sua morte e non facesse tanta impressione la sua partenza da questa vita.

Andava intanto Elisabetta, benché così infermiccia, assestando gli affari di famiglia, ma il suo principale pensiero fu di lasciare alle figlie chi supplisse alle sue veci e pregò il già mentovato signor Giovanni Cherubini se voleva prendersi l’incarico di prestarsi alle sue figlie come esecutore testamentario disgelandogli la sua volontà e pregandolo che le sistemasse le suddette, ognuna nello stato che Iddio le aveva chiamate. Alla maggiore le facesse disbrigare

il matrimonio già combinato e dandogli il peso e il maneggio di tutto come a sua vece. Il suddetto ben volentieri accettò questo peso, ma dispiacendogli molto il sentire l’annunzio che presto sarebbe partita da questo mondo. Si trovò come smarrito non sapendo darle credito voleva dimostrarle che era pronto a compiacerla ma non così presto: Chissà, le soggiunse, non vada avanti io e lei vuol dare a me il carico delle sue figlie! e voleva frastornare tale discorso per il tanto dispiacere che sentiva per una tale perdita, amandola come una sorella veramente in Gesù Cristo.

Se la passava intanto Elisabetta con tutta disinvoltura e fervore di spirito accompagnata da una gioconda letizia; mancando pochi giorni al suo felice passaggio, chiamò le figlie e disse: Io mi avvicino alla partenza da questo esilio, vi raccomando di portarvi bene con Dio, ricordatevi le grazie e i favori ricevuti da questo amatissimo Signore. Osservate la Sua santa legge, ormai avete l’età della discrezione, conoscete il bene che dovete abbracciare e il male che dovete fuggire. Vi inculco il rispetto e l’ossequio che dovete al vostro padre e procurate di aiutarlo per quanto potete nell’anima e per il corpo compatitelo, sopportatelo e compiacetelo più che vi sarà possibile, ricordandovi sempre che vi è padre. Io non vi lascio così orfane già ho pensato a tutto; il mio esecutore testamentario sarà il signor Giovanni Cherubini che ha accettato questo incarico e voi due gli sarete soggette come a mia vece.

Vi lascio per tutore quell’altro Signore, il quale mi ha promesso che in mia mancanza supplirà con ogni premura alle vostre occorrenze; vi lascio per padre padrone Gesù Nazareno, vi pongo sotto i manti di Maria santissima e di San Giuseppe, non vi turbate ma state tranquille e in pace aspettando che giunga l’ora decretata dall’altissimo Iddio. Vi ricordo della promessa fatta di vestirmi voi due, e tacque vedendo le figlie commosse di maniera che non potevano proferir parola per l’acerbità del dolore.

Nella giornata il Padre Ferdinando andò a visitare Elisabetta, appena lo videro le figlie con calde lagrime lo supplicarono che con la sua autorità impedisse che la loro madre morisse così presto. Ah, gli dissero, questo è in mani sue glielo comandi che preghi il Signore di non levarla così presto dal mondo in età tanto fresca.

A questo parlare quel buon religioso si mosse a compassione e assicurò di fare quanto poteva per consolarle, ma soggiunse: Sono vari giorni che le ho portato queste ragioni che pregasse il Signore, se gli piaceva, di prolungarle la vita, mentre a questa preghiera ci doveva unire l’obbedienza che gliene dava il confessore. Vedremo se Iddio vorrà esaudirci e io vi prometto di riprovarvi, ma il suo spirito è quello che con ardenti sospiri desidera scarcerarsi dal corpo e violenta il cuore di Dio a condurla seco nei replicati favori che le comparte più che mai si accende di possederlo presto senza tante dilazionivincoli che la trattengano.

Era anche quel buon religioso confuso fra il timore e la speranza se il Signore volesse esaudirli, che non sapeva cosa dire.


 




167 Vieni al Padre.






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