È la morte per l’uomo giusto un riposo dopo le sue
fatiche, un porto sicuro dopo la pericolosa navigazione di questa vita, un
passaggio dal misero esilio alla patria beata e, sebbene ancor egli senta nel
corpo il peso dell’infermità che la precede e i dolori che l’accompagnano, il
suo spirito però non è disturbato dalla sua pace e tranquillità fondata nella
ferma confidenza in Dio ed animata di amorosi desideri di uscire da questo
carcere per andarsi ad unire eternamente col Sommo Bene.
Una tal felice sorte fu anche concessa a quella
serva di Dio della quale si è riferita la vita e si racconta la morte preceduta
da un’infermità direi quasi del tutto nuova, tale giudicata dal medico che in
tutte le malattie l’aveva curata.
Al terminare l’anno 1824, cominciò l’infermità
della serva di Dio. Un interno ardore l’andava consumando che non poteva dirsi
febbrile secondo il parere del medico, ma la rendeva ansante ed oltre ogni
credere infichita di forze comparendo del gonfiore alle gambe. Ciò
nonostante non lasciò mai gli ordinari esercizi sia di notte come di giorno,
ascoltando ogni mattina la Santa Messa nella quale riceveva la Santa Comunione
nella sua cappella. E in questa se la passava quasi tutto il giorno e parte
della notte benché così inferma, ma il vigore dello spirito dava forza alle
membra indebolite. Passò dunque Elisabetta tutto il mese di gennaio del 1825
con piccola malattia cronica, della quale non vi era alcun pericolo mortale. Ma
di più nell’entrare il mese di febbraio non solo fece un miglioramento ma era
guarita del tutto sembrando una giovanetta sanissima; disse alle figlie
scherzando: Vedete un poco se comparisco più giovane io che voialtre!
Chi può ridire la consolazione delle suddette vedendo la loro madre in sì
perfetta guarigione! Ma la medesima replicò: Figlie, non vi lusingate per questa apparente mia sanità, mentre pochi
giorni mi restano di vita e lo vedrete in evidenza come vi ho detto altre volte
che sarà fuori di ogni aspettazione. Quanto poi fece e disse nel corso
della sua breve infermità, tutto fu mirabile e sorprendente. I sentimenti che
proferiva erano tutti celesti. Il dono dell’estasi l’accompagnò sino alla
morte. Sovente rimaneva sopita nei sensi esterni e di viva mostrava solamente
un immenso calore, un viso giocondo e fiammante accoppiato però con un
respirare ansante che faceva nel tempo stesso stupire il medico e tutti quelli
che erano di sentimento uniformi. L’infermità di Elisabetta non era ordinaria.
Nel ritornare poi in se stessa prorompeva in
esclamazioni infuocate ed in teneri affetti verso il suo Dio intrecciando di
continuo nei suoi discorsi varie giaculatorie come Oh quanto è bello amare Iddio.
Ma la più familiare era Sgombra da mortal
velo, anima mia va’ in cielo in braccio
al tuo Signor, ed altre espressioni sì tenere che riempiva di consolazione
indicibile chiunque la udiva.
Giunse finalmente il 5 febbraio, di sabato,
dell’anno sopranotato 1825. La mattina ascoltò la Santa Messa nella sua
cappella, ricevette la Santa Comunione per le mani del suo confessore, il quale
quella mattina celebrò la Santa Messa nella suddetta cappella. Dopo la Santa
Comunione restò Elisabetta estatica tutta quella mattina, adagiata nel suo
letto.
In ogni istante dava in esclamazioni verso il
cielo senza mai parlare di altro e sembrava che non concepisse niente di queste
cose sensibili, ma era tutta assorta in Dio.
Dopo il mezzogiorno, le figlie a stento la fecero
sostentare168 con un ristoro. Il giorno dopo il pranzo al tardi tornò
il suo confessore e vi si trattenne del tempo a conferire, dopo proseguì a
stare nel suo raccoglimento ma con una tranquilla disinvoltura trattava di
disbrigare le cose di casa per la partenza, ma non con tanta chiarezza.
Verso un’ora di notte disse alla sua figlia minore:
Senti, adesso che siamo sole voglio darti
tutte le incombenze che dopo la mia morte
voglio che eseguisci, la figlia non voleva ascoltare ma fu obbligata a
sentirla: Tutti i miei scritti che tanto
volentieri darei alle fiamme, ma per obbedienza
precettiva ho scritto e mai ho potuto ottenere il permesso di bruciare, li
consegnerai al mio confessore unitamente a quella borsa di istromenti di
penitenza. Quei pochi denari che vi sono prendeteli voi senza dir niente ad
alcuno, vostra sorella ha molto di più
avendo tutto l’acconcio. Restò in pace a questo discorso benché la figlia
più volte l’interruppe perché non voleva sentire, dicendo: Ah mamma mia, questo parlare non mi piace, poi lei non sta in uno stato
che abbia da morire, pure il Padre Ferdinando, al quale ci siamo tanto
raccomandate, ci avrebbe avvisate, ed egli ce l’ha promesso stando lei sotto la
sua obbedienza bene ne deve essere inteso e ci avrebbe detto qualche cosa su
questo nostro disastro incomportabile. Soggiunse Elisabetta: Tutto questo che dite o figlia è vero, ma le
vie del Signore sono diverse dai nostri pensieri, sentite: questa mattina dopo
la Santa Comunione mi è apparsa la
santissima Vergine Maria con un folto stuolo di Angeli e Santi. Ha preso
l’anima mia per modo di intendere l’ha posta come in una cestella e l’ha
condotta innanzi al trono di Dio. Trovandomi avanti la Divina Maestà mi sono
inabissata nel mio nulla, ma la Sua bontà compiacendosi di lasciare a mia
scelta il restare a vivere nel mondo o di andare a goderlo e amarlo per tutta
l’eternità, l’anima mia si è trovata confusa, non volendo che il suo
beneplacito ed a quello volevo conformarmi. Ma ho ricordato al mio Signore che
me l’aveva promesso ed Egli mi ha dato
parola che dopo poche ore mi avrebbe condotta con Sé al trionfo della gloria.
Io non ho mancato di dire tutto questo al mio confessore, ho distinto che il suo intelletto era oscurato e non
capace di comprendere quanto gli dicevo, ma il Signore l’ha permesso perché
Egli è il padrone assoluto dell’anima mia e non vuole che il suo ministro mi
trattenga con l’obbedienza.
A questo dire così chiaro la figlia credette di
morire e stava confusa e sospesa, ma Elisabetta: Presto, le disse, figlia non
si può perdere tempo, fammi la carità di farmi lavare mani e viso; dammi la mia
camigia di lana, la veste e il fazzoletto di spalle che devo cambiarmi e
prepararmi, così poco vi resta da fare dopo a voialtre, aggiunse altre
avvertenze e ricordi.
In questo tempo sopraggiunse un nipote, figlio di
un fratello, questi le domandò come stava e che era venuto apposta, ed ella gli
rispose che stava per partire ma con una quiete inalterabile ed eravamo sulle
due ore di notte.
La figlia maggiore disse alla minore: Giacché è venuto Pippo, senza che mamma si
muova dal letto le potremo mettere un banco più basso da piedi, senza farla
stare con i cuscini tanto alti,
perché in quel giorno le si era un poco riprodotto l’affanno, così questa notte riposa meglio.
Elisabetta sorridendo, disse: Fate una fatica inutile, ma le figlie: Ci lasci fare mamma mia, vedrà
che starà comoda, soggiunse, Fate
come volete. Finalmente nel mentre che volevano accomodare il letto,
Elisabetta si era appoggiata al braccio destro della figlia minore; la maggiore
stava accomodando i cuscini e il nipote Filippo con la donna di servizio
stavano aspettando per cambiare questo banco.
In questo tempo senza alcuna mossa né di male né
di sturbo169 dice alla figlia maggiore: Lascia i cuscini e vieni avanti a me. La suddetta rispose: Mamma mia non posso, altrimenti cadono tutti. Non importa, soggiunse
Elisabetta, lasciali cadere. Ma
vedendo che la figlia non la compiaceva, disse: Ebbene, fate mettere Vittoria a reggere i cuscini e voi venite avanti a me, come fece.
Quando si vide innanzi le figlie, le guardò
fissamente e alzate le pupille al cielo le quali comparvero come due stelle,
placidamente spirò. Sopra il collo e il braccio destro della figlia si adagiò
come una che si pone a riposare senza alcun moto non dando alcun segno di
essere trapassata. Dubitarono che fosse uno dei soliti supinamenti di spirito e
le figlie pregarono il cugino che andasse subito a chiamare il Padre Ferdinando
suo confessore dal quale speravano di farla richiamare da quell’estasi.
Il suddetto vi andò subito ma la trovò trapassata
e allora intese che non aveva penetrato il senso di quanto gli aveva riferito
il giorno e ne restò sopramodo confuso e afflitto, confessando alle figlie che
non aveva conosciuto il senso di quanto gli aveva detto il giorno, dicendo: Il Signore ha voluto guidare quest’anima da
Sé solo senza aiuti umani nelle tre malattie che ha sofferto o per dire meglio
nelle prove che ha voluto fare Iddio della sua fedeltà e del suo amore.
Rallegratevi o figlie, ché avete una grande avvocata in cielo e spero vorrà
intercedere ancora per me che l’ho diretta in tutti questi anni ed è stata
esemplarmente obbediente. E qui fece una predica breve e se ne tornò al
convento.
Per riprendere il filo. Placidissimamente
Elisabetta rese lo spirito in braccio del suo Signore alle ore due e mezza
passate, dopo l’Ave Maria in età di anni cinquanta170, due mesi e
quindici giorni, nel giorno 5 febbraio 1825.
Fu Elisabetta di alta statura, ben complessa e
bene organizzata, di carnagione bianca con un colorito di volto come una rosa;
gli occhi neri vivaci ma accompagnati da una modestia angelica; il naso e di
bel profilo la bocca e le labbra; in bella forma di aspetto vivace ma modesto,
il solo mirarla attraeva chiunque, il suo portamento moveva a comporsi come
compariva, eccitava a modesta devozione fin da quando era giovanetta.
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