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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

IntraText CT - Lettura del testo

  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO TERZO
        • 7 - Quanto avvenne dopo la sua morte - Sue apparizioni gloriose
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7 - Quanto avvenne dopo la sua morte - Sue apparizioni gloriose

 

Al rumore della porta di casa corsero gli appigionanti per vedere se occorreva qualche cosa, immaginando che qualche sturbo avesse preso ad Elisabetta, ma trovarono che era già trapassata tanto più gli rincrebbe perché era degli anni che si conoscevano e ci passava una santa amicizia. Volevano consolare le figlie che erano come stupide e anche dare di mano a vestirla, ma le figlie dissero: Non si ha da fare altro che metterle la tonaca, e la vollero lasciare per quella notte sopra il letto, quasi sperando che tornasse in vita.

Terminato questo, tornò in casa dopo quattro ore di notte il consorte di Elisabetta e trovandola che più non viveva volle morire di pena, pianse amaramente e diceva alle figlie: Ma come è andato? Io non l’ho lasciata gravata, anzi si può dire bene, pareva un poco bene da non farvi caso, e non si poteva dar pace. E con queste querele e condoglianze con gli appigionanti che fecero un’alternativa or l’una or l’altra, passarono tutta la notte.

Appena si fece giorno, con qualche aiuto le figlie la trasportarono in cappella sopra un tappeto per terra. Intanto si sparse la voce e la mattina si empì la casa di parenti e conoscenti tanto per ossequiare quel sagro cadavere dal quale tanti vi avevano ricevuto molti benefici, quanto ancora per consolare le figlie trapassate dal dolore.

Essendo domenica le suddette non si mossero di casa andandovi quel sacerdote che quasi tutti i giorni celebrava la Messa in cappella e comunicava Elisabetta. Quanto sentì al vivo una tal perdita questo degno ecclesiastico: Ah!, disse, bene l’aveva pronunziato con qualche accento ma non avrei creduto così presto e questa mattina invece di comunicarla dovrò celebrare, presente il suo cadavere; è un gran sacrificio ma per far ascoltare la Messa alle figlie, mi vincerò, come fece.

Di poi disse che aveva provata una dolcezza di spirito sovrumana più degli altri giorni che vi celebrava assicurando tutti quelli che vi erano dicendo: Da che ho avuto la sorte di celebrare in questa santa cappella e trattare un poco con questa serva di Dio, ho cambiato vita e ho conosciuto i pregi nascosti della via dello spirito.

Fra tutte le persone concorse il primo fu il signor Giovanni Cherubini il quale, come si era preso il carico di esecutore testamentario, si diede premura di soddisfare alla parola data.

Con un’amorevolezza paterna, benché molto sentisse la perdita di Elisabetta, ad ogni modo si diede carico di operare; prima consolò le figlie e voleva persuaderle ad andare fuori di casa per qualche giorno temendo che si ammalassero. Ma le suddette ringraziarono tutti di tale amorevole esibizione dicendo che non volevano lasciare la loro madre benché defunta finché stava in casa, come fecero.

Allora il Cherubini esibì alle figlie cosa volevano fare per seppellire quella santa spoglia, dovendo trattarsi col parroco, gli dissero: Giacché ci usa tanta carità, dica al curato che la defunta appartiene all’Ordine Trinitario, se si contenta, noi la vogliamo far seppellire a San Carlo alle Quattro Fontane; se gli fa resistenza gli soggiunga che noi non la vogliamo mandare al comune nella parrocchia ma piuttosto la manderemo alla sepoltura della famiglia Canori, alla quale appartiene all’ Aracoeli con i suoi genitori e parenti. Ma gli aggiunga che la spesa la facciamo come si seppellisse in parrocchia senza risparmio di spesa volendo dare questo ultimo atto di gratitudine alla nostra madre che tanto ha fatto per noi, se i denari non arrivano venderemo come suol dirsi anche i chiodi di casa.

Il curato si contentò che la defunta si seppellisse a San Carlo alla sepoltura dei Trinitari. Volevano allestire il trasporto il giorno della domenica ma le figlie non vollero, dissero: Non ci privino così presto della compagnia della nostra cara madre è una spoglia che non reca disturbo, né cattivo odore, anzi spande fragranza benché tutte le finestre stiano chiuse. Faremo questa privazione il giorno di lunedì sul tardi.

Dissero al suddetto signor Cherubini che le facesse fare l’accompagno dai religiosi di Aracoeli e dai sacerdoti, quanti credeva il curato, compagnie non si può, perché a una terziaria trinitaria non lo permettono con la povertà. Fra i religiosi ci fu chi disse: E come si fa, se la mandate in Chiesa il giorno di lunedì, il martedì mattina non può stare esposta perché il giorno otto cade la festa di San Giovanni de Matha uno dei fondatori171 dell’Ordine Trinitario.

Risposero le figlie: E di questo abbiamo piacere, così starà sopra terra un giorno di più. Venuto dunque il giorno sette di lunedì dopo ventidue ore, si doveva portare via il cadavere di Elisabetta. La casa era piena di parenti e amici; le figlie non volevano staccarsi dalla madre.

 

La minore aveva passato quei due giorni e notti quasi sempre in cappella ai piedi della sua madre; non vi era il modo di staccarla perché stava chiusa dentro sola.

Finalmente stava per venire la compagnia, la zia sorella di Elisabetta con tono imperioso le comandò che sortisse fuori, rispose la suddetta figlia: Mi lasci compìre gli ultimi uffici di attizzare le lampade e le candele, e, bagiando e ribagiando le mani e i piedi della sua cara madre si partì non alzando un occhio a rimirare né a salutare le molte persone che vi erano.

La suddetta zia prese il padre e le figlie e le mise in carrozza dicendo al vitturino che spronasse i cavalli, mentre la compagnia già si approssimava e li condusse a visitare la Scala Santa.

Dopo vollero tornare subito in casa, dicendo: Non ci fa ribrezzopaura, anzi ci reca devozione il rimirare le cose di nostra madre, basti il dire che non le abbiamo potuto recitare un de profundis sano, andando la lingua sempre al gloria patri e sempre nella mente anzi nelle orecchie come cantare attollite, portas, principes vestras172 e quel che segue e altri inni di gloria. E nel visitare la Via Crucis sempre abbiamo formata l’intenzione che mandasse Iddio il suffragio a quelle anime che desiderava nostra madre essendo certe che la medesima non ha di bisogno, così le Messe fatte celebrare le abbiamo dirette con la stessa intenzione.

Fu portato dunque il giorno di lunedì il cadavere di Elisabetta nella Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane e fu consegnato dal parroco ai Padri Trinitari che la depositarono in una cappella per celebrare il martedì la festa del santo fondatore, San Giovanni de Matha.

Il martedì si fecero le esequie nella parrocchia e il mercoledì nella Chiesa di San Carlo dei Padri Trinitari con molta pompa.

Il giorno dopo il pranzo al tardi del mercoledì 9 febbraio, fu incassata quella benedetta spoglia ivi presenti tutti i padri e molte persone devote dalla quale avevano ricevuto molta caritàspirituale come temporale.

Contornarono quel santo cadavere quasi api dove avevano succhiato il miele del paradiso. Con molta violenza fu posta nella cassa e con lagrime e sospiri delle stesse persone che vi erano fu accompagnata al luogo destinato alla sepoltura sotto la suddetta Chiesa.

Il Padre Ferdinando la fece porre in luogo separato sotto l’altare del Beato Michele dei Santi173, situata che fu la cassa dai muratori si fece formare come un deposito come si vede presentemente. Si fece fare una piccola lapide di pietra incassata al muro con la seguente iscrizione:

 

D O M

HIC REQUIESCIT CORPUS

MARIAE ELISAB. CANORI MORA

CUIUS ANIMA

CHARITATE HEROICA ORNATA

ET DIVIN CARISMAT' LOCUPLETATA

IN COELUM EVOLAVIT

Die V Febb A D MDCCCXXV174

 

Non si deve qui passare sotto silenzio quanto avvenne ad una giovane figlia di un’amica di Elisabetta. Questa stava al letto poco bene e si era posta a sedere sul letto per cenare, nel mentre che aspettava che gliela recassero si vide dinanzi Elisabetta, tutta risplendente e le disse: Io me ne vado in cielo ricordatevi di confessarvi del tale peccato che per dimenticanza avete lasciato di accusarvene, e come un lampo disparve.

Al momento la suddetta gridò: Mamma venga da me. A questo accorse subito non solo la madre ma le sorelle, disse ancora la giovane: Madre mia, veda che ora è. Poi le soggiunse: La signora Elisabetta è andata in paradiso adesso. La madre le rispose: Figlia, tu sogni ad occhi aperti, è impossibile. Ah, replicò la giovane, sarebbe buono se non fosse, ma domani lei lo verificherà se combina l’ora, per questo ho voluto che guardasse l’orologio, ah mamma», le soggiunse piangendo, per segno del vero mi ha manifestato un peccato che ho lasciato in confessione per dimenticanza, ma mi ha imposto di confessarmene, veda se sbaglio o sogno. A questo dire della suddetta con tanta osservanza, la madre con le tre figlie piansero per una tale perdita e la mattina veniente verificarono il tutto come aveva detto l’anzidetta giovane.

Accadde il medesimo alla di lei sorella Maria Canori la quale stava nella sua camera facendo orazione per poi andare a riposare; in un subito vide che la sorella se ne andava agli eterni riposi raccomandandole le figlie ché se ne prendesse pensiero fintanto che non fossero sistemate.

A tutto questo non le pareva di credere a se stessa e tutta quella notte non poté chiudere occhi.

Appena fatto giorno fu verificata del tutto. Quando si portò in casa di Elisabetta trovò che non era fantasia o inganno ciò che aveva inteso e veduto ma il tutto eseguito a puntino.

Apparve a più di una a Marino ma in particolare ad una sua comare dicendole: Se volete venire dove vado io bisogna che calchiate questa strada spinosa e facciate quello che vi ho consigliato più volte quando ero in vita, non dubitate che non dimentico alcuno delle vostre famiglie, assicurate tutti, e in questo dire, disparve.

Non tralascerò un’altra apparizione accaduta in un monastero di Roma, dopo vari anni dal suo felice transito.

Fu assalita da grave morbo una giovane novizia a giudizio del medico insanabile e se quella

qualità di malattia non l’avesse così presto tolta di vita in ogni modo non poteva professare, ma le conveniva deporre le sagre lane e tornare in famiglia.

Così cronica si trovava la suddetta novizia costernata e avvilita e niente le recava conforto e consolazione. Una sera la maestra le dette un pezzo di velo di Elisabetta e senza parlare glielo dette in mano, ma la suddetta sapeva di chi era.

Trovandosi questa cartina con questo velo diceva fra di sé: Che mi fa questo velo? Io non ci credo per niente a questa santità che si dice, ci sono tanti santi in cielo proprio a questa devo raccomandarmi, ma dove mai! mi contenterò di dire tre Pater Noster alla Santissima Trinità, e svogliatamente li recitò.

Stando la suddetta così agitata e cogitabonda nelle sue melanconie soffrendo nella sua macchina il male, a notte inoltrata vede uno splendore che rischiarava tutto il noviziato, più luminoso del sole quando illumina un’aperta campagna. Da questo splendore vede vaga e maestosa matrona vestita di bianco ammantata di luce; con questa vi era un’altra di minore grado e come ancella sollevò la tenda che aveva intorno al letto la novizia. Le disse la vaga matrona: Mi conosci o figlia, io sono Elisabetta, sono venuta a guarirti, non dubitare, professerai, sta di buon animo. Prima di partirsi le dette molti documenti per vantaggio dell’anima sua e partì in un baleno restando tutta la notte in colloqui e ringraziamenti al Signore.

La mattina appena si levò la maestra le raccontò il prodigioso avvenimento ringraziandola della premura che aveva avuto nel darle quel pezzo di velo. Il medico nel visitarla con molto stupore la trovò sana ed essendo festa le disse che poteva ascoltare la Messa ma che tornasse al letto per la debolezza benché dopo uno o due giorni tornò alle sue incombenze.

Al terminare dell’anno professò con pari contento della giovane e della comunità; in seguito poi non solo non ha patito più di quel male ma ha sempre goduto una perfetta salute fino al giorno di oggi.


 




171 L’altro è San Felice di Valois (nota n. 143). L’Ordine della Santissima Trinità è stato riformato da San Giovanni Battista della Concezione (Almodóvar del Campo (Ciudad Real) 10 luglio 1561Cordova 1613). A 19 anni indossa l’abito trinitario a Toledo, dove fa il noviziato. Il 29 giugno 1581 fa la professione religiosa perpetua. Vive la sua vocazione dedito soprattutto al ministero della predicazione per il quale è particolarmente dotato. Nel febbraio 1596 sente un forte desiderio di passare alla riforma e da quel momento abbraccia in tutto il suo radicalismo evangelico la Regola primitiva di San Giovanni de Matha. A Valdepeñas si stabilisce la prima comunità di trinitari scalzi. Con il breve Ad militantis Ecclesiae (1599), papa Clemente VIII validità ecclesiastica alla Congregazione dei fratelli riformati e scalzi dell’Ordine della Santissima Trinità istituita per osservare la Regola di San Giovanni de Matha in tutto il suo rigore. Scrive varie opere spirituali ricche di sapienza e di pietà. È beatificato il 26 settembre 1819 e canonizzato nel 1975. (Cfr. Pujana Juan, San Giovanni Battista della Concezione. Riformatore dell’Ordine Trinitario, Isola del Liri, Tipografia Pisani, 1975, pp. 70).



172 Sollevate, o porte, i vostri frontali. (Cfr. Ps 23,7).



173 San Michele dei Santi nacque a Vich, in Spagna, nel 1591. Entrò nell’Ordine della Santissima Trinità nella famiglia dei calzati; passò poi tra i Trinitari riformati, dove percorse in modo mirabile la via della perfezione, vivendo nella stretta osservanza e immerso nella contemplazione. Fu rivestito dal Signore con preziosi doni mistici. Morì a Valladolid il 10 aprile 1625; la sua festa si celebra l’8 giugno, giorno della sua canonizzazione, avvenuta nel 1862 da Pio IX. (Cfr. La mia vitaop. cit. pp. 337 e 381).

 



174 Qui riposa il corpo di Maria Elisabetta Canori Mora la cui anima è stata ornata di una eroica carità e piena di divini carismi volò in Cielo il giorno 5 febbraio 1825. (Traduzione dei Padri trinitari di San Carlino).






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