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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

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  • INTRODUZIONE
        • 2 - La biografia di Elisabetta
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2 - La biografia di Elisabetta

 

Elisabetta Canori Mora, per obbedienza, fa una relazione scritta a Padre Ferdinando di San Luigi Gonzaga, trinitario, suo confessore, di ciò che avviene al suo spirito. Si conoscono nel 1806; scrive Elisabetta nel suo diario: in questo tempo mi trovavo senza direttore, per essere il suddetto andato fuori a predicare ed ebbi ispirazione di presentarmi a un tale ministro di Dio, senza sapere chi fosse. È Padre Ferdinando di San Luigi Gonzaga, uomo di santa vita, molto pratico, dotato di grande prudenza e sensibilità, il quale la incoraggia a proseguire nella strada intrapresa e la guida nella via di perfezione fino alla morte. Le ordina di scrivere tutto quello che accade al suo spirito e di sottomettere tutto al suo giudizio. Elisabetta obbedisce con grande umiltà e prega sempre il suo amorosissimo Signore perché illumini il suo direttore spirituale affinché Dio gli conceda quanto ritiene costruttivo per la sua anima.

Gli scritti di Elisabetta, che constano di 1164 pagine manoscritte, sono da Lucina, dopo la morte della Beata, consegnati al destinatario per disposizione materna, che tanto volentieri darei alle fiamme, ma per obbedienza precettiva ho scritto e mai ho potuto ottenere il permesso di bruciare, li consegnerai al mio confessore unitamente a quella borsa di istromenti di penitenza11.

Dopo la morte di Padre Ferdinando di San Luigi Gonzaga, avvenuta nel 1829, il diario di Elisabetta passa nelle mani di Padre Giovanni della Visitazione, trinitario, uomo di grande cultura e dal tenore di vita esemplare12, il quale nel 1851 incoraggia ed insiste presso la figlia perché aggiungendo alle memorie surriferite della propria madre quanto poteva dire in proposito come spettatrice oculare, ne concretasse un fedele racconto.

Lucina con umiltà intraprende il lavoro, dal momento che ebbe ad obbedire ad una forza superiore e segreta, si accinse all’impresa quanto meglio per lei si è potuto.

Le trecento pagine manoscritte, che costituiscono questa pubblicazione, si conservano nell’archivio di San Carlo alle Quattro Fontane, le stesse ispirano semplicità e sincerità, e benché scritte 26 anni dopo la morte della protagonista, incutono un tale rispetto che non sfiora minimamente il dubbio che siano state contraffatte. Le medesime sono state una prima volta trascritte fedelmente e sottoposte ai Padri trinitari di San Carlino, i quali, constatata la poca comprensibilità del testo hanno disposto che si facesse una revisione rispettando il pensiero dell’autrice, ma aggiungendo la punteggiatura ove mancante, eliminando gli errori ortografici e qualche sgrammaticatura, per facilitare la lettura a quanti desiderano avvicinarsi a questa eroina dell’ottocento, affinché il suo messaggio d’amore possa arrivare al maggior numero di persone sicure di trovare in lei conforto, incoraggiamento e forza per proseguire il cammino terreno ed andare sempre avanti per le vie del Signore e per diffondere e propagare il culto di questa straordinaria laica trinitaria romana, sposa, madre e mistica, beatificata dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, a San Pietro in Vaticano, il 24 aprile 1994 che visse il Vangelo nel suo stato secolare secondo il carisma trinitario e fece della sua vita un dono al suo amorosissimo Gesù sacramentato.

Il testo è diviso dall’autrice in tre libri, i quali sono divisi in capitoli, per complessivi cinquanta capitoli.

Il primo libro tratta del tenore di vita della famiglia Mora, del vissuto quotidiano, partendo dalla nascita di Elisabetta fin quasi alla vigilia della sua morte. Elisabetta è educata dalle Suore Agostiniane a Cascia, nel monastero di Santa Rita, è semplice e colta, modesta e bellissima. Il suo matrimonio con Cristoforo Mora segna l’inizio del perfezionamento delle sue virtù eroiche ed il punto di partenza di una vita irregolare del marito. Le prime due figlie appena nate ritornano presto in Paradiso, e le altre due nascono in un periodo difficile per Elisabetta, essendo in precarie condizioni di salute e trascurata dal marito. Lucina racconta con dovizia di particolari l’operosità della madre, l’affabilità e la dolcezza nel trattare con le persone, la carità verso il prossimo: molti furono coloro che vennero consolati dal suo parlare, con una soavità di spirito particolare faceva loro concepire un’idea grande della divina misericordia. Lucina parla anche del dissesto familiare a causa di speculazioni sbagliate e cattiva condotta del padre; delle peripezie subite a motivo dei numerosi trasferimenti domiciliari, dell’estrema povertà in cui vivono, ma soprattutto della fiducia e della gran fede di Elisabetta nel suo amorosissimo Signore e della sua capacità di inculcare nelle figlie i valori che contano.

Confidiamo in Diosuole ripetereEgli ci provvederà di tutto.

Scrive Lucina: ci fece ascrivere per le indulgenze e per la protezione alla Madonna Santissima del Carmine, al Santo Rosario e alla Santissima Trinità, e per assuefarci alle orazioni quotidiane, studiava di farle attuare alla presenza di Gesù sacramentato.

Nel secondo libro Lucina fa una disamina delle grandi virtù di Elisabetta: esortava a comprendere la propria viltà e miseria, perché si allontanassero dai pericoli di cadere nel peccato. Con questa speranza in Dio richiamò e sollevò molte anime dalla via di perdizione e molte dalla pusillanimità e le ricondusse nel giusto e retto sentiero. La sua vita è una continua ricerca di perfezionamento per piacere al suo Dio: procuravo di vigilare sopra me stessa per non mancare né con opere né con parole, chiedendo umilmente grazie al Signore di esecitarmi nelle sante virtù13.

Elisabetta è una donna forte, concreta e dinamica; è grande nella sua umiltà, forte nella sofferenza, sublime nell’amore, amante di un Dio misericordioso, e soprattutto è una donna libera: libera di amare il suo amorosissimo Signore e il suo prossimo vicino e lontano; libera di soffrire per le anime purganti, per il Papa, per la Chiesa, per i malati; libera di donarsi per la salvezza del prossimo e per i suoi familiari: antepongo la salvezza di queste tre anime al mio profitto spirituale, essendo di maggior gloria di Dio; il cooperare alla salvezza di queste tre anime non mi impedisce la perfezione. La sua fede incrollabile le fa superare ogni traversia. Le ristrettezze economiche non le impediscono di essere generosa con quanti bussano alla sua porta e nessuno va via a mani vuote.

Dice Lucina: si privava anche di ciò che le era necessario per il proprio vitto e vestito per soccorrere le altrui indigenze. Andava negli ospedali a servire gli infermi, facendo loro quei servigi soliti come sorella, consolando quelle povere inferme ed animandole alla sofferenza con un modo pieno di carità e di dolcezza, appagava i desideri loro senza curare strapazzo di sorta alcuna.

Nel terzo libro Lucina ci illustra i doni soprannaturali che Dio ha compartito alla Beata: le estasi e le innumerevoli grazie miracolose di cui hanno beneficiato quanti si sono rivolti a lei.

Una signora le raccontò l’afflizione di una sua amica, Elisabetta rispose: «Ditele che stia di buon animo che la creatura nascerà viva e non tema di niente». Le mandò una devozione dicendole che avesse fede e il tutto riuscì felicemente.

Ed infine ci configura la sua morte preziosa, da lei prevista. Con molto tatto e sensibilità la Beata prepara le figlie all’evento; impartisce le dovute raccomandazioni, incoraggia le persone presenti, sistema tutto perché nessuno abbia qualche incomodo per causa sua, poi indossa l’abito di Terziaria Trinitaria ed assorta nel suo Dio aspetta l’ora decretata. Verso l’una e mezza di notte, serena e tranquilla per aver sistemato tutte le cose terrene, alza le pupille al cielo che brillano come due stelle e, in punta di piedi come è vissuta, rende lo spirito fra le braccia del suo amorosissimo Gesù sacramentato. È il 5 febbraio del 1825.

 




11 Gli Istromenti di cui sopra si trovano nel Museo di San Carlo alle Quattro Fontane di Roma.



12 Nota n. 22.



13 (Cfr. La mia vitaop. cit., p. 725).






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