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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

IntraText CT - Lettura del testo

  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO PRIMO
        • 2 - Ingresso di Elisabetta nel monastero delle Agostiniane alla Beata Rita in Cascia
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2 - Ingresso di Elisabetta nel monastero delle Agostiniane alla Beata Rita in Cascia

 

Crescendo sempre più i travagli al buon Tommaso e per conseguenza a tutta la famiglia, avendo sofferto perdite di bestiami e di molto grano per parte dei malevoli, il povero padre di Elisabetta, vedendosi derelitto e avvilito, ma sempre rassegnato, andava replicando le parole di Giobbe: Signore, Voi mi avete dato i beni, Voi me li avete tolti, Siate Benedetto!

In questo stato di tanta umiliazione si rivolse ad un suo parente per avere qualche aiuto, ma il medesimo lo trattò da sciocco e da uomo di poco senno come se egli avesse dissipato il vasto patrimonio di centomila scudi, e ricusò di aiutarlo.

Dopo qualche tempo gli esibì di mantenere nel monastero di Cascia le due ultime figlie; questa proposta fu come un colpo di spada per i buoni genitori, per dover allontanare le figlie che tanto amavano, ma per non disgustarlo accettarono di fare questo sagrificio e così combinarono.

Il buon genitore con la figlia maggiore, le accompagnò al monastero; quanto sentì la privazione e il distacco la buona genitrice nel vederle partire, è impossibile descriverlo! ma unitamente si rassegnarono alle divine disposizioni.

Fece dunque Elisabetta con la sorella minore Benedetta, il suo ingresso nel monastero della Beata Rita in Cascia26.

Così dice ella di sé nei suoi scritti: All’età di undici anni, fui condotta in monastero; vi dimorai due anni e otto mesi. Fu un tratto della misericordia di Dio, che in questo sagro chiostro mi condusse, per liberarmi dalle vanità del mondo, che già serpeggiavano nel mio seno. Entrata in questo sagro luogo, mi dedicai tutta al Signore, con orazioni continue, con mortificazioni, con esercizi di virtù e particolarmente con il raccoglimento interno, e questo lo procuravo con la solitudine e con la mortificazione dei sentimenti del corpo; ero favorita da Dio bene spesso, tanto nella Santa Comunione, quanto nelle orazioni.

A dodici anni una mattina, dopo la Santa Comunione, ebbi ordine dal mio Signore di fare il voto di castità. Con molta consolazione, mi consagrai al Signore, senza che il confessore ne sapesse niente, mentre la povera anima mia non aveva altro direttore che Gesù Crocifisso; con lui mi consigliavo circa le penitenze che praticavo, come ancora in tutto il resto.

Non mi mancarono, in questo tempo, travagli; in particolar modo dovetti soffrire una calunnia dal confessore, che il demonio stesso ne fu l’autore, ma con somma tranquillità del mio cuore, anzi si aumentava viepiù il raccoglimento interiore. In mezzo alle persecuzioni andava crescendo il mio spirito nel Signore.

Stando dunque ella in mezzo a tali travagli con una disinvoltura sopra l’età e con ammirazione di quelle religiose maestre, le si aggiungeva un’altra sofferenza per parte della sorella minore, la quale aveva sortito un temperamento pauroso. Benché tanto l’amava, le era non poco molesta perché non poteva fare un solo passo per il monastero se non vi era dappresso la sorella e per Elisabetta era un esercizio continuo di pazienza. Questa, benché fanciulla di otto in nove anni, attendeva anch’essa alla vita devota e le monache le fecero fare subito la prima Comunione. In seguito, si andò procurando per mezzo di qualche straordinario che pareva fosse adatto per il suo spirito, un qualche carteggio essendo molto dedita allo scrivere; si prevalse del mezzo di una conversa, facendo comparire la suddetta nelle soprascritte.

In queste lettere non trattava che di spirito e di vocazione; andò tanto oltre questo carteggio che si procurò l’ingresso per monaca nel monastero della Beata Chiara di Montefalco. Ma siccome questo suo operare era da fanciulla, non avendo compìti dodici anni e chi riceveva le sue lettere l’avrà creduta di una maggiore età e avrà supposto che subito potesse entrare in prova, la sollecitava.

Benedetta voleva trovare un mezzo per adempiere i suoi disegni e prese un espediente irriflessivo da bambina come era. Vedeva la sorella Elisabetta tutta devota, concentrata e pronta ad abbracciare la vita religiosa in quel monastero. Le monache erano contentissime di riceverla fra loro e aspettavano che entrasse in quindici anni per trattare di ammetterla in prova se con il prolungare del tempo questo sarebbe accaduto.

Vedeva dunque la sorella Benedetta in questo modo attraversati i suoi disegni di fare il trapasso a Montefalco, perché non voleva dividersi dalla sorella, ma seco lei condurla e tutte due farsi monache in questo monastero. Di tutto questo maneggio di Benedetta, Elisabetta niente sapeva e stava tranquillissima; ma la fanciulla Benedetta che ruminava il modo di sollecitare questo trapasso, si risolvette di scrivere al padre in segreto, sempre con l’idea che con questo mezzo si potevano fare monache tutte e due a Montefalco.

Così scrisse: Caro signor padre, se volete rivedere vostra figlia Elisabetta viva, è necessario che la leviate da questo monastero, se non volete che perda la vita, mentre l’aria così sottile l’ha ridotta nell’estrema consunzione; se vi preme fate presto.

 I buoni genitori nel leggere una lettera così imponente di una figlia di così tenera età, credettero di morire di pena; non si potevano persuadere che fosse la minore figlia che scrivesse con tanto senno, ma più presto avesse scritto una monaca per amorevolezza, vedendo che l’aria pregiudicava alla loro Elisabetta.

Appena intesa la lettera, il buon genitore si mise in viaggio con la figlia maggiore e si portò al monastero di Cascia. La povera Elisabetta che tutto ignorava, nel vedere il padre restò sorpresa, tanto più che intimò di ricondurle alla propria casa. Non si può dire l’afflizione che recasse questa risoluzione così improvvisa ad Elisabetta, vedendosi allontanare la speranza di entrare in prova in quel monastero. Il Padre nel vederla dimagrita e pallida, le disse che seco voleva condurla all’aria nativa, benché le monache gli si opponessero e le preghiere che gli fece Elisabetta di non voler sortire da quel sagro recinto nel quale Iddio la chiamava; ma queste preghiere non furono attese dal suddetto.

La minore sorella Benedetta che era stata la causa di tutto questo travaglio, pregò il padre di farle passare al monastero di Montefalco; essendo quell’aria più mite non avrebbe recato danno alla salute di Elisabetta, ma per quanto perorasse presso il padre per ottenere il suo intento, non fu possibile rimuoverlo. Disse ad ambedue: Adesso andiamo a Roma e poi si tratterà di altro monastero. Con questo mezzo si ricondussero alla casa paterna.

Quale fosse il dolore e il dispiacere di Elisabetta nel lasciare la sua cara ed amata solitudine, mentre godeva tante delizie spirituali, e il distacco da quelle sante religiose, a Dio solo è noto! le religiose ne provarono un dispiacere grandissimo, mentre speravano che in breve sarebbe stata loro monaca.

 

 




26 Vi rimase dal 1785 al 1788. (Cfr. Pagani Antonio, op. cit., p. 7).

 






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