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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

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  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO PRIMO
        • 3 - Elisabetta viene ricondotta dal proprio genitore alla sua casa
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3 - Elisabetta viene ricondotta dal proprio genitore alla sua casa

 

Messo che ebbe il piede Elisabetta nella casa paterna è impossibile dire la consolazione che ne provò la genitrice, ma quello che intorbidò la gioia fu il vederla così consunta e scolorita, che principiò a dire: Queste monache mi hanno cambiato la figlia mia, e non è la mia Elisabetta, andava così fra sé discorrendo. Per farne la prova, la sera le comandò che andasse in una camera a prendere un non so che in un tiratore, pensando che se fosse stata un’altra ragazza non ci avrebbe indovinato; ma ella puntualmente eseguì il comando e così restò persuasa che era la sua vera figlia e non era cambiata.

Attese la madre a farla ristabilire, ma il più che le giovò fu l’aria nativa e il divario, togliendole quelle applicazioni di continue orazioni e mortificazioni che praticava nel monastero, venendole impedite dall’andamento di famiglia, e così si ristabilì benissimo in salute.

Lo spirito a poco a poco venne rattiepidito, terminò il fervore e non pensò più alla vocazione. Si dette un poco al bel tempo, ma non in cose scandalose, né in grandi conversazioni, perché in famiglia non c’era questo costume di stare immersi nel gran mondo, essendo persone morigerate e cristiane. Siccome il Signore voleva Elisabetta per sé, benché fosse alquanto divagata dalle sciocchezze vane, le mandava molto da soffrire per parte della sorella maggiore, la quale voleva dominare e tenere ben sottomesse le due sorelle minori; oltre a questo, il vedere i fratelli che volevano grandeggiare e abusavano della troppa bontà di ambedue i genitori e fra le tante disgrazie accadute in famiglia, si trovavano prive di quei comodi in cui erano nate. Ma essendo Elisabetta giovanetta fornita di bellezza e grazia, aveva dei pretendenti ed ella aderiva di collocarsi in matrimonio con alcuno di loro dimentica affatto del voto e della vocazione che Iddio le aveva dato.

I pensieri del mondo l’occupavano troppo, rinunziò a qualche partito, con il suo spirito vivace e alto, non parendole che questo avesse molte facoltà per grandeggiare a suo modo e in questa guisa, ne rifiutò più di uno. Benché in famiglia doveva fare sagrifici e privazioni, trovandosi ristretti nel vitto e nel vestito secondo il loro grado per le cause già dette, per simili circostanze vedendosi così neglette e avvilite per togliersi da tanti dispiaceri, diceva la povera Elisabetta: Sarei contenta di entrare in un monastero anche a servire per non trovarmi in casa con i fratelli, che non pensano che a loro, e non vedere i genitori tribolati da tanti travagli, incapaci di ritirare le redini rubate.

La sorella minore Benedetta, sentendo Elisabetta risoluta di fare qualche passo, fra loro fecero qualche risoluzione, ma il Signore che già le aveva destinate, una per lo stato del matrimonio, e l’altra per monaca, permise che un prelato che aveva relazione in famiglia e amicizia nel monastero di San Filippo Neri, incaricato dalle monache che le avesse provvedute di qualche brava giovane, facesse la proposta alle due giovanette, se volevano monacarsi. Benedetta pronta si esibì di accettare la richiesta e di entrare volentieri per monaca nel suddetto monastero, come eseguì, benché non aveva che sedici anni non compìti. Si vestì e professò con tanto spirito e virtù nell’accennato Istituto, da ognuno conosciuto nei nostri tempi. Si è diportata con uno zelo mirabile; le fu imposto il nome da monaca: Maria Serafina dello Spirito Santo, lasciando il nome del secolo di Benedetta Canori. Professò il 24 giugno 1795; visse con molta osservanza e fervore, esercitandosi negli uffici che le vennero assegnati dall’obbedienza.


 




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