Le consolazioni di spirito non possono essere
disgiunte dall’amarissimo calice di persecuzioni e di travagli, massime nel più
sensibile animo nobile, quando viene intaccato nella propria estimazione e
caricato di contumelie ed obbrobri. Così avvenne alla buona Elisabetta che
menava una vita irreprensibile, umile in tutto, docile ed obbediente, senza mai
lamentarsi nei ministeri più vili di gallinara e di cantiniera. Questo
consisteva di provvedere ogni sera per la cucina il carbone, la legna e le
fascine che ogni giorno si doveva adoprare. Il tragitto era lungo e scomodo,
doveva pensare di dar da mangiare alle galline due e tre volte al giorno; per
lo più scopava lei stessa il gallinaro e gli altri pianterreni. Contenta di
questa occupazione, a niente si ricusava. I lavori che le venivano assegnati
erano difficili e sopraffini e alle volte i più grossolani, secondo le voglie
delle cognate. Non si sa come le si moltiplicasse il tempo per riunire orazioni
così prolungate, i lavori tassativi, oltre il doversi impiegare nel custodire
le figlie, il consorte e il tenere in sesto il vestiario e la biancheria per i
suddetti, acciò niente mancasse. In tutte queste occupazioni era indefessa e
puntuale, ma il tutto veniva biasimato e disapprovato con parole mordaci e
rimproveri, direttamente oppure indirettamente acciò potesse sentirli con le
proprie orecchie. Di queste maniere così improprie e impertinenti, non si
querelava36 né si mostrava turbata, ma invece si esibiva a servire
tutti, non eccettuando le donne di servizio, sempre pronta, con una
mansuetudine inalterabile a prestarsi ai loro cenni. In tavola poi, vi erano i
bocconi più amari, così, per modo di discorso, l’andavano rimproverando ché per
sua cagione seguivano tanti sconcerti37 e spunti negli interessi e per
sua colpa il consorte aveva tanto deviato e simili espressioni.
Le due figlie che sedevano in tavola una per parte
alla madre, restavano comprese ed afflitte nel sentire tanti rimproveri che si
facevano alla loro madre, conoscendo il torto che le facevano. Quel poco cibo
era ben amareggiato, ma tacevano benché di così tenera età, avendole bene
ammaestrate di tacere sempre, non convenendo alle ragazze di mettere mai bocca
in qualunque discorso. Insegnò di non riportare i discorsi intesi da qualunque
persona,
perché in quella famiglia vi erano occasioni di
sentire maldicenze, essendo molti in numero e di vari sentimenti. In questo la
ubbidirono puntualmente, perché è ben vero che nelle circostanze dei travagli
si accelera l’uso della ragione. Questo fu il mezzo che si diportarono in modo
da non dare mai motivo di dispiacere alla madre, conoscendo bene che il
riferire discorsi intesi sono causa di confusioni e litigi, oltre alle
sofferenze che dirle è niente, ma provare tanti travagli non è così facile da
sopportare col viso lieto e con animo sereno.
A tutto
questo si aggiunse la disapprovazione e l’invettiva che le fece una persona
ecclesiastica autorevole e stimata, dicendole che molto meglio sarebbe per lei
e per la Gloria di Dio, se lasciasse alle religiose tanta ritiratezza e se
avesse pensato a compiacere i parenti, mentre questi altro non facevano che
mormorare e avesse pensato di fare la vita da secolare e non da religiosa, che
al Signore non piaceva la sua condotta e pensato avesse di piacere al consorte
ché il Signore richiedeva questo da lei.
Ognuno può conoscere in quale angustia e
perplessità si trovò la buona Elisabetta non già perché se ne offese, ma perché
restò dubbiosa del suo intrapreso tenore di vita, essendo il soggetto che le
parlava saggio e prudente.
Il demonio che la perseguitava in più guise, per
deviarla si servì di questo degno ecclesiastico, mentre non gli riuscì mai di
rimuoverla dal servire di cuore il Signore, ottenne almeno di agitarla. Tutto
questo accadde nell’anno 1805. Mi piace qui riferire le sue parole, nel ricorso
che fa a Gesù Cristo e come la conforta il Signore nell’intrapresa carriera.
Ricorrevo
di frequente alle orazioni, con lagrime e sospiri sfogavo le mie pene con il
mio caro Gesù. Gli dicevo: «Gesù mio, come va questa cosa? Voi mi fate conoscere che il regolarmi in
questo modo è di vostro piacimento, e questo vostro ministro biasima la mia
condotta. Gesù mio, vi chiedo per carità, fatemi sapere quello che devo fare
per piacervi».
Piangendo
e sospirando passavo le ore intere cercando di sapere la volontà di Dio; quando
nel profondo silenzio della notte, dopo molte lagrime, lo spirito fu
sopraffatto da interna quiete. Dolce voce così mi parlò: «Figlia, perché ti lamenti? Sappi
che sei a me consagrata».
A
queste parole, qual mi restassi non so spiegarlo.
Mio
Dio, e come sono consagrata a voi? - prese a dire la povera anima mia -
Ah, Gesù mio, io non vi intendo, cosa volete dirmi? Io consagrata a voi? E
come, se non sono più libera di me? Ah Gesù mio, quanto mi pento di non essermi
a voi consagrata. Piangendo dirottamente, non capivo il giusto senso delle sue
amorose parole, che volevano ricordarmi il voto fatto. Per ben tre volte si
degnò di parlarmi così, per tre notti consecutive. La terza notte mi ricordai
il voto fatto; a questa ricordanza qual mi restassi non posso spiegarlo,
credetti veramente di morire, passai tutta la notte in amare lagrime, cagionate
dal grande dolore che mi recava il
ricordarmi la mia infedeltà. Venivano questi sentimenti dolorosi accompagnati
da una certa speranza nell’infinita
bontà di Dio, che sarebbe per perdonarmi il mio gravissimo fallo.
La
mattina di volo vado al mio confessore, piena di affanno e di pena gli racconto
il fatto surriferito con tante lagrime e con tanto dolore che corsi il pericolo
di morire ai suoi piedi. Questo ministro del Signore mi fece
coraggio, e mi fece considerare il giusto senso delle amorose parole: «Figlia» - mi disse il mio confessore - «coraggio, queste non sono parole
di rimprovero, ma sono parole per voi
molto consolanti. Iddio non vi rimprovera con queste parole, ma vi dà la
consolante nuova che a lui appartenete, e insieme vi ricorda di non essere
stata a lui fedele quasi scusando la vostra dimenticanza. Per nuova
consolazione vi dice che siete a lui consagrata. Figlia, datevi pace, e
ringraziate il vostro amoroso Signore dell’alto favore che vi fa. Riflettete al
tempo che vi parlò, quando voi eravate in angustia per il timore di non piacere
a lui. Queste parole vi rendono certa del piacere che ha della vostra condotta.
Con queste parole vi volle consolare. Figlia, apprendete il giusto senso,
mentre io vi spiego le sue parole». Figlia - vi disse - perché così ti lamenti? Sappi che sei a me consacrata!
»E dove volete trovare parole più dolci, più
consolanti di queste? Rallegratevi, che ne avete giusto motivo. Ciò nonostante
dalla Penitenzieria vi farò avere la dispensa del voto. Io farò il memoriale a
vostro nome, e voi vi contenterete di fare la penitenza che vi darà».
Di
qual consolazione, di molto conforto mi furono le parole di questo buon padre
gesuita38, mio confessore.
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