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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

IntraText CT - Lettura del testo

  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO PRIMO
        • 9 - Altri patimenti di Elisabetta
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9 - Altri patimenti di Elisabetta

 

Sempre più crescevano i patimenti ad Elisabetta, tanto riguardo al consorte, quanto per le stravaganze delle cognate, in particolare della minore. A questa, dunque, le saltò in capo che le due figlie di Elisabetta non andassero più a scuola, adducendo che era troppo strapazzo per le due ragazze; fece il progetto ai suoi genitori, nonni di queste. Piacque il progetto, tanto più che ella si esibì di insegnare i lavori e tenerle con sé tutto il tempo che dovevano stare alla scuola; la madre le facesse leggere e scrivere! Elisabetta chinò il capo a questa decisione senza lagnarsi, ma fu un nuovo martirio dovendo far stare le figlie quasi tutto il giorno a casa. Ciò le serviva di molta angustia per motivo che questa cognata era portata per le vanità e frequentava conversazioni, teatri e tutti i divertimenti. La medesima procurava con la lettura delle vite dei Santi, meditazioni, orazioni e documenti santi di insegnare che tutto il bene consiste nel servire Iddio e disprezzare il mondo per assicurare la salute eterna.

Conosceva che l’edificio che voleva edificare nell’animo delle figlie veniva in parte rovinato dal sentire discorsi favolosi e romanzi che leggeva e dalle visite che riceveva. Le signore facevano discorsi di moda e cose di mondo; le figlie dovevano anche sentire con le proprie orecchie le disapprovazioni che facevano continuamente della vita che menava la loro madre e la cattiva sorte del loro fratello di avere una moglie alla quale piaceva fare la bizzoca39 per le chiese, e questo era il disordine per cui si era attaccato ad altra donna.

Le figlie tacevano come le aveva istruite la madre, che mai mettessero bocca nei discorsi, molto più se riguardavano la sua persona in critiche e maldicenze. Elisabetta esigeva dalle sue figlie che mai riportassero una parola a lei di quello che avessero veduto o udito dalle cognate, e nemmeno ciò che con la madre facevano e dicevano, alle zie, quando vi ritornavano; e neppure alla nonna che le voleva qualche ora al giorno nelle proprie camere, dopo il lavoro per farle divertire. Siccome la suocera molto l’amava, per darle sollievo le dava tutti i suoi vestiari antichi; ma non c’era pericolo che vi fosse inquietezza con queste alternative, tanto riuscì alla prudente Elisabetta di fare che per parte delle sue figlie non si alterasse la pace. Seppe bene instillare il vivere in società, che è soffrire e tacere, come peraltro si avvedeva benché le figlie non le ridicessero qualche strapazzo che ricevevano a torto, quando non apprendevano subito i lavori. La madre conosceva ma taceva offrendo al Signore un tanto patire. Lo disse poi alle figlie, quando erano grandi, che in quelle circostanze in cui si era trovata, credeva le si dividesse il cuore di pena, perché si avvedeva che molte percosse erano a torto date, sempre di più alla minore. E’ vero che era più cattiva e aveva poca voglia di lavorare, ma siccome questa zia si accorgeva che era tanto portata per la madre, che appena dicevano qualche cosa di disapprovazione senza parlare si ingrugniva. La zia si alterava tanto che le faceva versare molto sangue dal naso, per le botte e le spinte. La buona madre in queste circostanze, senza far capire alle figlie la sua pena, le faceva ringraziare Iddio per tanti benefici, mettendole in considerazione i patimenti altrui acciò non si gravassero tanto dei loro, dicendo: Vedete, a tante povere figlie manca il pane a voi altre non vi manca niente, e con queste considerazioni procurava di addolcire gli animi delle figlie, facendo per sé tanti atti di rassegnazione e con molta generosità vinceva se stessa. Distingueva bene che il motivo principale nasceva dalla poca cura del consorte con lei e con le figlie, non attendendo che a versare denari fuori di casa. In casa non pensava che a mangiare e dormire, senza cercare come passasse in famiglia la sua consorte e le figlie. Aveva data la licenza alla consorte di vestire come voleva, ed ella per solito, adoprava abiti neri di seta o di lana. Aveva data la facoltà alla madre che desse la licenza alla nuora, sua consorte, di mandarla in Chiesa e dove credeva. Essendo la suocera molto buona e di carità, non solo dava la licenza alla nuora di andare in Chiesa, mattina e giorno, ma la mandava a fare atti di carità a qualche famiglia vergognosa o qualche inferma, dandole denari, vestiari e altre robe che in segreto riuniva con Elisabetta, e la faceva andare da chi credeva avesse bisogno di aiuto. Elisabetta eseguiva molto volentieri queste piccole incombenze, non solo per obbedire alla suocera, ma perché in queste si prestava per carità e ci ricavava ancora di esercitare altre virtù, perché alle volte portava dei fagotti e doveva vincere la ripugnanza. Altre volte qualche pila di brodo e qualche tegame con pietanza delicata per gli infermi; a queste cose sentiva qualche ripugnanza, ma la superava per amor di Dio. In questi continui esercizi si andava sempre più disponendo alle grazie e ai favori che giornalmente il Signore le compartiva, che qui tralascio per non deviare il filo della vita, ma verranno descritti nel fine di questa narrativa della vita che alla meglio accenno.


 




39 Che ostenta una grande religiosità dedicandosi alle pratiche minute ed esteriori del proprio culto.






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