Benché tanto si occupasse Elisabetta nelle
orazioni, in famiglia e in altre aziende di carità, non trascurò per queste il
dovere di una diligente madre nell’educare le sue due figlie cristianamente e
civilmente, riunendo tutte quelle cure necessarie perché fossero istruite,
regolando i loro andamenti con quella proprietà conveniente.
Dovendo convivere in una famiglia numerosa, faceva
quelle persuasive adatte alla loro età; si dette molta premura di farle
ricevere i sagramenti e, siccome la figlia maggiore Marianna stava per compìre
nove anni, pregò i suoceri che la facessero cresimare, come fu fatto in casa di
Monsignor Devoti cognato della sorella del consorte.
Sollecitò questa Cresima perché desiderava farle
fare la prima Comunione, come fece. Si applicò non solo ad istruirle ma a far
conoscere e desiderare di ricevere la Santa Comunione, di maniera che la
maggiore di appena nove anni in dieci, essendo ben istruita e capace, fu
ammessa per la prima Comunione al V. Monastero del Santissimo Bambin
Gesù48 nella primavera dell’anno 1808.
Intanto si dava il carico per la minore
desiderando che tutte fossero di Gesù Cristo che tanto amava e l’anno appresso
il 2 ottobre del 1809, mandò la figlia minore all’istesso monastero per
ricevere la Santa Comunione per la prima volta, benché a questo suo impegno per
fare che le figlie ricevessero la Santa Comunione, di così tenera età, non
mancarono biasimi, rimproveri e non poche critiche.
Ella soffriva tutto con somma prudenza e
disinvoltura; se la passava in silenzio godendo di poter dal canto suo unire
queste due anime a Gesù Cristo. Era tale la sua premura che quando le sue
figlie andarono al suddetto monastero, vi andava quasi ogni giorno per sentire
come si portavano, benché fu una per volta, tanto più che al suddetto monastero
del Santissimo Bambino vi aveva una cugina carnale monaca. Si combinò che era
prima maestra delle comunicande e un giorno ottenne per favore, senza esempio,
di farle vedere la figlia per un momento, avendo fin da piccola una qualche
propensione di carattere, benché aveva una uguaglianza per tutte e due, tanto
più che era amore più spirituale che umano, perché ne aveva fatto uno spoglio
che le amava puramente per Iddio.
Procurò dopo la prima Comunione di farle fissare
dal suo confessore per condurle lei stessa ogni otto giorni e anche più spesso
secondo la festività, ma non le forzò, dicendo: Provate a venire dal mio
confessore e se non siete contente vi lascio in libertà di scegliere il
confessore che volete.
Siccome il Padre Ferdinando, benché era di aspetto
serio, aveva molta grazia di guidare la gioventù, restarono contentissime.
Proseguirono ad andare dal suddetto Padre per molti anni. Le fece ascrivere per
le indulgenze e per la protezione alla Madonna Santissima del Carmine, al Santo
Rosario e alla Santissima Trinità. Per assuefarle ancora alle orazioni
quotidiane, studiava di farle attuare alla presenza di Dio, per fuggire dal
peccato e le guidava ad esercitarsi nelle orazioni giaculatorie il giorno,
anche durante il lavoro. Raccomandava la mortificazione dei sentimenti, ma in
modo particolare degli occhi, voleva almeno che facessero sette di questi atti
al giorno; permetteva i piccoli sollievi adatti all’età; dette espressa
proibizione di leggere i libri della libreria del nonno, nella quale vi erano
molti libri di medicina ed altri di tutte le specie; raccomandava in modo
particolare che non aprissero i libri che leggeva la zia, soffrendo molto che
la suddetta raccontava dei pezzi di romanzo e favole alle sue figlie. In questo
in realtà obbedirono alla loro madre di buona voglia, avendone tutto il comodo
e la libertà se avessero voluto, perché la libreria era in una camera isolata e
poco ci andavano per scansarle da molti pericoli. Durante il carnevale le
principiò a condurre seco come se fossero più grandi di età, facendo che in
quei giorni facessero qualche Comunione più del solito per levarle dal corso
dove abitavano. Le conduceva il dopo pranzo prima a visitare il Santissimo
Sacramento esposto e dopo faceva imbandire una merenda in casa di due buone e
povere zitelle, alle quali somministrava molta carità con la suocera, perché
ella non faceva niente senza la licenza. Dopo la merenda andavano sopra una
loggia annessa alla piccola casa di poche soffitte di queste povere donne che
abitavano sopra la piazza della Minerva e, intanto che le figlie si ricreavano
al sicuro, lei se ne stava in qualche Chiesa. Quando era ora tornava a
prenderle e le riconduceva a casa. Siccome conosceva il sagrificio che
facevano, variava il luogo, alle volte le portava in qualche giardino, qualche
altra volta dalla sua madre pregandola di farle divertire. Quella buona nonna
per compiacere la figlia dava tutto il largo acciò si sollevassero. La buona
Elisabetta trovava sempre la maniera di consegnare le figlie in luoghi sicuri
per avere il comodo di andare in qualche Chiesa con quiete, similmente faceva
dopo un poco benché fosse in casa della madre e senza tanti complimenti se ne
andava in Chiesa, poi vi ritornava per riprendersi le figlie, contenta
unicamente di averle tolte dall’occasione del corso fonte di molti peccati,
tanto più che in casa vi era un forte ricevimento e vi andavano molte persone
per vedere la corsa, avendoci molte finestre e la lendieva. Oltre tutto questo non permise mai che le sue figlie
fossero condotte dalle zie a teatro né a fuochetti,
mai alla giostra, tutti divertimenti che le zie si prendevano e dispiaceva loro
non potervi condurre le nipoti.
Una volta speravano di far vedere una prova che si
faceva di giorno al teatro Liberti; dissero alle nipoti: Andate a domandare la licenza a mamma che oggi sortirete con noi, ma
non le dite dove vi portiamo.
Aveva già data la licenza alle figlie di sortire come era solito, ché tante
volte le zie le conducevano a fare qualche trottata o passeggiata, ma quel
giorno dopo essersi vestite, quando andarono per la benedizione, la madre
disse: Non vi posso permettere di sortire, alle ragazze non conviene vedere
prove teatrali, rispogliatevi!.
A tali parole le due figlie si stupirono perché
era una cosa tanto segreta e la licenza non era domandata che per una trottata.
Volevano persuadere la madre perché le zie si sarebbero inquietate. Elisabetta
rispose con tutta disinvoltura: Dite che
mamma per oggi non vuole che
sortiamo, abbiano pazienza. Alle figlie in realtà fu un grande sagrificio
spogliarsi, ci fu qualche lagrima, ma essendo di poca età la madre trovava il
modo di compensarle dell’obbedienza, per abituarle a non essere amanti dei
divertimenti mondani, ma solo di cose semplici e sollievi senza occasione di
peccato.
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