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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

IntraText CT - Lettura del testo

  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO PRIMO
        • 12 - Diligente premura di Elisabetta di educare cristianamente le sue figlie
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12 - Diligente premura di Elisabetta di educare cristianamente le sue figlie

 

Benché tanto si occupasse Elisabetta nelle orazioni, in famiglia e in altre aziende di carità, non trascurò per queste il dovere di una diligente madre nell’educare le sue due figlie cristianamente e civilmente, riunendo tutte quelle cure necessarie perché fossero istruite, regolando i loro andamenti con quella proprietà conveniente.

Dovendo convivere in una famiglia numerosa, faceva quelle persuasive adatte alla loro età; si dette molta premura di farle ricevere i sagramenti e, siccome la figlia maggiore Marianna stava per compìre nove anni, pregò i suoceri che la facessero cresimare, come fu fatto in casa di Monsignor Devoti cognato della sorella del consorte.

Sollecitò questa Cresima perché desiderava farle fare la prima Comunione, come fece. Si applicò non solo ad istruirle ma a far conoscere e desiderare di ricevere la Santa Comunione, di maniera che la maggiore di appena nove anni in dieci, essendo ben istruita e capace, fu ammessa per la prima Comunione al V. Monastero del Santissimo Bambin Gesù48 nella primavera dell’anno 1808.

Intanto si dava il carico per la minore desiderando che tutte fossero di Gesù Cristo che tanto amava e l’anno appresso il 2 ottobre del 1809, mandò la figlia minore all’istesso monastero per ricevere la Santa Comunione per la prima volta, benché a questo suo impegno per fare che le figlie ricevessero la Santa Comunione, di così tenera età, non mancarono biasimi, rimproveri e non poche critiche.

Ella soffriva tutto con somma prudenza e disinvoltura; se la passava in silenzio godendo di poter dal canto suo unire queste due anime a Gesù Cristo. Era tale la sua premura che quando le sue figlie andarono al suddetto monastero, vi andava quasi ogni giorno per sentire come si portavano, benché fu una per volta, tanto più che al suddetto monastero del Santissimo Bambino vi aveva una cugina carnale monaca. Si combinò che era prima maestra delle comunicande e un giorno ottenne per favore, senza esempio, di farle vedere la figlia per un momento, avendo fin da piccola una qualche propensione di carattere, benché aveva una uguaglianza per tutte e due, tanto più che era amore più spirituale che umano, perché ne aveva fatto uno spoglio che le amava puramente per Iddio.

Procurò dopo la prima Comunione di farle fissare dal suo confessore per condurle lei stessa ogni otto giorni e anche più spesso secondo la festività, ma non le forzò, dicendo: Provate a venire dal mio confessore e se non siete contente vi lascio in libertà di scegliere il confessore che volete.

Siccome il Padre Ferdinando, benché era di aspetto serio, aveva molta grazia di guidare la gioventù, restarono contentissime. Proseguirono ad andare dal suddetto Padre per molti anni. Le fece ascrivere per le indulgenze e per la protezione alla Madonna Santissima del Carmine, al Santo Rosario e alla Santissima Trinità. Per assuefarle ancora alle orazioni quotidiane, studiava di farle attuare alla presenza di Dio, per fuggire dal peccato e le guidava ad esercitarsi nelle orazioni giaculatorie il giorno, anche durante il lavoro. Raccomandava la mortificazione dei sentimenti, ma in modo particolare degli occhi, voleva almeno che facessero sette di questi atti al giorno; permetteva i piccoli sollievi adatti all’età; dette espressa proibizione di leggere i libri della libreria del nonno, nella quale vi erano molti libri di medicina ed altri di tutte le specie; raccomandava in modo particolare che non aprissero i libri che leggeva la zia, soffrendo molto che la suddetta raccontava dei pezzi di romanzo e favole alle sue figlie. In questo in realtà obbedirono alla loro madre di buona voglia, avendone tutto il comodo e la libertà se avessero voluto, perché la libreria era in una camera isolata e poco ci andavano per scansarle da molti pericoli. Durante il carnevale le principiò a condurre seco come se fossero più grandi di età, facendo che in quei giorni facessero qualche Comunione più del solito per levarle dal corso dove abitavano. Le conduceva il dopo pranzo prima a visitare il Santissimo Sacramento esposto e dopo faceva imbandire una merenda in casa di due buone e povere zitelle, alle quali somministrava molta carità con la suocera, perché ella non faceva niente senza la licenza. Dopo la merenda andavano sopra una loggia annessa alla piccola casa di poche soffitte di queste povere donne che abitavano sopra la piazza della Minerva e, intanto che le figlie si ricreavano al sicuro, lei se ne stava in qualche Chiesa. Quando era ora tornava a prenderle e le riconduceva a casa. Siccome conosceva il sagrificio che facevano, variava il luogo, alle volte le portava in qualche giardino, qualche altra volta dalla sua madre pregandola di farle divertire. Quella buona nonna per compiacere la figlia dava tutto il largo acciò si sollevassero. La buona Elisabetta trovava sempre la maniera di consegnare le figlie in luoghi sicuri per avere il comodo di andare in qualche Chiesa con quiete, similmente faceva dopo un poco benché fosse in casa della madre e senza tanti complimenti se ne andava in Chiesa, poi vi ritornava per riprendersi le figlie, contenta unicamente di averle tolte dall’occasione del corso fonte di molti peccati, tanto più che in casa vi era un forte ricevimento e vi andavano molte persone per vedere la corsa, avendoci molte finestre e la lendieva. Oltre tutto questo non permise mai che le sue figlie fossero condotte dalle zie a teatro né a fuochetti, mai alla giostra, tutti divertimenti che le zie si prendevano e dispiaceva loro non potervi condurre le nipoti.

Una volta speravano di far vedere una prova che si faceva di giorno al teatro Liberti; dissero alle nipoti: Andate a domandare la licenza a mamma che oggi sortirete con noi, ma non le dite dove vi portiamo. Aveva già data la licenza alle figlie di sortire come era solito, ché tante volte le zie le conducevano a fare qualche trottata o passeggiata, ma quel giorno dopo essersi vestite, quando andarono per la benedizione, la madre disse: Non vi posso permettere di sortire, alle ragazze non conviene vedere prove teatrali, rispogliatevi!.

A tali parole le due figlie si stupirono perché era una cosa tanto segreta e la licenza non era domandata che per una trottata. Volevano persuadere la madre perché le zie si sarebbero inquietate. Elisabetta rispose con tutta disinvoltura: Dite che mamma per oggi non vuole che sortiamo, abbiano pazienza. Alle figlie in realtà fu un grande sagrificio spogliarsi, ci fu qualche lagrima, ma essendo di poca età la madre trovava il modo di compensarle dell’obbedienza, per abituarle a non essere amanti dei divertimenti mondani, ma solo di cose semplici e sollievi senza occasione di peccato.


 




48 Dalle Oblate Agostiniane, in Via Urbana 1-2. (Cfr. La mia vitaop. cit., p. 118).






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