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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

IntraText CT - Lettura del testo

  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO PRIMO
        • 13 - Nuovo genere di patire di Elisabetta - Pazienza nel sottomettersi agli altrui voleri, benché indiscreti
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13 - Nuovo genere di patire di Elisabetta - Pazienza nel sottomettersi agli altrui voleri, benché indiscreti

 

Benché il Signore favorisse tanto la sua serva Elisabetta per renderla forte nei travagli che voleva inviarle, oltre quelli già detti, si suscitò un’altra burrasca, direi dal demonio, contro la medesima, per vedere di abbattere la sua costanza, col procurare di trovare mezzi per infastidirla nelle sue frequenti contemplazioni.

Una mattina nel tempo che faceva vestire le figlie e le faceva recitare le consuete orazioni, le si presenta la cognata di minore età, che aveva il maneggio dei denari tutta alterata con due paia di scarpe delle figlie in mano, che le aveva fatte riaccomodare, la spesa, se non erro, non superava venti o al più trenta baiocchi. Gliele tirò con disprezzo sopra il letto dicendo: Questi sono gli ultimi denari che si spendono per voialtre, d’ora innanzi lavorate e con il ritratto di questi vi vestirete voi e le figlie, vi basti di avere il vitto, ché non siamo obbligate di mantenervi, e altrettante parole ingiuriose che non ricordo e si partì.

Le figlie si conturbarono49 e si misero a piangere, ma la rassegnata Elisabetta non si alterò punto; si pose a consolare le figlie, le animò dicendo che si poteva lavorare benissimo per vestirsi e che era giusto non dare tanto aggravio alla casa e che ci voleva pazienza, facendo riflettere a quante povere ragazze manca il pane. Rendeva queste ragioni per animarle a soffrire e a tacere, perché questa stessa cognata si era fatto un abito di molto lusso e fra lo scialle e l’abito aveva speso più di cento scudi e se ne faceva un pregio come fosse una spesa molto ben fatta.

Elisabetta non dava peso a queste bagattelle ma temeva che le figlie facessero qualche lagnanza e rimproveri alla zia, per questo si affaticava di renderle persuase perché c’era chi pativa più di loro e poi infine se spendeva per sé era la padrona, portandole in questo modo molte ragioni per tenerle contente e persuase, prendendo per sé tutto l’amaro.

Benché si mostrava così indifferente, non lasciò la sua umanità di sentire che le repressioni che faceva erano tutta virtù, essendo di un animo sensibile e di tempra focosa.

Nella stessa giornata andò dalla cognata tutta sottomessa, la ringraziò come se avesse ricevuto dei complimenti e le disse che si sarebbe procurato del lavoro, ma siccome ella aveva del giro, intanto gliene procurasse qualche poco, come fece.

Di tutto questo, niente seppero i suoceri, perché certamente l’avrebbero impedito; principiò subito Elisabetta i suoi lavori, qualche poco ne faceva fare alle figlie, ma questo non portava un profitto da formarci un guadagno. Senza omettere le sue orazioni, le sue faccende domestiche che erano molte e gravose, le visite agli ospedali e agli infermi, dove la mandava la suocera, con tutto questo arrivò a cucire tre o quattro camicie di uomo al giorno. La tela di queste non era tanto fina, ma in ogni modo, chi si intende di lavori bisogna che dica: è un vero prodigio; non ci arriva una donna seppure se si mettesse a lavorare dalla mattina alla sera.

Elisabetta continuò questo travaglio fino alla morte del suocero, ché si divisero dalla famiglia come si dirà a suo luogo e questo accadde in principio dell’anno 1809.

Il consorte dopo la licenza dei genitori tornò dall’amica con il pretesto di reintegrarle l’onore, ma non si avvidero in seguito che lo scandalo e il discapito degli interessi, era peggio di prima. Al buon vecchio del padre per non disgustarlo gli davano ad intendere che si era emendato50 e pensava alla famiglia; la madre era cieca e incapace di conoscere il danno e il pregiudizio di tutta la famiglia, per il grande amore che portava al figlio. Le sembrava un’amicizia tanto innocente da non farne caso, essendo una donna tanto buona e semplice credeva incapaci tutti di fare del male e così si andava innanzi. Alla povera Elisabetta toccava scontarla, si mostrava imperturbabile a tante diverse opposizioni, vedeva il consorte che per pura apparenza faceva qualche smorfia di sole labbra alle figlie e loro si avvedevano della simulata affezione. Ma la madre inculcava il rispetto che gli dovevano e l’amore di figlie e come erano obbligate ad osservare il precetto comandato da Iddio. Procurava di adattarle a soffrire e diceva per animarle: Conosco che non avete un poco di libertà, ma pregate il Signore, chissà? Un poco più avanti avrete il giardino, gli uccelli e da divertirvi, poi farete quello che piacerà a tutte e due, senza tanta soggezione che vi impedisce un poco di sollievo. Le figlie le dicevano: E quando sarà mamma?, rispondeva, C’è qualche altro anno da soffrire, ma con pazienza e rassegnazione. Veramente nell’umano pareva impossibile che si verificasse, ma in seguito così fu, come si dirà in appresso, ma prima ci furono altre prove e travagli.

Tornando all’insensibilità del consorte, se tanto era con le figlie, cosa poteva essere con la consorte! La buona Elisabetta si mostrava tutta premura e amore facendogli i servigi e le attenzioni che doveva, come fosse stato il più amoroso consorte.

Con dolcezza e affabilità lo trattava perché gli servisse da stimolo per richiamarlo ai propri doveri. Egli peraltro stimava molto la consorte e diceva con tutti che era una donna impareggiabile per le sue rare virtù, ma la passione lo rendeva cieco e passava in casa per mangiare, dormire e vestire e non curava il resto; non cercava come si vestissero la consorte e le figlie o se mancava loro qualche cosa. Non domandava niente, gli bastava avere per sé l’occorrente e non altro; del ritratto dalla professione che esercitava, non metteva in casa un baiocco nemmeno per suo uso almeno di vestiario, oltre che in seguito formò tanti debiti come adesso descriverò.


 




49 Turbarono.



50 Rimesso sulla buona via.






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