Nell’agosto del 1813 il suocero di Elisabetta fu
sorpreso da grave infermità; non si può esprimere il dispiacere comune,
trattandosi di un capo di casa che governava tante persone. Il dolore della
consorte era senza termine e misura, tanto più che conosceva che sarebbe stato
di maggior pregiudizio per il figlio, la nuora e le nipoti, tanto più si
affliggeva. Ma siccome nutriva una grande fiducia nelle orazioni di Elisabetta,
si raccomandò che pregasse e facesse pregare il Signore acciò gli accordasse
più lunga vita per il vantaggio della famiglia. Il Signore le fece intendere
che a causa di quella infermità lo voleva richiamare a sé, essendo quello il
meglio per l’anima sua. Benché non mancarono di far celebrare Messe, vari
tridui e continue orazioni in famiglia, il decreto era fatto, per quanti rimedi
e consulti gli fecero, niente gli giovò; conosceva da sé che il male era
irrimediabile. Volle essere munito dei sacramenti che ricevette con un
sentimento di fervore e di pietà straordinaria e, dando a tutti la paterna
benedizione, con una tranquillità d’animo e rassegnazione alle divine
disposizioni, placidamente se ne volò agli eterni riposi il giorno 25 agosto
dedicato a San Bartolomeo apostolo e andò a ricevere il premio di una vita
veramente cristiana e santa.
Era stato un uomo di una carità straordinaria,
avendola esercitata non solo nella sua professione, - curava i poveri senza
pagamento - ma somministrava anche il denaro occorrente per le medicine e per
il sostentamento degli infermi. Con tanto garbo metteva la cartina sotto il
cuscino dell’infermo acciò gli altri non si avvedessero di quello che faceva.
Oltre a questo, manteneva mensilmente varie famiglie povere e ne faceva tenere
particolare nota alle figlie, quando dette il maneggio acciò fossero puntuali
nel pagare.
Subito spirato, gli fecero celebrare Messe e fare
dei suffragi ma, più di tutti, il carico di liberarlo dal purgatorio lo prese
Elisabetta. Non mi ricordo cosa particolare sopra di questo, ma so bene che la
forza della sua preghiera gli abbreviò di molto il purgatorio.
Ognuno può immaginare che disappunto portò nella
famiglia una tale perdita di un simile capo di casa. La buona consorte era
fuori di sé; le figlie erano trapassate, le due sorelle della suocera molto
afflitte, tutta la famiglia era in lutto, in pianto e in pena per tante
variazioni che sarebbero accadute. Il figlio era bene trapassato e afflitto
perché oltre la perdita del padre, distingueva che le sorelle non erano
d’accordo per mantenere lui con la consorte e le figlie e se la passava in
silenzio e in stato di sottomissione. Continuarono qualche tempo a seguitare ad
andare a pranzare come prima: il figlio, Elisabetta e le figlie; ma passati
molti giorni di lutto e di pianto, le sorelle di Cristoforo vollero formare una
divisione e togliersi ogni pensiero. Chiamarono Elisabetta e le dissero: Il vostro consorte, nostro fratello, ha
sciupato il vasto patrimonio e ci ha depauperato51, sicché egli non entra in porzione con noi;
vi restituiremo la vostra dote perché la possiate disporre per voi e le vostre
figlie; al nostro fratello non intendiamo dare niente, avendo sprecato tanti
soldi, si mantenga con la sua professione e mantenga la famiglia; faccia da
capo di casa e metta giudizio.
A questa parlata un poco dura ma ragionevole,
Elisabetta chinò il capo e disse: Vedrò
di trovare una casa di poca pigione e mi ritirerò con le figlie; parlerò al
consorte circa le loro disposizioni e si adatterà al sistema, ché io procurerò
di adattarmi con le figlie; se vorrà venire alla mia abitazione, faremo al
meglio che si potrà.
Fece Elisabetta la sua parte con il consorte che
si alterò un poco, parendogli come un torto che riceveva dalle sorelle; ma siccome
aveva sortito dalla natura un buon carattere e se non avesse avuto quella
sirena che lo deviava, sarebbe stato un uomo impareggiabile; poco dopo si calmò
e disse: Fate voi quello che credete;
trovate la casa dove vi pare e io verrò dove volete; procurerò di aiutare
quanto posso ma, sapete che guadagno poco, avendo clienti spiantati. Era un
pretesto combinato con le cognate e il consorte. Elisabetta si mise in giro per
trovare una casa sfitta verso il quartiere Monti; ne fece parola ad un
galantuomo che aveva conosciuto fin dal 1809 in casa di una povera inferma,
dove ambedue andavano per fare qualche carità. Con quest’occasione fece la
conoscenza del signor Giovanni Cherubini, ancor vivente, il quale si è prestato
tanto, come a suo luogo si dirà.
In quel principio era amicizia di convenienza ma
in questa ed altre occasioni l’aiutò moltissimo; domandò il favore al suddetto,
che abitava alla strada dei Serviti vicino a San Nicola in Arcione, e infatti
trovò una piccola casa adatta alla fine della strada Rasella52.
Il sulodato andò a parlare al padrone della casa e
fece fare la locazione a nome di Elisabetta per scansare ogni pericolo di
qualche creditore del consorte che si fosse fatto avanti, essendosi ritirati
quando videro che stava in subaffitto con scarsissimo mobilio, sprovveduti di
tutto. Fece dunque Elisabetta il trasporto alla nuova casa del mobilio e di
tutto quello che le fu assegnato dalle cognate in porzione come conto di dote
e, in questa divisione le dettero parte della libreria acciò la vendesse per
riunire la somma della dote. Di denari ne ebbe molto pochi, meno ancora di
biancheria, poche posate in argento e uno o due orologi.
Elisabetta si contentò di tutto quello che le
dettero. Il mese preciso non lo ricordo, mi pare alla fine dell’anno 1813 che
Elisabetta, il consorte e le figlie si portarono ad abitare nella nuova casa.
Combinato che ebbe il tutto, si dovettero licenziare dalla famiglia, Elisabetta
ringraziò la suocera, le cognate e le zie sorelle della suocera per la lunga pazienza
esercitata con lei e le figlie. Ma non si può spiegare il disgusto per il
distacco che provò la buona suocera che vedeva così allontanarsi il figlio, la
nuora e le nipoti. In assenza delle figlie se ne espresse che più volentieri
sarebbe andata con la nuora che restare con le figlie anche se avesse dovuto
partire, ma questo non lo poté eseguire per molti riguardi e così si
distaccarono e si divisero.
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