In questa situazione di tranquillità non mancarono
alla buona Elisabetta molte sollecitudini perché in famiglia ci fosse il
sostentamento necessario e tutto l’occorrente. Procurava con le sue prudenti
maniere che il consorte somministrasse il bisognevole per poter presentare al
Signore che soddisfaceva all’obbligo proprio, ma non era sufficiente. Il motivo
si è già detto che non metteva tutto in casa, ma in ogni modo, un poco con il
lavoro, il più con la preghiera, si può dire che miracolosamente mantenne la
famiglia senza farle mancare il necessario di vitto e vestito. Ma le figlie
ingrate cominciarono a desiderare il superfluo e volevano allocarsi e liberarsi
della madre che sempre era assorta in Dio e stava quasi sempre in orazioni. I
parenti facevano sempre atti di compassione, con tutte queste persuasive,
dicendo: Come fate, povere ragazze, a
stare sempre con una madre bizzoca, procuratevi un qualche collocamento che
bene vi può riuscire, direi
ancora attizzati dal demonio. Le due ragazze erano molto spiritose e di età
tenera, non avendo la maggiore che 16 anni e la minore 14 nemmeno compìti; non
saprei nemmeno descrivere come fecero amicizia con due militari graduati
nell’impiego di capitani. Le due ragazze prendevano le ore che nessuno passava
e ci discorrevano dalla finestra e dalla loggia; la strada in quei tempi era
tanto isolata come un cortile e, con il mezzo di biglietti, in pochi giorni
avevano stabilito di fuggire e fare il matrimonio di nascosto. Il padre si era
avveduto che le figlie erano un poco divagate e ne avvisò Elisabetta. Procurò
la buona madre di stare in guardia, faceva ancora delle esortazioni che se il
Signore le voleva allocate al secolo, non sarebbero mancati i mezzi, ma
intanto, essendo di poca età, pregassero il Signore acciò potessero conoscere
la Sua santissima volontà. Nonostante, procurò di stare in osservazione e
quando Elisabetta andava in Chiesa le conduceva seco o le chiudeva nella loro
camera. Non dava più libertà di avere la casa in mano come faceva prima che
chiudeva la sola porta di casa, acciò le figlie non potessero aprire né
ricevere alcuno se non c’era in casa la madre. Ma con tutte queste raddoppiate
cautele, riuscirono ad accordare la fuga in una notte, se non sbaglio, nel
gennaio 1815.
Idearono di scavalcare il muro della finestra
della loro camera che corrispondeva sopra la loggia e poi dalla porta del
giardino, così avevano proposto la fuga, e bene sarebbe riuscita essendo militari
esperti nel fare in modo che alcuno si avvedesse dell’attentato.
Ma il pietoso Signore non permise che queste due
incaute restassero preda di tanta malvagità e in un attentato così enorme. Il
Signore scoprì in spirito ad Elisabetta il concordato delle figlie e con questa
intelligenza tutta la notte stette sempre in guardia e cacciò quegli sparvieri
che erano andati a rapire le sue colombe. Con modo mirabile li fece desistere
dal disegno di entrare nel suo giardino e disviò in un momento questa trattativa.
La mattina non mancò la buona Elisabetta di fare una forte correzione alle
figlie, ma con una mansuetudine inalterabile e con grande sentimento di dolore
ché tanto avevano offeso Iddio, facendo conoscere che si erano esposte di
rovinarsi in questo mondo per tutta la vita, con un simile disdoro54
della loro reputazione e il gran pericolo di perdere l’anima se si fossero
trovate in mezzo al secolo con un simile capriccio. Cosa potevano aspettarsi
che il Signore, irritato da un simile attentato, non le abbandonasse per
sempre? Che vi fa mancare per Sua sola
misericordia, di che vi potete gravare? Volete dunque andare dietro le passioni mondane? E simili
sentimenti accompagnati da una fortezza d’animo per scuoterle da quella cattiva
maniera di procedere.
Le fece riconvenire55 anche dal padre
perché le servisse di remora56 a non ricadere. Fu tanto grande il
dolore che provò Elisabetta per il disgusto recato al Signore dalle figlie che
fu sorpresa l’istesso giorno da un deliquio57 mortale. Le figlie si
sbigottirono e il consorte che era in casa si mise in gran pena. Chiamò il
medico e le fece levare subito il sangue e così a poco a poco rinvenne e si
sollevò alquanto.
Con questa occasione il padre corresse
maggiormente con fortezza le figlie e le obbligò a domandare perdono alla
madre, promettendole di non ricadere mai più in simili ragazzate e a non darle
mai più tali disgusti, facendole riflettere quanto le dovevano per tante cure,
premure e stenti e che una simile madre non si trovava al mondo ed egli era
indegno di esserle consorte.
Le figlie si trovarono smarrite ma convinte e
persuase anche di un simile parlare del padre. Il giorno, dopo che Elisabetta
poté alzarsi, se non sbaglio andò in Chiesa come al solito per fare la Santa
Comunione. Tornata a casa, le figlie le si fecero avanti tutte mortificate e si
misero in ginocchio per domandarle perdono. La buona Elisabetta disse che lo
domandassero di cuore al Signore ché lo avevano disgustato tanto e che queste
erano le sue pene, non per se stessa, meritando qualunque disgusto. Le fece
animo e promettere al Signore di non ricadere più e di non dare ascolto alle
tentazioni. La maggiore rispose: Sì, è
vero, ci siamo esposte ad un gran male, ma io desidero allocarmi58; lei
mamma mia, vorrebbe che ci facessimo monache, io non
me
la sento. Elisabetta
senza punto alterarsi, rispose: Figlia,
levatevi queste idee, io non desidero altro che quello che vuole Iddio, ma
aspettate che vi mandi un soggetto adatto al vostro stato per vivere in grazia
di Dio, e questo non ci può essere con i capricci. Così procurò di
persuaderla e toglierle l’idea concepita che la madre voleva che si facessero
monache, mentre la buona Elisabetta non desiderava altro che si eseguisse in
tutto il divino beneplacito. Sembra doversi tacere questa seconda parte, ma
dovendo il tutto narrare con quella ingenuità che mi sono obbligata fin dal
principio, proseguo.
La figlia minore, siccome amava teneramente la
madre, era trapassata di averle recato tanto disgusto e nel domandarle perdono
le fece la promessa che a qualunque costo mai più si sarebbe lasciata
sopraffare da simili trattati capricciosi e se il Signore l’aveva destinata di
accasarsi voleva che venisse dalle mani materne e non ricercato da sé. Fece questa
protesta con tutta l’intenzione dell’animo che poté, con l’aiuto di Dio,
riuscire vittoriosa da molte occasioni che le si presentarono nel decorso del
tempo.
Elisabetta tacque riguardo alla protesta diversa
delle figlie, ma proseguì a farle rientrare nei propri doveri e a riconciliarsi
con Dio con il mezzo di una buona confessione. Dimostrò il torto che avevano di
eseguire le tracce del figliol prodigo, mentre nella loro casa niente mancava,
giacché godevano la libertà di distribuirsi la giornata innocentemente e, se
non potevano fare e disfare, non mancava il necessario. Benché il padre metteva
poco in casa, fece conoscere come la misericordia di Dio suppliva: Vedete, senza domandare niente, senza vendere né impegnare mai alcuno oggetto, in
casa non manca niente. Chi è che
mette nel cuore delle persone i
nostri bisogni, se non Iddio? Mentre
lo vedete che io mai esterno le proprie indigenze e di più alle volte non vi
accorgete che tanti generi crescono e quello che basterebbe appena per pochi
giorni, questi si aumentano anche per dare qualche elemosina; dunque
ringraziate Iddio, così provvido verso di voi benché così ingrate, e vi
prometto, se sarete buone e vi porterete bene con Dio che di qui a qualche
tempo vi troverete in stato di sfarzo
in un modo mirabile, e lo vedrete. Così si pacificarono e si sottomisero al
volere materno praticando le devozioni e le cure domestiche come facevano
prima. Così la povera Elisabetta sopporta le molestie interne ed esterne,
essendo sempre come Maddalena riguardo allo spirito e Marta nelle cure
domestiche in tutte le occorrenze, sempre pronta a disimpegnare il suo dovere
tanto con il consorte, quanto con le figlie e tutti i parenti che volevano
dominare impunemente, disapprovando il suo procedere senza peraltro mai soccorrerla.
Le visite continue della suocera erano le uniche
che non le davano molestia, non poteva darle sollievo perché non poteva, ma
nemmeno aggravio come gli altri che non facevano altro nelle loro visite che
farsi beffe e criticare il suo tenore di vita. Il tutto venne sofferto da
Elisabetta con magnanima generosità e pazienza. In queste dure circostanze
aveva l’unico sollievo di quel buon amico del signor Giovanni Cherubini che, di
cuore come un fratello, si prestava unitamente alla sua consorte, santa donna
di costumi angelici. Il medesimo le sistemò vari interessi, le fece vendere la
libreria del suocero che le era toccata in porzione e disbrigò molti affari con
un’amorevolezza e carità inarrivabile, continuando questa carità instancabile,
fin dopo la morte di Elisabetta, accettando il carico di esecutore
testamentario fintanto che non avesse collocate le figlie, come puntualmente
eseguì con una cordiale premura come un padre, volendo con tutta esattezza
soddisfare alla richiesta di Elisabetta che tanto stimava, come in effetti
soddisfece soprabbondantemente e amorevolmente.
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