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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

IntraText CT - Lettura del testo

  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO PRIMO
        • 18 - Elisabetta in spirito libera il consorte ché non sia ucciso da un rivale - Diligente assistenza in un’infermità del medesimo che ottiene una sollecita guarigione
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18 - Elisabetta in spirito libera il consorte ché non sia ucciso da un rivale - Diligente assistenza in un’infermità del medesimo che ottiene una sollecita guarigione

 

Era da tempo che Elisabetta pregava il consorte di ritirarsi da una riunione di persone, le quali non attendevano che a fare progetti stravolti59, trattandosi in questi sinedri di opinioni e critiche. Desiderava la suddetta che il consorte si allontanasse e abbandonasse quest’assemblea, ma il medesimo rispondeva ad Elisabetta che non c’era niente di male ed era un passatempo lecito e, siccome a lei piaceva stare in Chiesa e sempre in orazione, voleva che tutti facessero così e che erano bizzocherie sue, per cui non le dava retta. Ma siccome il Signore le aveva rivelato quanto era oltraggiato in questo sinedrio, le manifestò di gente scostumata che se il consorte non si fosse ritirato, l’avrebbe punito con la morte. Chi può ridire, a questa intimazione di Dio, la sollecitudine di Elisabetta di pregare e ripregare il consorte! fece interporre le figlie con preghiere, per farlo desistere da questa riunione. Desse questa consolazione! Gli dissero ancora: Se non lo vuol fare per mamma, almeno lo faccia per amor nostro di disbrigarsi da questi sfaccendati, giacché né a lei né a noi c’è di alcun utile, ma, tutto indarno se ne rideva. Non passarono molti giorni che il misero Cristoforo, consorte di Elisabetta, si trovò assalito da uno di quelli del circolo, non so per qual causa, ma l’appostò in una strada solitaria o in un portone. Ma il fatto sta che niuno poteva toglierlo dalle mani nemiche in cui si trovava; il poverino si trovò sotto il colpo, non so di quale arma. Il colpo era quasi vibrato e non aveva a chi rivolgersi. Il Signore avvisò Elisabetta del pericolo in cui si trovava il consorte, in pena per la disobbedienza di non essersi ritirato dalla compagnia di quel complotto e che in pena gli avrebbe tolta la vita come gli aveva minacciato; ma avendo riguardo di non disgustare chi tanto pregava per la salute eterna di quest’anima: Va - le disse - Figlia mia, va’ e libera con il tuo spirito il consorte che sta per ricevere il colpo mortale, come fece.

Le circostanze minute non le so, ma so bene che, fuori di sé dalla consolazione, disse alle figlie: Venite a ringraziare Iddio ché vostro padre è stato in pericolo di restare ucciso e la Sua misericordia l’ha salvato.

Tornato che fu in casa, la consorte gli fece coraggio, era tutto sbigottito e quasi derelitto60 e cosa dicessero fra loro non lo so; promise e mantenne di non tornare mai più in quella adunanza. Ma il Signore lo visitò con il mezzo di una malattia violenta, forse la cagione sarà stata la contaminazione di un tanto pericolo: fu sorpreso da febbre infiammatoria con un male complicato che sembrava malattia mortale. Chi può ridire le premure, le cure, l’assistenza di giorno e di notte che gli prestava Elisabetta acciò non gli mancassero professori, medicine, né il sostentamento adatto, più che le fosse stato figlio e non consorte poco affezionato! Il giorno veniva ad assisterlo anche la madre e vedeva come si diportava61 la buona nuora con il figlio nell’assisterlo e la medesima restava molto contenta e grata.

Ma le premure di Elisabetta erano che si confessasse; ma come dirglielo, non avendo confessore fisso? I parenti non volevano farlo mettere in angustia col dirgli che la malattia era pericolosa, ecco lo stratagemma che prese Elisabetta. Confidò questo suo desiderio di far confessare il consorte al già mentovato signor Giovanni Cherubini, ed egli propose il suo confessore, il signor Di Pietro Leonardi, uomo apostolico. Combinarono in modo casuale; la sera il suddetto signor Giovanni, venendo a far visita come era solito, condusse seco il già mentovato signor Di Pietro in sembianza di visita. Furono introdotti ambedue e principiarono prima a trattare della malattia, poi il signor Di Pietro, siccome era intelligente di infermi, pian piano lo dispose a confessarsi, come fece. In seguito, ogni giorno vi andò a fargli visita, finché non fu guarito e procurò di averlo per penitente anche dopo.

Elisabetta contenta, per quanto poteva, di avergli procurato un mezzo per riconciliarlo con Dio, e con il mezzo della preghiera, il Signore in pochi giorni gli restituì la perfetta salute da tutti reputata per prodigiosa e in venti giorni circa poté sortire di casa e rimettersi in giro nei suoi affari. Alla povera Elisabetta sarebbe piaciuto che il consorte avesse cambiato vita e lasciato i suoi inviluppi in cui si trovava, e procurava alla lontana di dargli dei consigli opportuni. Con la scorta del signor Di Pietro voleva ricondurlo ma non le riuscì, perché Elisabetta era destinata a patire e portò questa pesantissima croce fino alla morte. Dopo non solo si disbrigò da tutto, ma si fece ancora religioso da Messa e fu anche confessore. Desiderava Elisabetta che il suo consorte, dopo la guarigione, soddisfacesse in tutto al suo obbligo di mettere in casa il lucro della sua professione, ma invece dava alla famiglia una minima porzione che non era sufficiente, e così alla suddetta conveniva avere sempre il pensiero come fosse sola a governare le figlie. Queste si risentivano e si stizzivano con il padre ché per pensare ad altri, faceva mancare tante cose alle proprie figlie e non c’era nemmeno il decoro di famiglia. Elisabetta addolciva queste giuste lagnanze, facendole riflettere su quanto ha patito in questo mondo la Sagra Famiglia e i Santi, e poi: Quante povere famiglie ridotte in miseria più di voialtre, tanto il necessario non vi manca, e soggiungeva: Se sarete buone, di qui a non molto vedrete, cosa farà il Signore per voi due, e le figlie dicevano: Sì e come? Verrà il canestrello dal cielo? «No, ma se avrete fiducia vi parola, in quest’altro anno nuoterete nell’abbondanza e avrete la superfluità; vi arrivo a dire: di qui a un anno sarete contente, io non vi so dire il modo, né come, né quando di preciso, ma vi assicuro che vi troverete nella maggiore consolazione che possano avere due giovane, le quali sentono il peso delle loro circostanze, bene ricompensate saranno le sofferenze, mentre Iddio medesimo vi farà da padre, cosa volete di più? Amate e rispettate il padre perché è precetto, compatitelo e portiamo la croce quanto al Signore piacerà, basta che ci salviamo».

Con queste amabili maniere procurava di tenere tranquille le figlie, prendendo per sé tutto l’amaro e il peso nei travagli.

Si dette la combinazione che il consorte di Elisabetta vinse la causa ad una duchessa e dovette andare a Napoli, per definire la causa, o per prendere possesso dei fondi della suddetta, vinti. Si trattenne mi pare più di due mesi; in questo tempo non mancava Elisabetta di fare conoscere al consorte per lettera, le afflittive circostanze della famiglia, per spronarlo a fare il suo dovere, per vantaggio dell’anima sua e presentare a Iddio che soddisfaceva al suo obbligo di giustizia, per ottenergli l’eterna salute.

Con le lettere che continuamente gli scriveva62 poté avere qualche somma, ma non era sufficiente; le figlie si risentivano e si affliggevano di trovarsi così ristrette.


 




59 Contorti.



60 Abbandonato.



61 Comportava.



62 Per approfondimenti, si rimanda al paragrafo Lettere di Elisabetta Canori Mora e altri scritti.






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