Era da tempo che Elisabetta pregava il consorte di
ritirarsi da una riunione di persone, le quali non attendevano che a fare
progetti stravolti59, trattandosi in questi sinedri di opinioni e
critiche. Desiderava la suddetta che il consorte si allontanasse e abbandonasse
quest’assemblea, ma il medesimo rispondeva ad Elisabetta che non c’era niente
di male ed era un passatempo lecito e, siccome a lei piaceva stare in Chiesa e
sempre in orazione, voleva che tutti facessero così e che erano bizzocherie
sue, per cui non le dava retta. Ma siccome il Signore le aveva rivelato quanto
era oltraggiato in questo sinedrio, le manifestò di gente scostumata che se il
consorte non si fosse ritirato, l’avrebbe punito con la morte. Chi può ridire,
a questa intimazione di Dio, la sollecitudine di Elisabetta di pregare e
ripregare il consorte! fece interporre le figlie con preghiere, per farlo
desistere da questa riunione. Desse questa consolazione! Gli dissero ancora: Se non lo vuol fare per mamma, almeno lo faccia
per amor nostro di disbrigarsi da questi sfaccendati, giacché né a lei né a noi c’è di alcun utile, ma, tutto indarno se
ne rideva. Non passarono molti giorni che il misero Cristoforo, consorte di
Elisabetta, si trovò assalito da uno di quelli del circolo, non so per qual
causa, ma l’appostò in una strada solitaria o in un portone. Ma il fatto sta
che niuno poteva toglierlo dalle mani nemiche in cui si trovava; il poverino si
trovò sotto il colpo, non so di quale arma. Il colpo era quasi vibrato e non aveva
a chi rivolgersi. Il Signore avvisò Elisabetta del pericolo in cui si trovava
il consorte, in pena per la disobbedienza di non essersi ritirato dalla
compagnia di quel complotto e che in pena gli avrebbe tolta la vita come gli
aveva minacciato; ma avendo riguardo di non disgustare chi tanto pregava per la
salute eterna di quest’anima: Va - le
disse - Figlia mia, va’ e libera con il
tuo spirito il consorte che sta per
ricevere il colpo mortale, come fece.
Le circostanze minute non le so, ma so bene che,
fuori di sé dalla consolazione, disse alle figlie: Venite a ringraziare Iddio ché vostro padre è stato in pericolo di
restare ucciso e la Sua misericordia l’ha salvato.
Tornato che fu in casa, la consorte gli fece
coraggio, era tutto sbigottito e quasi derelitto60 e cosa dicessero fra
loro non lo so; promise e mantenne di non tornare mai più in quella adunanza.
Ma il Signore lo visitò con il mezzo di una malattia violenta, forse la cagione
sarà stata la contaminazione di un tanto pericolo: fu sorpreso da febbre
infiammatoria con un male complicato che sembrava malattia mortale. Chi può
ridire le premure, le cure, l’assistenza di giorno e di notte che gli prestava
Elisabetta acciò non gli mancassero professori, medicine, né il sostentamento
adatto, più che le fosse stato figlio e non consorte poco affezionato! Il
giorno veniva ad assisterlo anche la madre e vedeva come si diportava61
la buona nuora con il figlio nell’assisterlo e la medesima restava molto
contenta e grata.
Ma le premure di Elisabetta erano che si
confessasse; ma come dirglielo, non avendo confessore fisso? I parenti non
volevano farlo mettere in angustia col dirgli che la malattia era pericolosa,
ecco lo stratagemma che prese Elisabetta. Confidò questo suo desiderio di far confessare
il consorte al già mentovato signor Giovanni Cherubini, ed egli propose il suo
confessore, il signor Di Pietro Leonardi, uomo apostolico. Combinarono in modo
casuale; la sera il suddetto signor Giovanni, venendo a far visita come era
solito, condusse seco il già mentovato signor Di Pietro in sembianza di visita.
Furono introdotti ambedue e principiarono prima a trattare della malattia, poi
il signor Di Pietro, siccome era intelligente di infermi, pian piano lo dispose
a confessarsi, come fece. In seguito, ogni giorno vi andò a fargli visita,
finché non fu guarito e procurò di averlo per penitente anche dopo.
Elisabetta contenta, per quanto poteva, di avergli
procurato un mezzo per riconciliarlo con Dio, e con il mezzo della preghiera, il
Signore in pochi giorni gli restituì la perfetta salute da tutti reputata per
prodigiosa e in venti giorni circa poté sortire di casa e rimettersi in giro
nei suoi affari. Alla povera Elisabetta sarebbe piaciuto che il consorte avesse
cambiato vita e lasciato i suoi inviluppi in cui si trovava, e procurava alla
lontana di dargli dei consigli opportuni. Con la scorta del signor Di Pietro
voleva ricondurlo ma non le riuscì, perché Elisabetta era destinata a patire e
portò questa pesantissima croce fino alla morte. Dopo non solo si disbrigò da
tutto, ma si fece ancora religioso da Messa e fu anche confessore. Desiderava
Elisabetta che il suo consorte, dopo la guarigione, soddisfacesse in tutto al
suo obbligo di mettere in casa il lucro della sua professione, ma invece dava
alla famiglia una minima porzione che non era sufficiente, e così alla suddetta
conveniva avere sempre il pensiero come fosse sola a governare le figlie.
Queste si risentivano e si stizzivano con il padre ché per pensare ad altri,
faceva mancare tante cose alle proprie figlie e non c’era nemmeno il decoro di
famiglia. Elisabetta addolciva queste giuste lagnanze, facendole riflettere su
quanto ha patito in questo mondo la Sagra Famiglia e i Santi, e poi: Quante povere famiglie ridotte in miseria
più di voialtre, tanto il necessario
non vi manca, e soggiungeva: Se
sarete buone, di qui a non molto
vedrete, cosa farà il Signore per voi due, e le figlie dicevano: Sì e come? Verrà il canestrello dal cielo? «No, ma se avrete fiducia vi dò parola, in quest’altro anno nuoterete
nell’abbondanza e avrete la superfluità; vi arrivo a dire: di qui a un anno
sarete contente, io non vi so dire il modo, né come, né quando di preciso, ma
vi assicuro che vi troverete nella maggiore consolazione che possano avere due
giovane, le quali sentono il peso delle loro circostanze, bene ricompensate
saranno le sofferenze, mentre Iddio medesimo vi farà da padre, cosa volete di
più? Amate e rispettate il padre perché è precetto, compatitelo e portiamo la
croce quanto al Signore piacerà, basta che ci salviamo».
Con queste amabili maniere procurava di tenere
tranquille le figlie, prendendo per sé tutto l’amaro e il peso nei travagli.
Si dette la combinazione che il consorte di
Elisabetta vinse la causa ad una duchessa e dovette andare a Napoli, per
definire la causa, o per prendere possesso dei fondi della suddetta, vinti. Si
trattenne mi pare più di due mesi; in questo tempo non mancava Elisabetta di
fare conoscere al consorte per lettera, le afflittive circostanze della
famiglia, per spronarlo a fare il suo dovere, per vantaggio dell’anima sua e
presentare a Iddio che soddisfaceva al suo obbligo di giustizia, per ottenergli
l’eterna salute.
Con le lettere che continuamente gli
scriveva62 poté avere qualche somma, ma non era sufficiente; le figlie
si risentivano e si affliggevano di trovarsi così ristrette.
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