In questi più di due mesi di assenza del consorte,
un giorno Elisabetta disse alle figlie: Non
vi contristate più perché vedrete come il Signore vi consolerà presto; mi è
parso di vedere in sogno una persona che Iddio ha destinato per farvi da padre,
e gliene descrisse a minuto le fattezze, e ridendo disse: Io non so se quest’uomo esista al mondo, perché non lo conosco, ma nel
mio sogno ho veduto i lineamenti di questo soggetto, che abbia il personale
così, soggiunse, ve l’ho detto più
volte che foste buone, ché il Signore vi avrebbe consolato, come spero, e sarà
fra breve; anzi vi dirò anche questo, il Signore mi ha promesso che egli stesso
verrà a farvi da padre e padrone di casa; la maniera non la so, confidiamo
nella divina provvidenza.
Così la povera Elisabetta animava le figlie e con
la sua fiducia in Dio mai fece mancare il necessario, non solo alle figlie, ma
poté sovvenire tante persone indigenti, direi miracolosamente perché non
chiedeva mai niente ad alcuno, mai raccontava le sue circostanze, non si
sfogava con nessuno del poco giudizio del consorte. Tutte le persone che si
prestavano a sollevarla lo facevano non per altri mezzi che per ispirazione che
ne avevano; e così passò il tempo della dimora in Napoli del consorte. Tornò in
Roma, se non erro, il giorno 7 di luglio 1816, di domenica mattina di buonora
dicendo che era arrivato allora. Elisabetta e le figlie erano contente, avendo
portato circa cento scudi e due tagli di abiti alle figlie. La buona Elisabetta
lo ringraziò e offrì al Signore, a conto di merito, questo atto di dovere. Si
dette subito moto di mandare a chiamare la suocera, perché potesse
riabbracciare il figlio; mandò le figlie alla Messa, essendo festa, e in questo
tempo fece fare la spesa per il pranzo e preparò tutto per la cucina acciò niente
mancasse in una giornata di tanta letizia. Aspettò che arrivasse la suocera e
le figlie tornassero dalla Chiesa, e con tutte queste aziende, si fece ora di
ultima Messa. La figlia minore si prendeva pena, vedendola così affaticata ché
per quel giorno non poteva ascoltare che una Messa, ma la savia Elisabetta, le
disse: Vi serva di regola, si deve essere indifferente anche nelle opere di
pietà, quando si soddisfa l’obbligo proprio e si adatta a quello che permette
il Signore. Data questa risposta istruttiva alla figlia, se ne andò in
Chiesa all’ultima Messa, in San Carlo alle Quattro Fontane, e benché così
tardi, si comunicò al principio della Messa o dopo la consumazione del
sacerdote, non saprei dirlo.
Nell’atto dunque che faceva il suo ringraziamento,
dopo la Santa Comunione ringraziava il suo Signore con abbondanza di cuore e
gli presentava quanto bene aveva soddisfatto al suo dovere il consorte con
averle consegnata quella buona somma, e che gliela ascrivesse a merito. Non
aveva terminata questa protesta in vantaggio del consorte che sente rispondersi
internamente: Non lo credere
che mentisce; sappi che da ieri sera e non questa mattina è tornato e ha
portato la tale somma e altri oggetti
per regali, significandogli tutto con chiarezza come era seguito. Le
soggiunse di più: Egli è un ingrato, ma
io oggi verrò in persona a fare da padre e padrone; di qui in avanti, non solo
avrai il necessario per te e la tua famiglia, ma il soprabbondante. A
queste espressioni pareva alla buona Elisabetta di non sapersi persuadere, ma
il Signore tornò a replicargli il medesimo, con tutta asseverazione63,
e così si assicurò che non era illusione. Dopo il mezzogiorno tornò in casa,
chiamò la figlia minore e le disse: A voi
in segreto dico che oggi arriva il padrone di casa, e tutto l’accaduto, ma il modo non lo so, vedremo
quello che farà il Signore. Dopo questo fece allestire il pranzo,
aspettando peraltro che tornasse in casa il consorte; sarà stata più di un’ora
dopo il mezzogiorno, quando si misero in tavola con molta allegria. Ma
l’allegrezza di Elisabetta aveva cambiato idea, attendendo l’arrivo di altro
padrone di casa. Quando fu la metà del pranzo si sentì suonare il campanello di
casa: Nessuno si muova - disse
Elisabetta - vado io a ricevere il personaggio64, che sarà, e fece cogli occhi cenno
alla figlia e andò ad aprire la porta. Era questi un sacerdote forestiero, non
saprei dire se appena conoscesse Elisabetta, le disse il suddetto che si era
portato in Roma per vari affari e prima di tornare fuori: Sono stato a visitare San Pietro questa mattina; stando dunque in questa Chiesa, procuravo di
applicare al gran santuario in cui mi ritrovavo, quando da forte impulso e voce
sensibile mi sentivo dire che da quella Chiesa partissi e subito portassi alla sua
casa l’immagine di Gesù Nazareno65, miniatura miracolosa, che ho presso
di me, e raccontò ad Elisabetta in confidenza come fu. Volevo far fare prova di obbedienza ad un mio penitente di 18 anni, gli
comandai che mi miniasse un Gesù
Nazareno, una Madonna Santissima Addolorata, che ho donata al Santo Padre Pio
VII e un’altra con il Bambino in Braccio.
La
forza dell’obbedienza l’ha fatto riuscire a tutto, e adesso è un bravo maestro
senza avere mai imparato.
Disse dunque il sacerdote ad Elisabetta: Riceva
questa Santa Immagine, che da sé ha scelto il luogo di Sua dimora dalle mani di
un indegno Suo ministro, e ben volentieri me ne privo per adempìre alla Sua
Santissima volontà, e così si
licenziò questo buon sacerdote. Questa visita andò un poco in lungo e il pranzo
era terminato. Il consorte si era infastidito perché si era trattenuta tanto
tempo, ma Elisabetta scherzando disse: Io
mangio subito, e poi soggiunse, ho
avuto un bel regalo e ve lo farò
vedere, come fece, senza spiegare i sensi. Lo vide il consorte, la suocera
e le figlie. Piacque molto, credevano fosse un regalo da mettersi quasi sopra
una scatola da tabacco, ma Elisabetta sapeva, che era venuto per mettersi in
trono da padrone, come poi seguì. Procurò per allora al meglio di adattargli
come una cornicetta per venerarlo. Gli formò una specie di altarino nella sua
camera, ci mise una lampadina per tenergli il lume e qualche candeliere da
tavolino con le candele e in questo modo lo teneva in venerazione dicendo le
orazioni in famiglia, avanti a questa Santa Immagine, la quale cominciò subito
a fare miracoli. Non so se il secondo giorno che Elisabetta aveva questo Gesù
Nazareno, un’amica venne a pregarla che facesse orazioni per un padre di
famiglia che stava quasi moribondo, spedito66 da professori e la
malattia era irrimediabile. L’infermo era carico di famiglia e molto anziano, e
se periva erano tutti in mezzo alla strada. Elisabetta presa da compassione,
piena di fede disse all’amica: Diciamo
tre credo a questa Santa Immagine,
poi prese certe ciambellette e gliele mise avanti acciò le benedisse, dopo le
mise nel fazzoletto dell’amica, dicendole: Abbiamo
fede che sarà guarito appena avrà mangiato qualche ciambella di queste,
come appunto seguì. Quando andarono i professori, lo trovarono guarito del
tutto. Dissero, sopraffatti dallo stupore, che se un simile miracolo l’avesse
operato qualche Santo, poteva benissimo farsi il processo e gli attestati, ma
avendolo fatto il padrone non c’era che ammirare la Sua clemenza. Quello che
cagionò meraviglia fu il vedere l’infermo non solo guarito, ma rimesso in carne
come non fosse mai stato malato, benché erano più di quaranta giorni che
spasimava ed era già formata la cancrena. In questo modo graziosamente operò
molti e strepitosi miracoli, che per brevità tralascio, ma del culto e della
venerazione in cui fu tenuta la suddetta Santa Immagine e della cappella che fu
eretta, ne tratterò a suo luogo, per ora accennerò solamente il compimento
della predizione e della chiara dimostrazione di essere venuto a fare da padre
e padrone; eccone il modo.
Aveva Elisabetta un’amica religiosa in un
monastero, con la quale erano in scambievole unione di spirito, questa per
motivo di ufficio aveva occasione di vedere molte persone anche secolari, le
quali si raccomandavano sempre che pregasse per loro. La buona e umile
religiosa rispondeva: Lo farò fare da
un’anima buona67, e difatti, con questo mezzo tutti ricevevano le
grazie che domandavano. Fra gli altri, una persona riguardevole andava a questo
monastero anche per affari della comunità e si raccomandava a questa monaca che
facesse orazioni per lui.
La suddetta gli promise che le avrebbe fatte fare;
forse avrà ottenuto delle grazie, non saprei, ma so che questo soggetto domandò
in grazia a questa monaca di poter parlare alla persona cui lei faceva pregare,
sentendone un impulso particolare.
La buona religiosa scrisse ad Elisabetta che un
suo amico aveva necessità di parlarle; se non aveva difficoltà glielo avrebbe
mandato. Elisabetta rispose alla religiosa che lo inviasse pure non avendo
alcun impedimento per poterlo ricevere. Appena ebbe ricevuto il biglietto e
data la risposta, chiamò le figlie e disse: Oggi
viene quel galantuomo che vi dissi mesi addietro,
io non lo conosco. Quando lo vedrete, guardatelo se è come ve lo descrissi dopo
che è arrivato il padrone di casa
Gesù Nazareno; considerate sono pochi giorni, adesso vi costituisce le sue veci in questo soggetto, vedrete con la
forza dell’ispirazione cosa saprà fare il Signore per voialtre, ma corrispondete
alle Sue misericordie. Infatti, la suddetta persona favorì in casa di
Elisabetta. Dopo averla ringraziata di molte grazie che aveva ricevuto per
mezzo delle sue orazioni, le domandò vari consigli per l’anima sua e trattò
anche di molti affari temporali, se e come poteva incamminarli, senza
pregiudicare il suo spirito e ne risultasse gloria a Iddio e vantaggio al
prossimo. Terminata la conferenza volle vedere le figlie, e chiaramente disse: Il Signore mi ha ispirato nell’intimo
dell’animo che io debba farvi da padre, voglio darvi un appunto mensile,
qualunque cosa vi occorre me la direte con tutta libertà, come la chiedereste
al padre. So le vostre vicende essendo famiglia cognita68 e rinomata non si ignora la condotta di
una parte all’altra. Dette poi
l’occhio al piccolo altarino nella camera di Elisabetta e vide l’Immagine di
Gesù Nazareno. Lo visitò con molta devozione e fervore, dopo disse: Faremo una cornicetta migliore, con il
piede», come fece fare, di metallo dorato; e così si licenziò per quel
giorno, domandando il permesso ad Elisabetta di tornare ogni volta che
occorreva, restando fisso nella esibita spontanea mensualità. Partito che egli
fu, le figlie se ne andarono da Elisabetta, fuori di loro per lo stupore,
dissero: Mamma mia che prodigi straordinari sono questi, chi avrebbe mai
creduto a un simile portento, ah! davvero non vogliamo avere altro padre che
Gesù Nazareno, il quale sa e può operare
simili miracoli. Veramente il
soggetto è simile a quello che ci aveva descritto mesi addietro, senza conoscerlo. Con queste speranze ci
andava animando perché fossimo buone, nelle strettezze in cui ci trovavamo,
stando anche fuori nostro padre, più che mai non avevamo dove rivolgerci,
benché è sempre stato per noi il meno del suo lucro. Con queste ed altre
riflessioni ringraziarono di cuore il Signore, di tante grazie e misericordie
compartite senza alcun merito. In questo sistema tranquillo per tali grazie
ricevute terminò l’anno 1816. Ma il Signore preparò ad Elisabetta altri
patimenti che descriverò nel capitolo seguente.
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