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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora Vita della Beata Elisabetta Canori Mora IntraText CT - Lettura del testo |
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20 - Altri travagli di Elisabetta. Indefessa assistenza in una pericolosa infermità di una sua figlia
Nell’entrare l’anno 1817, cadde inferma la figlia maggiore di una malattia complicata, non si può spiegare la cura e la servitù che usò Elisabetta a questa sua figlia, facendola visitare da medici, ed eseguiva quanto questi prescrivevano, prestandosi poi lei di giorno e di notte attorno al suo letto per tenerla contenta. Elisabetta la mattina di buonora andava ad ascoltare una Messa per fare la Santa Comunione, e poi tutto il resto del giorno e tutta la notte si impiegava con la figlia contentandosi di portare il suo piccolo pagliaccetto di crine per terra come già era suo costume di dormire così. Ma questo riposo di Elisabetta non era più lungo di qualche quarto d’ora per volta perché la notte incrudeliva talmente il male, che bisognava ogni momento le recasse qualche sollievo. La buona madre sempre pronta ad ogni cenno, con sante parole confortava la figlia a soffrire per amor di Dio. Questa infermità così fiera continuò per buoni due mesi, poi spiegò in una cronicità e non sapevano distinguere la natura di questo male, né capire gli stessi professori, benché conoscevano che il tutto proveniva da patemi d’animo, e da questa diversità di sentimenti dei medici nei consulti tenuti, riguardo ai medicinali. E di più le critiche si raddoppiavano per Elisabetta tanto per la cura che le faceva fare, perché tutti volevano mettere bocca, quanto perché dicevano, specialmente i parenti, che poteva farla maritare e non si troverebbe una figlia così incronichita. A tutte queste dicerie di altri, la stessa inferma si querelava come la madre l’impedisse di allocarsi. La sofferente Elisabetta non giustificò la sua condotta con alcuno, ma alla figlia rese la ragione per cui a qualche richiesta di matrimonio che le era stata fatta, aveva data la negativa per il suo bene, essendosi informata della condotta di questi pretendenti e avendo inteso che le informazioni non erano per la quale, non ho voluto sacrificarvi. Poi le protestò di non essere contraria a questo stato e la esortò a lasciare un certo trasporto per un tale, col quale si era avveduta aveva qualche comunicazione, pregandola di porsi nelle mani di Dio, che se l’avesse voluta in questo stato, senza procacciarselo glielo avrebbe mandato, ma prima bisognava domandargli che le restituisse la salute. Si mise dunque la malattia di questa figlia in stato di consunzione, spedita e giudicata dai medici non solo etica69, ma con sintomi tanto maligni cagionati da altri malori, e che presto sarebbe perita. I medici si raccomandavano ad Elisabetta che avesse tenuto lontano la sorella e non la facesse più tornare la notte nella stessa camera. Elisabetta dal principio della forte malattia aveva tolto il letto della figlia minore e l’aveva posto nella sua camera, ma quando il male aveva alquanto ceduto, la suddetta inferma cominciò a strepitare che voleva si riportasse il letto della sorella in camera sua. Oh! qual pena per Elisabetta! Non voleva contristare70 la figlia inferma e non voleva esporre la salute della figlia sana. In questo combattimento per non darle motivo di pensare che avesse più deferenza per la minore della quale spesso se ne querelava, procurò di farla disporre dal confessore, il quale di tanto in tanto la visitava. Ma poi uno dei medici della cura, senza tanti riguardi le disse chiaramente: Non solo con vi posso permettere per coscienza che torni vostra sorella a dormire nella vostra camera, ma è necessario che facciate lo spoglio anche dei mobili della vostra camera, perché altrimenti non sono buoni dopo la vostra morte che per le fiamme. A questo annunzio così chiaro si afflisse non poco la povera figlia inferma, ma il Signore le concedette un coraggio straordinario e disse alla madre e alla sorella che spogliassero pure la sua camera che volentieri ne faceva un sagrificio al Signore, e così fu fatto. Intanto Elisabetta provvide un altro piombo per formare una cameruccia per porre il letto della figlia minore, come fece, ma la povera figlia inferma si trovava in qualche avvilimento con la camera spogliata di tutto. Nel visitarla quel galantuomo che faceva le veci di padre, come si è detto di sopra, e veramente si prestava in tutto, anche nella continua inappetenza che soffriva, pensava di farle fare qualche piatto dal suo cuoco e glielo portava egli stesso, e tutte queste caritative amorevolezze; si aggiunse nella circostanza in cui la trovò in questa afflizione spedita da medici, con la camera spogliata, nel fargli coraggio le disse: Non vi affliggete, voglio adornarvi le pareti della camera con un bel parato di carta con il suo festone e zoccolo, domani vi faccio portare le mostre, voi sceglierete il colore e il rabesco come vi piacerà. Mi basta che deponiate la melanconia in cui vi trovo, essendo questa di troppo pregiudizio alla vostra decaduta salute. Difatti, il giorno seguente si portò l’artista con le mostre della carta. L’inferma scelse il colore arabesco e oltre il fregio volle che si formasse in simmetria una specie di colonna, gli ordinò anche lo zoccolo. Il pittore le disse: Signorina vuole che le pari la camera a guisa di oratorio? Rispose la suddetta: Così mi va a genio e dovete farla in questo modo. L’artista le disse: Sarà servita come comanda, domani mi faccia trovare la camera sgombra di tutto che manderò a raschiare il muro e si farà al più presto come desidera. Disbrigata71 la camera dell’inferma per far lavorare gli artisti, Elisabetta pose il letto della suddetta nella sua camera, per modo provvisorio, fintanto che non fosse terminata dal pittore la camera. Fu condotta da una camera all’altra a stento, non potendosi reggere in piedi neppure un istante. Fu subito posta nel suo letto e pareva che non potesse arrivare a vedere terminata la camera, ma non andò così, udite il portento.
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69 Tisica. 70 Rendere triste. 71 Liberata. |
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