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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

IntraText CT - Lettura del testo

  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO PRIMO
        • 21 - Prodigiosa guarigione della figlia di Elisabetta - Modo singolare per cui fu eretta la cappella alla sagra immagine di Gesù Nazareno
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21 - Prodigiosa guarigione della figlia di Elisabetta - Modo singolare per cui fu eretta la cappella alla sagra immagine di Gesù Nazareno

 

Ecco come accadde il prodigio singolare operato dalla Santa Immagine di Gesù Nazareno. Non avevano terminato di scrostare il muro della camera che con sorpresa di tutti l’inferma sentì come rinvigorirsi e si trovò in forze da potersi alzare per vedere il lavoro; volle ogni giorno essere lei la direttrice degli artisti. A farla breve, terminata che fu la camera, si trovò perfettamente guarita. Allora disse: Mamma mia, non è per me la camera ma è per fare la cappella a Gesù Nazareno. Io gliela cedo di cuore giacché mi ha risanata interamente, senza rimedi che avevo lasciato ed ero abbandonata perfino dai medici nella mia cronicità, non essendoci nell’arte più alcun rimedio da tentare. Il padrone mi ha guarita e voglio che si prenda la camera ben adorata, per Sua residenza. Il mio letto lo situeremo accanto a quello di mia sorella, tanto ci cape. Voglio togliere a lei la soggezione e l’impiccio dalla sua camera, non posso attaccare alcun male a mia sorella, essendo sana e perfettamente guarita.

E così fu eseguito quanto aveva determinato questa buona figliola risanata. A questo così inaspettato prodigio tutti resero affettuose grazie a Gesù Nazareno, che operava tanti prodigi. Questa Santa Immagine aveva già molti ornamenti nell’altarino che Elisabetta aveva formato nella Sua camera, ma con questa occasione la suddetta fece fare un altare adatto per celebrarvi la Santa Messa con il baldacchino di sopra, i gradini per i candelieri e in mezzo una gradinata che sosteneva un bel tempietto, in mezzo del quale vi era una colonnetta che serviva da base alla sagra immagine di Gesù Nazareno. Furono tanti i doni gratuiti e spontanei che in breve tempo fu formata una cappella completa di quasi tutti gli arredi sagri, senza domandare niente ad alcuno. Quel soggetto che aveva fatto parare la camera per l’inferma, avendo veduto un tale prodigio approvò molto che quella camera si convertisse in cappella e si portava spesso per vedere cosa mancava per renderla più adorna. Un giorno mandò la Via Crucis di una stampa grande di buon autore, molto espressiva con le sue cornici lustre. Elisabetta per quadro dell’altare esponeva per l’avvento il Santo Presepio e lo lasciava fino alla purificazione di Maria Santissima. Il mese di marzo vi esponeva un quadro di San Giuseppe, il resto dell’anno vi teneva un quadro di Maria Santissima Addolorata. Questa cappella restò ultimata in giugno dell’istesso anno, con molta consolazione di Elisabetta, delle figlie e di tutti i devoti di Gesù Nazareno, cadendo in luglio l’anniversario dell’arrivo della suddetta santa immagine nella casa di Elisabetta. La medesima pensò di fargli una piccola festa nella sua nuova cappella. Pregò un prelato se voleva favorirla con ottenerle dal Santo Padre Pio VII72 se si compiaceva di accordarle per quel giorno cinque Messe. Per grazia il Santo Padre in voce benignamente gliele accordò. Elisabetta con questi cinque sacrifici intese celebrare nel miglior modo la festa e l’anniversario del suo Gesù Nazareno. Con quale devozione e gratitudine assistette a questi santi sacrifici è impossibile spiegarlo, mentre il suo spirito era sempre unito con il suo Signore.

Anche nel giorno 23 ottobre faceva la festa, ma senza far celebrare la Messa fintanto che in seguito, per le indisposizioni di salute della suddetta, ottenne il permesso con i riscritti formali di segreteria del vicariato e con la visita di quei sacerdoti addetti per vedere se il luogo era decente e se il tutto era in buona forma per potervi celebrare la Santa Messa, come a suo luogo si dirà. Non avendo più fatta menzione del consorte di Elisabetta dall’arrivo della sagra immagine di Gesù Nazareno, mi sembra necessario far conoscere che per effetto del suo buon carattere approvava tutto quello che faceva la consorte sia delle disposizioni di famiglia, sia delle devozioni che praticava. Fu molto contento che la figlia volle cedere la camera per erigere la cappella a Gesù Nazareno, in una parola era contento di tutto e ogni cosa gli andava bene. Si prestava per quel poco, come si è detto, perché aveva quel gravame sopra indicato, che doveva servire per croce alla consorte e alle figlie. Ma il Signore nella Sua venuta supplì con darle i mezzi acciò non le mancasse il necessario e così continuarono con quiete e pace fino al principio dell’anno 1819.

Nell’entrare nel gennaio, non saprei precisare il giorno, Elisabetta chiamò la sua figlia minore e le disse: Riflettete alle molte grazie che vi ha compartito il Signore, in modo speciale alla vocazione che vi aveva donato fin da fanciulla, ma da voi discacciata con quell’amore profano aderito in quell’occasione del vostro traviamento. Buon per voi che prometteste a Iddio e a me di non farvi più sedurre da qualunque cimento in cui più volte vi siete trovata. Vedete e considerate, vi siete riuscita con l’aiuto divino e la vocazione che il Signore vi ha ridonato perché vuole che assistiate me, di più vi costituisce mia segretaria. Se fino ad ora mi sono confidata di qualche cosa, adesso, da qui in avanti voi sarete a parte di tutto ciò che Iddio vuole da me. Sappiate dunque che io avrò da sostenere una forte battaglia con la potestà delle tenebre. Non vi sgomentate, dal mondo sarò trattata da pazza e da stolida; non vi prendete alcuna pena, comparirà come una malattia stravagante, ma io vi prevengo come dovete regolarvi, prima di proseguire. Vi confiderò che dalla notte del Santo Natale, dopo aver goduto, per mezzo di particolare unione, i tratti più amorosi dell’infinita carità di Dio, che sotto l’immagine di vago bambinello, unitamente alla Sua santissima Madre e al Suo padre putativo San Giuseppe, mi apparve. A questa vistaammirabile di questi tre personaggi la povera anima mia si riempì di santi affetti. Il rispetto, la stima, la venerazione, l’amore, il timore, l’umiltà mi profondavano nel mio proprio nulla e non ardivo rimirare il bel sole di giustizia che in braccio della santissima Madre, volgeva verso di me i suoi sguardi amorosi, e facendomi coraggio di approssimarmi a lui. Ma la povera anima mia si disfaceva in lagrime di dolore per avere offeso un Dio tanto buono.

Oh quanto mai mi dispiaceva di averlo disgustato! Con quante lagrime detestavo i miei peccati, non so spiegarlo! Ma unito al dolore sentivo un amore tanto grande che mi faceva piangere di gratitudine e di tenerezza, vedendomi tanto amata e tanto beneficata. Mi riconoscevo immeritevole di ogni bene, ma intanto sentivo un grande desiderio di amare il mio caro Gesù, mi offrivo a lui senza intervallo, né riserva alcuna, desiderosa di patire per amor suo qualunque gran male.

Il santo Bambino si compiacque della mia povera offerta e mi degnò dei suoi purissimi abbracciamenti. Oh qual contento! Oh qual dolcezza provò il mio cuore! non è spiegabile. Il mio spirito fu sopraffatto da una soavità tanto grande, che perdetti ogni idea non solo sensibile, ma ancora intellettuale. Dopo aver goduto questo gran bene, il Signore, per mezzo di intelligenza, mi fece intendere e mi mostrò la sua divina giustizia sdegnata contro di noi poveri peccatori, e il tremendo castigo che vuole mandare sopra la terra per i gravi peccati che si commettono. Io credetti di morire dallo spavento e incessantemente mi raccomandavo offrendo i meriti infiniti di Gesù Cristo all’eterno Divin Padre. Mi pareva di ottenere la grazia di dilazionare il tempo per non vedere tante anime piombare all’inferno. Io, benché la più miserabile di tutte le creature che abitano la terra per essere la più indegna peccatrice, ciò nonostante mi offrii di patire ogni travaglio per la Gloria di Dio e per il vantaggio del mio prossimo, sentendo nel mio cuore un’ardente fiamma di carità che tutta mi consumava di santo amore. Mi offrii qual vittima di riconciliazione, unendomi agli infiniti meriti di Gesù Cristo; gradì molto il Signore per Sua bontà e misericordia, la mia intrapresa offerta e mi dette intelligenza di intendere e conoscere ciò che mi sovrastava, che mi fossi preparata a sostenere una forte battaglia con i miei spietati nemici. Mi fece intendere che la sua santa grazia avrebbe prevenuto il mio patire, e lui sarebbe stato sempre con me, e mi avrebbe assistito con la sua infinita potenza, con la sua infinita sapienza, con la sua infinita bontà.

A questa amorosa esibizione la povera anima mia tutta a Iddio si consacrò e piena di gratitudine, adorò i suoi divini decreti e si unì alla sua divina volontà; il mio povero cuore si preparò a patire ogni sorta di pene, per piacere al mio caro Gesù, e protestandomi non solo in quel momento ma ogni giorno di tener preparato il mio cuore a patire quanto a lui piacesse, pregandolo del suo divino aiuto.

Mi dette chiarissima cognizione di quanto avevo da patire per glorificare l’eterno suo divin Padre, e così placare la sua divina inesorabile giustizia che era sdegnata con tutto il mondo. Mi dette ad un tratto a vedere tutti i tormenti che mi erano preparati dal nemico infernale e come per sua permissione dovevo patire tutti quei gravi tormenti, senza alcun conforto.

 A questa vista, sì terribile e dolorosa, si atterrì il mio povero spirito, e, pieno di spavento, restò sopraffatto dal terrore di tanti e sì terribili supplizi. Piena di spavento e di timore, pregavo il mio buon Gesù: «Mio Gesù, sposo mio, unico conforto dell’anima mia, aiutami per carità! vieni in soccorso della tua povera serva, non è possibile che io sostengafiera battaglia, soccorrimi per pietà

Ecco che già mi vedevo circondata da ogni sorta di patimenti, mi vedevo in mezzo ad una voragine di supplizi, di angustie, di desolazioni, di affanni, quando di nuovo mi apparve il mio Gesù, circondato di splendidissima luce, che al momento rischiarò le folte tenebre in cui mi trovavo, e piena di rispetto e riverenza, mi profondai nel mio nulla, e con la fronte per terra, mi umiliai e mi rassegnai nelle sue santissime mani, pronta a soffrire tutto.

Dopo avere narrato Elisabetta queste intelligenze di spirito alla figlia, perché fosse prevenuta del futuro e potesse regolare e disbrigare le dicerie che sarebbero insorte in questa malattia straordinaria, le soggiunse: Non solo per questi giorni che non starò nei propri sensi e avrò questa come specie di malattia, intendo di darvi norma cosa dovete fare, riguardo ai parenti professori e amici, per tutto le dette regolamento e le disse: Non solo per questa volta, ma anche per il futuro, di qui a non molto sopravverrà un’altra infermità di eguale causa, ma le precisò le minime circostanze anche di questa seconda e tutte le dicerie che sarebbero insorte dai parenti.

Diceva queste cose con una disinvoltura e candidezza come non avesse parlato di se stessa: La terza sarà una malattia leggera e a tutti sembrerà di niun pericolo, quella sarà l’ultima della mia vita, spiegandole le più minute circostanze, parlando del futuro, come se già fosse passato, come quando una persona rammenta i travagli che ha passato.

Elisabetta vedendo che la figlia si conturbava e si affliggeva restando sospesa, cominciò ad esclamare: Non sia mai che questi travagli vengano a toglierci la tranquillità in cui ci troviamo, croci non ne mancano, al Signore gli basterà; non è possibile che noi ci abbiamo da trovare prive della Sua assistenza e indirizzo. Se ci troverà prive di sentimenti, come faremo noi?. La buona madre vedendola così sgomentata principiò a dare in celie e quasi scherzando proseguì l’argomento, soggiungendo: Vi metto un nome, ma riderete, vi chiamerò Ortichella - significandole il senso di questo nome - di voi Iddio si servirà per piantarmi e poi ne seguirà che come l’ortica nasce, non solo nella terra, si dilata e si trova perfino nei tetti, così farete voi. E senza spiegare di più su questo proposito, la mandò a lavorare o fare qualche altra faccenda e così terminò per quel giorno, e con indifferenza ne passarono vari altri. Ma quando mancavano due o tre giorni a questa, dirò malattia di Elisabetta, chiamò tutte e due le figlie e le prevenne dell’infermità che era per sorprenderla. Le assicurò che non temessero e le pregò di assisterla e di non farla toccare da nessuno, e stessero pur quiete che sarebbe stata docile come una fanciulla nelle loro mani, e che il Signore le avrebbe dato la forza per reggere il giorno e la notte. A questo parlare le figlie si misero a piangere e le promisero che l’avrebbero assistita sempre non solo in quella malattia, ma in qualunque altra: Speriamo - dissero - non accada né questa volta né mai, ma le promettiamo che se lei morisse prima di noi siamo pronte a fare il sagrificio di vestirla dopo morta, come fecero quando seguì e a suo luogo si narrerà.

Chi può ridire in che angustia si trovarono queste figliole! Ma senza parlare con alcuno stavano in silenzio, né la minore si fece mai conoscere dalla sorella che ne sapeva di più.


 




72 Fu Papa dal 14 marzo 1800 al 20 maggio 1823. Barnaba Gregorio Chiaromonti (Cesena 1740Roma 1823) fu monaco benedettino, nominò segretario di Stato il Cardinale E. Consalvi. Il suo pontificato fu travagliato dalle note vicende napoleoniche, tanto che il conclave per la sua elezione si tenne a Venezia. Quando le truppe rivoluzionarie francesi uscirono da Roma il Papa si affrettò a rientrare nella capitale. Fece un concordato con Napoleone che si concluse nel 1801. Reagì con determinazione alle imposizioni di Napoleone perché «nessun imperatore ha il diritto di regolare gli affari di Roma». Tuttavia l’arroganza e la prepotenza di Napoleone ebbero la meglio, quando in reazione alla bolla pontificia (10 giugno 1809) che minacciava la scomunica a chiunque avesse usato violenza contro la Santa Sede, gli tolse gli ultimi resti di sovranità pontificia dichiarando Roma «città libera e imperiale», poi riunendola con il suo territorio alla Francia, e infine incaricando il generale Radet di catturare il papa (notte 5/6 luglio 1809) e di scortarlo nel forzato esilio. Il Papa rimase prigioniero per tre anni a Savona, poi fu trasferito (1812) a Fontainebleau dove sostenne lotte con il clero francese e gli fu strappata l’accettazione di un nuovo concordato (25-1-1813), con il quale abdicava al potere temporale e non conservava che in apparenza il diritto d’investitura dei vescovi. Due mesi dopo Pio VII sconfessò questo concordato e dopo la sconfitta di Napoleone in Russia rientrò in Italia (24 maggio 1814). Gli invasori francesi (1810-1815) avevano espulso da San Carlino tutti i religiosi tranne che, per motivi di età e di salute, i Padri Antonio del Beato Simone de Rojas, Blas della Vergine e Ferdinando di San Luigi, confessore di Elisabetta Canori Mora. Con l’aiuto del Cardinale Consalvi, Pio VII si dedicò alla ricostruzione e alla riforma degli Stati Pontifici, ricostituì la Congregazione dei Gesuiti, diede nuovo impulso all’attività missionaria che diresse anche verso l’America del sud e il medio ed estremo oriente. Morì dopo 23 anni di travagliatissimo pontificato, il 20 agosto 1823. Gli successe Leone XII (1823-1829). Francesco II era l’Imperatore di Austria e Ungheria (1792-1835). (Cfr. Grande Dizionario Enciclopedico, Torino, UTET, 1968).

 






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