Il 25 gennaio 1819 giorno in cui cade la
conversione di San Paolo, Elisabetta fu sorpresa da svenimento mortale e restò
priva di ogni idea sensibile, senza alcuna sensazione. E siccome stava in
orazione, restò giacente per terra come un cadavere. Fu subito posta sopra il
letto dalle figlie e altre due persone, senza poterla spogliare temendo di
pregiudicarla perché si trovava in un abbandono come in profondo sonno e la
lasciarono vestita. Durò questo sopimento dodici ore buone: dalle otto e mezza
circa della mattina e si riscosse la sera alle nove e mezza. Furono fatte delle
prove in questo tempo per scuoterla da quel letargo, ma tutto indarno.
Finalmente la sera si destò e parlava con sentimenti liberi come non fosse
stato niente, e niente cercava, nemmeno si curò di qualche piccolo
sostentamento. Tutte le sue premure erano di avere il confessore, desiderando
parlargli; ma le figlie inesperte, le dissero: Mamma mia, è impossibile questa sera, l’ora è avanzata, non abbiamo chi
vada a chiamarlo, perché papà non è tornato a casa, e poi sono religiosi, pare
disdica molestarli, verrà in tempo domani mattina.
In questo tempo le figlie la spogliarono e
procurarono di sovvenirla; passarono tutta la notte quasi sempre intorno al suo
letto. Quando si fece giorno fu sopraffatta da convulsioni tanto terribili che
non c’era il modo di reggerla; tanto era il dibattimento e lo strazio che
faceva compassione. Aveva perduta ogni idea, non conosceva più nessuno, nemmeno
il proprio confessore quando venne la mattina dopo che aveva celebrata la
Messa. Le figlie gli dissero che lo
desiderava ieri sera, ma noi credevamo venisse in tempo questa mattina, ma il suddetto rispose: Iddio ha disposto così, perché vuole che
vostra madre patisca senza aiuti
umani e nemmeno conforti spirituali per mio mezzo; vuole che sia sola a
combattere. Ciò nonostante mi presterò a soccorrerla per quanto posso. In
questa circostanza il Signore permise che questo buon Padre si ammalasse. Si
prestarono dunque le figlie ad assistere Elisabetta, con quella premura e
assiduità come le avevano promesso. Ella benché non conosceva più nessuno, era
così docile alla voce e all’attitudine delle figlie, che prontamente le
obbediva come fosse stata una fanciulla. Stavano dunque così assidue il giorno
quasi sempre tutte due, se potevano, ma siccome conveniva dare sesto alla casa
e udienza a parenti ed amici, bisognava che una si prestasse, ma una o l’altra
e mai la lasciavano neanche un solo momento. Appena la buona suocera intese il
male di Elisabetta, volle portarsi ogni giorno ad assisterla. La mattina vi
andava di buonora e si metteva accanto al letto della nuora, senza mai
partirsi, tranne che il momento del pranzo. Poi vi ritornava fino all’ora
dell’Ave Maria e fintanto che non fu guarita le fece tutti i giorni
un’indefessa assistenza.
Il consorte era trapassato dalla pena, ma si
trovava incapace di agire; per l’assistenza lasciò il carico alle figlie come
più adatte ed esperte, e aveva piacere che sua madre si prestasse tanto. Le
figlie erano assidue il giorno, e la notte facevano mezza nottata per
ciascheduna, senza stancarsi. Non vollero accettare mai le esibizioni che
vennero fatte dalle cognate di Elisabetta, dalla sorella della medesima e da
molte amiche che volevano prestarsi per amorevolezza per farle riposare qualche
notte.
Ringraziarono tutte per tante attenzioni e
proseguirono la notte sempre da sole senza sentire fatica, né stanchezza, anzi
serviva loro di consolazione perché molte volte la sentivano proferire questi
accenti, in modo di risposta: Come mi
potete dare quello che non avete? E come volete che vi creda, se siete il padre
delle bugie e delle infedeltà? Rinunzio a satanasso e a tutte le sue diaboliche
suggestioni e a tutte le sue promesse. Rinunzio al mondo e alla carne, e a
tutte le loro promesse e falsi piaceri. Protesto di mortificare il mio corpo
con digiuni, vigilie e penitenze, con le debite licenze. Andava ancora
ripetendo: Ah Gesù mio, non mi
abbandonate in mezzo a sì spietata battaglia, mi manca la forza di resistere,
viene meno la mia misera umanità a tanto patire. Mio Dio aiutatemi, e non
permettete che la vostra povera serva perisca.
A queste esclamazioni le figlie si avvedevano bene
che il conforto le veniva dall’alto, vedendo che fissava gli occhi come se
vedesse personaggi e faceva proteste di umiltà, di adorazione, di contrizione e
di desiderio di ricevere Gesù Sacramentato, come in effetti riceveva per mano
angelica, come poi narrò alla figlia minore.
Per questo oggetto che discorreva in queste guise
giorno e notte, le figlie procurarono per quanto era possibile, di non
ammettere nella sua camera tante persone, tenendo addietro gli stessi parenti
per non dare motivo di ciarle e di biasimi, vedendola in quello stato, benché
le figlie operassero con tante cautele. In ogni modo convenne chiamare il
medico dal primo giorno che principiarono quelle forti convulsioni. Molti
furono i rimedi che le fecero fare oltre che il medico, i parenti; specialmente
quel fratello che aveva studiato medicina, si adoprò molto perché voleva con
questi, vedere di richiamarla nei giusti sensi. Le volle far applicare i
senapismi ai piedi, due vescicanti alle polpe delle gambe, una sanguigna al
braccio e una alle tempie. Queste due sanguigne furono molto copiose,
particolarmente quella delle tempie, ma tutto indarno, perché erano molto più
gravosi i tormenti che soffriva e a tutti questi si rendeva affatto
insensibile, proseguendo nella stessa maniera a smaniare e a dibattersi con
moto tanto irregolare e terribile.
Vedendo che i rimedi non le giovavano affatto e
che continuava a vivere, il medico disse: Questo
non è male naturale, al certo non è possibile che un corpo umano regga a tanto
strazio, mentre tengo per l’esperienza, che un male così violento non si può
sostenere da un corpo umano, ma deve sicuramente cagionargli la morte, e non
può andare più a lungo che tre o quattro giorni, aggiungendosi che non
inghiottiva nemmeno una stilla di brodo. Fu provato qualche gelato e qualche
cucchiaio di vino, ma tutto si riversava sopra la salvietta. Nemmeno una goccia
d’acqua le figlie poterono farle ricevere. Se non sbaglio per cinque o otto
giorni non prese un minimo ristoro, facendo il suddetto medico le più alte
meraviglie: Questa donna non può sopravvivere che per puro miracolo, ma
vedendo che ogni giorno si faceva maggiore il male, essendo uomo di molta pietà
prese ad interrogarla e conobbe qualche cosa, benché non fosse presente a se
stessa. Disse alle figlie: Insegnatemi
dove sta e chi è il confessore di vostra madre. Difatti vi andò, lo trovò
malato e gli disse: Si conosce che lo
spirito di questa sua penitente è tutto assorto in Dio, ma il suo corpo soffre
pene infernali perché si distingue benissimo che è malmenato dai demoni e che
non è male naturale.
Il confessore sapeva bene la causa per cui tanto
pativa e benché si trovasse cagionevole non lasciò di fare molte orazioni per
aiutarla a sopportare e vincere una simile battaglia e procurò che molte
persone pregassero secondo la sua intenzione.
L’istesso confessore ne fece inteso il Santo Padre
acciò con le valide preghiere e autorevole comando l’avesse liberata dai demoni
che così fieramente la strapazzavano. Il Santo Padre, per sua bontà, si
compiacque di sentire che ci fosse chi prendeva tanta parte per i bisogni della
Santa Chiesa senza avere riguardo alla propria vita, ma il solo amor di Dio e
del prossimo l’aveva ridotta in questo stato per l’offerta fatta. Il Santo
Padre anche per riguardo del confessore di cui aveva molta stima pregò molto e
poi con la sua potestà pontificia, comandò a quei maligni spiriti che
terminassero di malmenarla. Il Santo Padre fece sapere al suddetto confessore
che il giorno della Purificazione di Maria santissima sarebbe restata libera,
come seguì.
La figlia minore che faceva la mezza nottata, nel
farsi giorno vide che la madre andava quietandosi e si avvide che placidamente
conversava alla familiare come con persone, poi si riscosse come da un profondo
sonno e disse alla figlia: Sappi che sono
guarita, a voi come mia segretaria,
narrerò il fatto.
Sappiate
che per mezzo di un celeste favore sono restata del tutto sanata, mi è apparsa
la santissima Vergine Maria, con uno stuolo di sante vergini e martiri. La
santissima Vergine mi si è avvicinata al letto, vedendomi così semiviva per i
gravi strapazzi ricevuti, mi ha chiamato con il dolce nome di figlia, mi ha
benedetta e poi ha comandato ad una santa vergine che era presso di lei, che mi
avesse toccato gli occhi perduti dall’atrocità dei tormenti di quei maligni
spiriti, i quali con piombo bollente gocciato me li avevano tolti. Questa santa
vergine ha fatto una profonda riverenza avanti alla santissima Vergine, poi mi
ha toccato gli occhi e mi ha ridato la vista. La gran Madre di Dio così mi ha
parlato: «Questa è la mia diletta Tecla73, che ti ha restituito la vista.
Abbi gran stima di questa santa vergine la quale ha saputo tanto bene imitare
le mie virtù».
Con
queste e simili parole la santissima Vergine mi dava a conoscere questa gran
santa, che io non conoscevo, né mai avevo inteso ci fosse questa santa. Oh
quanto mai mi sono rallegrata nel vedermi, senza alcun merito, tanto favorita
da tante sante vergini e martiri, ma il mio maggior contento era di vedermi
favorita dalla presenza della gran Madre di Dio, che, tutta amore, con la sua
amabile presenza mi ha consolata e ha comandato a tutte quelle sagre vergini
che si rallegrassero meco per la vittoria riportata. Poi ha comandato a santa
Silvia74 di toccare il mio
corpo, così malconcio e rovinato per tanti strapazzi sofferti da quei maligni
spiriti infernali. E difatti questa benigna santa, fatto un profondo inchino
alla beatissima Vergine, ha toccato il mio corpo e mi ha sanata del tutto.
Quanto
grandi siano stati i miei ringraziamenti, non ve li posso esprimere, mi sono
trovata in un momento sanata perfettamente. Ho ringraziato di cuore la
santissima Vergine e le ho offerto tutti i meriti di quelle gloriose vergini e
martiri, che attorno le facevano corona. Versando
lagrime di tenerezza e gratitudine mi sono annientata in me stessa,
riconoscendomi indegna di sì alto favore. La Vergine santissima in atto di
gradimento mi ha benedetta, promettendomi la sua speciale assistenza in tutto
il tempo della mia vita, e particolarmente nel punto della mia morte, sicché,
vedete che io sono del tutto guarita - disse alla figlia – «e potrei alzarmi, ma siccome stimo bene di
fare tutto con l’obbedienza, sarà meglio aspettare il mio confessore.
Intanto si fece l’ora e si levò l’altra figlia e
il consorte, i quali entrarono nella camera di Elisabetta e la trovarono in
pieni sentimenti; le domandarono come stava, rispose: Molto meglio, vedete nella
solennità di Maria santissima, posso dire che questa cara madre mi abbia guarita.
In questo mentre arrivò la suocera e, sentendo
questa istantanea guarigione, si unì con il figlio e le nipoti a congratularsi
e a ringraziare Maria santissima per una così straordinaria grazia. Piangeva di
tenerezza dicendo: Ieri sera vi lasciai
con il timore di non ritrovarvi viva, così diceva il medico ogni giorno e di più, ma in fine con tanti
strapazzi di macchina vi spirerà che
non ve ne accorgerete, perché è
impossibile che possa sopravvivere. Ringraziamo dunque adesso unitamente il
Signore e Maria santissima, poi soggiunse la buona suocera: Dovete curare la debolezza e bisogna che vi
abbiate gran cura, perché una ricaduta sarebbe più cattiva. Elisabetta
gradì moltissimo le premure della suocera e le rispose: Sono figlia di obbedienza, farò
quanto mi dice.
La ringraziò di tante attenzioni che le aveva
usato e di tanto strapazzo che si era presa ogni giorno per sua cagione e
gliene dimostrò la gratitudine.
Il confessore nella stessa mattina si portò a
visitare Elisabetta, la quale narrò tutto l’accaduto e il consiglio della
suocera la quale ignorava la causa del male e la guarigione miracolosa per
mezzo di favori celesti, e gli domandò come doveva regolarsi; le disse dunque
il buon Padre Ferdinando: Stimo bene che
vi tratteniate a letto per qualche giorno, per riguardo dei parenti e anche per
obbedire alla suocera e al consorte che ha approvato ciò che ha detto la madre
e in questo modo, stando a letto, vi lasceranno stare più quieta dalle loro
dicerie, e così fu fatto.
Per altri otto giorni si trattenne a letto, poi
principiò ad alzarsi, ma siccome Iddio la chiamava con frequenti favori, stava
estatica di continuo e con il pretesto di debolezza tutto restava occulto.
Vedendo il suo confessore l’impossibilità che
potesse andare in Chiesa per ricevere la Santa Comunione le ottenne dal Santo
Padre la licenza di celebrare nella cappella la Santa Messa, con il permesso di
poter ricevere la Santa Comunione ogni volta che si celebrava la Messa.
Il giorno 13 febbraio 1819, primo sabato di
carnevale, si principiò a celebrare la Santa Messa. Più volte in voce il Santo
Padre Pio VII gli accordò la licenza di celebrare la Santa Messa tre volte la
settimana e così Elisabetta ebbe la consolazione di ricevere la Santa Comunione
nella sua cappella, passando in quella quasi tutto il giorno e parte della
notte.
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