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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

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  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO PRIMO
        • 25 - Elisabetta veste formalmente il santo abito trinitario
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25 - Elisabetta veste formalmente il santo abito trinitario

 

Un giorno, se non erro, dell’anno 1820, Elisabetta chiamò le due figlie e disse: Sentite, il Signore vuole che io indossi il santo abito di trinitaria scalza82, per entrare nel numero di terziaria del suddetto Ordine, devo riceverlo con tutte quelle formalità, vostro padre, mio consorte, mi ha dato la licenza che anche esteriormente possa portarlo, che ne dite voialtre? Le figlie ablativamente le risposero un no assoluto: Non ci contentiamo, non vogliamo essere chiamate le figlie di una frata - le dissero - lei mamma mia è un gran tempo che osserva questa regola, che veste di lana come i trinitari, con tonaca e scapolare, digiuna sempre, dorme per terra, che vuole di più? Ci sarà una qualche formalità, a questa non ci opponiamo, la faccia pure in cappella quando vuole, ma in quanto all’esteriore! Per sortire e per casa, ritenga il suo abito nero, tanto non le guasta la povertà, perché i suoi abiti sono di saia o di scotto grosso; stia quieta che non fa figura.

Le parlarono così risolute e tanto unanime, che se si fossero accordate non avrebbero potuto riunirsi tanto nei sentimenti. A questo parlare delle figlie, la buona Elisabetta riconobbe la volontà di Dio e disse: State quiete che vi compiacerò, vorrà dire che quando sarò morta, con le mani di voialtre mi ci vestirete esteriormente e mi ci manderete alla sepoltura. Intanto io mi preparerò per la funzione che si farà nella mia cappella nelle debite forme.

Come seguì, ma non ricordo il giorno preciso né l’anno, ma il tutto fu come l’ho descritto.

In seguito raccontò alla figlia minore, da quanto tempo il Signore le aveva fatto intendere che la voleva trinitaria scalza, ecco le sue parole.

Dal 1807, era circa un anno che mi confessavo da un buon sacerdote, quando questi mi comandò di fare una preghiera al Signore, acciò si fosse degnato manifestarmi quello che voleva da me. Mi diceva il suddetto: I favori che Iddio vi comparte manifestano chiaramente che voglia da voi qualche gran cosa. Io lo voglio sapere, vi comando di raccomandarvi umilmente al Signore, acciò si degni manifestarlo.

Non mancai di obbedire prontamente, benché il mio spirito non avesse il minimo desiderio di saperlo. Le mie premure erano tutte dirette a chieder perdono al mio Signore, tenendo per sommo favore il potermi salvare, ma per obbedire al mio direttore non mancavo di raccomandarmi al Signore acciò degnato si fosse manifestarmi quello che voleva fare di me, nel tratto della mia vita.

Una mattina nella Santa Comunione rinnovando la preghiera suddetta con molto fervore, il Signore mi degnò di grazia molto particolare, ricevette il mio spirito una particolare unzione, che mi tenne tutta la giornata assorta in Dio. Il giorno dopo il pranzo, secondo il solito, mi ero ritirata per fare orazione al mio caposcala, come vi ricorderete, lo spirito fu sollevato da particolare orazione.

Nel tempo che l’anima mia si tratteneva in umili sentimenti nel vedersi tanto sollevata, Iddio viepiù l’andava innalzando, fintanto che mi degnò della sua vicinanza. Nel tempo che sentivo per la sua approssimazione un santo timore, annientavo il mio cuore e, piena di rispetto e venerazione, confessavo il mio nulla avanti alla sua tremenda maestà. Tutta sbigottita se ne stava la povera anima mia per il timore; allora fu che da sonora voce mi fu manifestato quello che Iddio voleva da me nel corso della mia vita, quante volte fedelmente avessi corrisposto ai suoi favori, mentre questo è il fine per cui mi concedeva tante grazie e tanti favori.

L’anima mia restò tutta intimorita, quando le fu dichiarato quello che Iddio voleva da me, misera peccatrice. La voce venerabile che mi parlò non solo infuse in me un santo timore, ma lo spirito restò affatto sbigottito per il rispetto di chi gli parlava. Fui sopraffatta da vivi sentimenti di umiltà e, annientata in me stessa, stavo con somma attenzione per udire quello che Iddio era per manifestarmi. Questi furono gli accenti che pronunziò la veneranda voce: «Io ti voglio trinitaria scalza».

A questi autorevoli accenti caddi stramazzone83 per terra, stetti per molto tempo in questa situazione, prima di rinvenire, quando mi riscossi mi trovai che dagli occhi avevo tramandato un profluvio84 di lagrime.

Non avevo poi coraggio di manifestare al mio direttore quanto mi era accaduto. Avevo una precisa necessità di comunicarlo, il tutto per il timore che avevo di esser ingannata, non sapendo se fosse buono o cattivo quel gran timore che mi aveva cagionato nello spirito.

Pensai dunque di farmi coraggio e manifestai il tutto al Padre Ferdinando trinitario al quale andavo quando il mio confessore era malato. Con somma mia pena gli comunicai il fatto accadutomi, gli dissi ancora di non avere avuto libertà di manifestarlo al mio direttore. Il suddetto padre mi comandò di dare discarico senza altro indugio al mio direttore quanto nel mio spirito mi era accaduto.

Prontamente obbedii, non occultando al medesimo la poca confidenza che avevo usata verso di lui. Gli dissi ancora il prudente comando del lodato padre. Poco tempo dopo questo mio confessore andò fuori per sempre e mi fissai dal Padre Ferdinando.

Dopo molte orazioni e maturo consiglio, allora mi ascrissi come voialtre alla santissima Trinità, ma poi ne abbracciai come un’osservanza, come mi ha fatto conoscere il Signore, imponendomi egli stesso il nome di Giovanna Felice della Santissima Trinità85.

Per dirvi tutto, il giorno della Pentecoste dell’anno scorso, dopo la Santa Comunione, che feci in cappella, si raccolse intimamente il mio spirito, e si tratteneva con il suo sovrano Signore, l’amato mio Bene, senza strepito di parole, ma in sommo silenzio se ne stava l’anima mia avanti al suo Dio, umiliandosi profondamente, e, riconoscendosi indegna di ogni bene, si profondava nel proprio suo nulla e adorava l’ospite suo sovrano. Il divino Signore mi fece intendere che richiesto avessi l’abito di terziaria dell’Ordine dei padri trinitari scalzi86. A questa interna illustrazione io veramente mi opposi, pensando che mai mi si sarebbe accordato una tale licenza dal mio padre spirituale; sicché non mi potevo risolvere a dirgli quanto era seguito nel mio spirito il giorno della Pentecoste, che davo in un dirotto pianto al solo pensarlo. Ogni giorno più sentivo nel mio cuore vivamente questa ispirazione, che mi obbligava a parlare al mio confessore e fare la suddetta richiesta, ma mi pareva veramente che mi mancasse il coraggio di fare una simile domanda, riconoscendomi affatto indegna di tanto onore.

Volevo ritenere racchiuso questo sentimento nel profondo del mio cuore, e l’avevo quasi deliberato, quando da forza superiore fui obbligata a manifestarlo, sicché il giorno della Santissima Trinità, il 6 giugno dell’anno scorso 1819, otto giorni dopo la suddetta intelligenza, dopo la Santa Comunione, che feci nella cappella con molto raccoglimento e con profonda umiltà e profluvio di lagrime fui nuovamente obbligata dal Signore a manifestare al mio confessore, che aveva egli celebrato la Santa Messa nella cappella, come al solito, il suddetto sentimento, cioè di chiedere il santo abito di trinitaria scalza, di essere per carità ammessa nel numero delle terziarie del suddetto Ordine e di vestire il santo abito, con tutte le debite licenze del Padre Generale dell’Ordine Trinitario87.

Manifestai dunque questo sentimento al mio padre spirituale88 con dirotto pianto, che non potevo contenere, con umile e rispettosa preghiera feci la richiesta, esposi i miei desideri, manifestandogli quanto era accaduto nel mio interno. Il lodato padre, vedendomi tutta immersa nel pianto e che le mie parole erano soffocate dalle lagrime e dai sospiri, mi fece coraggio, e mi disse che mi fossi raccomandata al Signore, che avrebbe scritto al Padre Generale, e se fosse volontà di Dio sicuramente avrei ottenuto la grazia.

Per dirvi tutto, nello stesso anno il giorno 5 dicembre, il mio padre spirituale mi dette la consolante nuova che il Padre Generale mi aveva mandato la licenza di vestire formalmente il santo abito trinitario.

Non posso esprimere quale consolazione provasse il mio spirito, dissi al mio confessore: «Facciamo orazioni, acciò il Signore si degni farci conoscere il tempo preciso che io debba vestire questo santo abito di trinitaria. Preghiamolo ancora che ci dia lume, come dobbiamo regolarci, perché sia secondo la volontà di Dio».

Dopo varie orazioni fu dal mio padre spirituale determinato di aspettare un poco di tempo, prima di farmi vestire questo santo abito trinitario. Ma il Signore mi fece conoscere che per ottenere questo onore vi volevano molte prove e sarebbe andato molto più a lungo, ma la Sua Bontà e il mio grande desiderio, avevano abbreviato il tempo alla grazia e così per Sua misericordia mi è stato compartito questo favore di vestire il santo abito di terziaria trinitaria con le debite cerimonie, dopo molti mesi che il Padre Generale aveva mandato la licenza, come tutto si è eseguito, con la grazia del Signore; ma ci vuole adesso la mia corrispondenza, pregate figlia per me ché non abusi delle Sue misericordie.

 


 




82 Il 5 dicembre 1819 Elisabetta riceve da Padre Jerónimo de S. Félix, Generale dell’Ordine (1818-1824), la licenza di vestire il santo abito trinitario. (Cfr. Archivio San Carlo alle Quattro Fontane).

L’abito dei religiosi che appartengono all’Ordine della Santissima Trinità è fin dalle origini tricolore: bianco con la croce rossa e blu.

L’abito bianco richiama l’Infinito, quindi Dio Padre; il blu significa Dio Figlio riposto nel presepio e deposto nel sepolcro; il rosso richiama il fuoco, quindi l’effusione di Dio Spirito Santo che feconda la Vergine, scende sugli Apostoli ed infiamma il cuore dei fedeli.

Nel manoscritto 3143 «Fondazione dell’OSST» conservato alla British Library di Londra si questa interpretazione: il bianco è il colore della veste candida di biblica memoria, richiama sia l’uomo nuovo che l’Uomo Nuovo; il blu ed il rosso sono i colori del sangue e dell’acqua sgorgati dal costato di Cristo crocifisso. (Cfr. Pujana Juan, Trinitari e Trinitarie, in: La sostanza dell’effimero. Gli abiti degli Ordini religiosi in Occidente, Roma, Edizioni Paoline, 2000, pp 396-404).



83 Cadere pesantemente a terra.



84 Grande quantità.



85 Dal nome dei Fondatori dell’Ordine della Santissima Trinità: Giovanni de Matha e Felice di Valois.



86 Era già trinitaria secolare fin dal 13 dicembre 1807, per cui fin da allora portava lo scapolare o abitino trinitario. (Cfr. Liber in quo scribuntur confratres et sorores ab anno 1665, alla lettera E, Archivio di San Carlo alle Quattro Fontane). Ora sente la chiamata a divenire terziaria consacrata con i voti e distinta con l’abito trinitario.



87 Era Generale dell’Ordine della Santissima Trinità, Padre Jéronimo (Girolamo) de S. Félix (1818-1824), residente a Madrid. Dal 1824 fino alla sua morte, avvenuta il 5 ottobre 1828, fu vescovo di Albarracín (Spagna). (Cfr. La mia vita…, op. cit.).



88 Padre Ferdinando di San Luigi Gonzaga, trinitario.






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