Un giorno, se non erro, dell’anno 1820, Elisabetta
chiamò le due figlie e disse: Sentite, il
Signore vuole che io indossi il santo abito di trinitaria scalza82, per entrare nel numero di terziaria del
suddetto Ordine, devo riceverlo con tutte quelle formalità, vostro padre, mio
consorte, mi ha dato la licenza che anche esteriormente possa portarlo, che ne
dite voialtre? Le figlie
ablativamente le risposero un no assoluto: Non
ci contentiamo, non vogliamo essere
chiamate le figlie di una frata - le dissero - lei mamma mia è un gran tempo
che osserva questa regola, che veste di lana come i trinitari, con tonaca e
scapolare, digiuna sempre, dorme per terra, che vuole di più? Ci sarà una
qualche formalità, a questa non ci opponiamo, la faccia pure in cappella quando
vuole, ma in quanto all’esteriore! Per sortire e per casa, ritenga il suo abito
nero, tanto non le guasta la povertà, perché i suoi abiti sono di saia o di
scotto grosso; stia quieta che non fa figura.
Le parlarono così risolute e tanto unanime, che se
si fossero accordate non avrebbero potuto riunirsi tanto nei sentimenti. A
questo parlare delle figlie, la buona Elisabetta riconobbe la volontà di Dio e
disse: State quiete che vi compiacerò,
vorrà dire che quando sarò morta, con le mani di voialtre mi ci vestirete
esteriormente e mi ci manderete alla sepoltura. Intanto io mi preparerò per la
funzione che si farà nella mia cappella nelle debite forme.
Come seguì, ma non ricordo il giorno preciso né
l’anno, ma il tutto fu come l’ho descritto.
In seguito raccontò alla figlia minore, da quanto
tempo il Signore le aveva fatto intendere che la voleva trinitaria scalza, ecco
le sue parole.
Dal
1807, era circa un anno che mi confessavo da un buon sacerdote, quando questi
mi comandò di fare una preghiera al Signore, acciò si fosse degnato
manifestarmi quello che voleva da me. Mi diceva il suddetto: I favori che Iddio
vi comparte manifestano chiaramente che voglia da voi qualche gran cosa. Io lo
voglio sapere, vi comando di raccomandarvi umilmente al Signore, acciò si degni
manifestarlo.
Non
mancai di obbedire prontamente, benché il mio spirito non avesse il minimo
desiderio di saperlo. Le mie premure erano tutte dirette a chieder perdono al
mio Signore, tenendo per sommo favore il potermi salvare, ma per obbedire al
mio direttore non mancavo di raccomandarmi al Signore acciò degnato si fosse
manifestarmi quello che voleva fare di me, nel tratto della mia vita.
Una
mattina nella Santa Comunione rinnovando la preghiera suddetta con molto
fervore, il Signore mi degnò di grazia molto particolare, ricevette il mio
spirito una particolare unzione, che mi tenne tutta la giornata assorta in Dio.
Il giorno dopo il pranzo, secondo il solito, mi ero ritirata per fare orazione
al mio caposcala, come vi ricorderete, lo spirito fu sollevato da particolare
orazione.
Nel
tempo che l’anima mia si tratteneva in umili sentimenti nel vedersi tanto
sollevata, Iddio viepiù l’andava innalzando, fintanto che mi degnò della sua
vicinanza. Nel tempo che sentivo per la sua approssimazione un santo timore,
annientavo il mio cuore e, piena di rispetto e venerazione, confessavo il mio
nulla avanti alla sua tremenda maestà. Tutta sbigottita se ne stava la povera
anima mia per il timore; allora fu che da sonora voce mi fu manifestato quello
che Iddio voleva da me nel corso della mia vita, quante volte fedelmente avessi
corrisposto ai suoi favori, mentre questo è il fine per cui mi concedeva tante
grazie e tanti favori.
L’anima
mia restò tutta intimorita, quando le fu dichiarato quello che Iddio voleva da
me, misera peccatrice. La voce venerabile che mi parlò non solo infuse in me un
santo timore, ma lo spirito restò affatto sbigottito per il rispetto di chi gli
parlava. Fui sopraffatta da vivi sentimenti di umiltà e, annientata in me
stessa, stavo con somma attenzione per udire quello che Iddio era per
manifestarmi. Questi furono gli accenti che pronunziò la veneranda voce: «Io ti voglio trinitaria scalza».
A
questi autorevoli accenti caddi stramazzone83
per terra, stetti per molto tempo in questa situazione, prima di rinvenire,
quando mi riscossi mi trovai che dagli occhi avevo tramandato un profluvio84 di lagrime.
Non
avevo poi coraggio di manifestare al mio direttore quanto mi era accaduto.
Avevo una precisa necessità di comunicarlo, il tutto per il timore che avevo di
esser ingannata, non sapendo se fosse buono o cattivo quel gran timore che mi
aveva cagionato nello spirito.
Pensai
dunque di farmi coraggio e manifestai il tutto al Padre Ferdinando trinitario
al quale andavo quando il mio confessore era malato. Con somma mia pena gli
comunicai il fatto accadutomi, gli dissi ancora di non avere avuto libertà di
manifestarlo al mio direttore. Il suddetto padre mi comandò di dare discarico
senza altro indugio al mio direttore quanto nel mio spirito mi era accaduto.
Prontamente
obbedii, non occultando al medesimo la poca confidenza che avevo usata verso di
lui. Gli dissi ancora il prudente comando del lodato padre. Poco tempo dopo
questo mio confessore andò fuori per sempre e mi fissai dal Padre Ferdinando.
Dopo
molte orazioni e maturo consiglio, allora mi ascrissi come voialtre alla santissima
Trinità, ma poi ne abbracciai come un’osservanza, come mi ha fatto conoscere il
Signore, imponendomi egli stesso il nome di Giovanna Felice della Santissima
Trinità85.
Per
dirvi tutto, il giorno della Pentecoste dell’anno scorso, dopo la Santa
Comunione, che feci in cappella, si raccolse intimamente il mio spirito, e si
tratteneva con il suo sovrano Signore, l’amato mio Bene, senza strepito di
parole, ma in sommo silenzio se ne stava l’anima mia avanti al suo Dio,
umiliandosi profondamente, e, riconoscendosi indegna di ogni bene, si profondava
nel proprio suo nulla e adorava l’ospite suo sovrano. Il divino Signore mi fece
intendere che richiesto avessi l’abito di terziaria dell’Ordine dei padri
trinitari scalzi86. A questa
interna illustrazione io veramente mi opposi, pensando che mai mi si sarebbe
accordato una tale licenza dal mio padre spirituale; sicché non mi potevo
risolvere a dirgli quanto era seguito nel mio spirito il giorno della
Pentecoste, che davo in un dirotto pianto al solo pensarlo. Ogni giorno più
sentivo nel mio cuore vivamente questa ispirazione, che mi obbligava a parlare
al mio confessore e fare la suddetta richiesta, ma mi pareva veramente che mi
mancasse il coraggio di fare una simile domanda, riconoscendomi affatto indegna
di tanto onore.
Volevo
ritenere racchiuso questo sentimento nel profondo del mio cuore, e l’avevo
quasi deliberato, quando da forza superiore fui
obbligata a manifestarlo, sicché il giorno della Santissima Trinità, il 6 giugno
dell’anno scorso 1819, otto giorni dopo la suddetta intelligenza, dopo la Santa
Comunione, che feci nella cappella con molto raccoglimento e con profonda
umiltà e profluvio di lagrime fui nuovamente obbligata dal Signore a
manifestare al mio confessore, che aveva egli celebrato la Santa Messa nella
cappella, come al solito, il suddetto sentimento, cioè di chiedere il santo
abito di trinitaria scalza, di essere per carità ammessa nel numero delle
terziarie del suddetto Ordine e di vestire il santo abito, con tutte le debite
licenze del Padre Generale dell’Ordine Trinitario87.
Manifestai
dunque questo sentimento al mio padre spirituale88
con dirotto pianto, che non potevo contenere, con umile e rispettosa preghiera
feci la richiesta, esposi i miei desideri, manifestandogli quanto era accaduto
nel mio interno. Il lodato padre, vedendomi tutta immersa nel pianto e che le
mie parole erano soffocate dalle lagrime e dai sospiri, mi fece coraggio, e mi
disse che mi fossi raccomandata al Signore, che avrebbe scritto al Padre
Generale, e se fosse volontà di Dio sicuramente avrei ottenuto la grazia.
Per
dirvi tutto, nello stesso anno il giorno 5 dicembre, il mio padre spirituale mi
dette la consolante nuova che il Padre Generale mi aveva mandato la licenza di
vestire formalmente il santo abito trinitario.
Non
posso esprimere quale consolazione provasse il mio spirito, dissi al mio
confessore: «Facciamo
orazioni, acciò il Signore si degni farci conoscere il tempo preciso che io
debba vestire questo santo abito di trinitaria. Preghiamolo ancora che ci dia
lume, come dobbiamo regolarci, perché sia secondo la volontà di Dio».
Dopo
varie orazioni fu dal mio padre spirituale determinato di aspettare un poco di
tempo, prima di farmi vestire questo santo abito trinitario. Ma il Signore mi
fece conoscere che per ottenere questo onore vi volevano molte prove e sarebbe
andato molto più a lungo, ma la Sua Bontà e il mio grande desiderio, avevano
abbreviato il tempo alla grazia e così per Sua misericordia mi è stato
compartito questo favore di vestire il santo abito di terziaria trinitaria con
le debite cerimonie, dopo molti mesi che il Padre Generale aveva mandato la
licenza, come tutto si è eseguito, con la grazia del Signore; ma ci vuole
adesso la mia corrispondenza, pregate figlia per me ché non abusi delle Sue
misericordie.
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