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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

IntraText CT - Lettura del testo

  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO PRIMO
        • 29 - Elisabetta con molta rassegnazione tollera la perdita della sua amatissima genitrice - Sua premura di liberarla dal purgatorio - Ottiene dal Signore, per una nipote del consorte, di poter ricevere i sagramenti avendo perduto i sentimenti prima di morire a cagione di apoplessia
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29 - Elisabetta con molta rassegnazione tollera la perdita della sua amatissima genitrice - Sua premura di liberarla dal purgatorio - Ottiene dal Signore, per una nipote del consorte, di poter ricevere i sagramenti avendo perduto i sentimenti prima di morire a cagione di apoplessia

 

Come si è accennato, Elisabetta dal giorno che andò a visitare la Chiesa di San Giovanni, restò ristabilita mirabilmente in salute e poté riprendere le mortificazioni, i digiuni e le austerità e non guardò più il letto fino al termine dell’anno 1824, prossimo al suo transito, tranne qualche momento che le figlie la facevano adagiare sopra il letto quando la vedevano alienata dai sensi, che all’esterno compariva come uno svenimento.

Riprese dunque il suo sistema la medesima passando si può dire giorno e notte in orazione, avendo dato tutto il pensiero dell’andamento della casa alle figlie, benché ella non lasciava che operassero senza la sua intelligenza, in tutte le cose.

Voleva prestarsi alle faccende domestiche e ai lavori, ma nell’atto che operava restava estatica; se lavorava le cadeva il lavoro dalle mani e, ridendo diceva alle figlie: Vedete non sono più buona a niente, e le figlie rispondevano: Mamma mia lasci fare a noi, tanto arriviamo a fare tutto quello che ci bisogna per casa, ci basta vederla bene in salute, non pensi ad altro. Quanto si mostrava grata alle figlie che le toglievano il pensiero e direi lo scrupolo di operare e lavorare! ma le sue premure peraltro erano che le figlie le tenessero pronto il lavoro per quando qualcuno andava a visitarla, sia persone ecclesiastiche sia secolari, perché diceva: Temo di fare la brutta figura di addormentarmi, così, con il lavoro in mano è più difficile.

Nel dire questo rideva, perché alle volte nemmeno il lavoro era sufficiente a non farla restare per qualche momento fuori dai sensi. Pregava il Signore che non permettesse che quelle persone si avvedessero esteriormente dei suoi favori e chiamate e, a forza di lavorare con fretta e premura distoglieva lo spirito da quel raccoglimento che sentiva di volare al Suo Dio.

Un giorno la figlia le dette da lavorare una soletta nel tempo che una persona stava discorrendo e prendendo consigli da lei. Andò un poco a lungo la conferenza ed Elisabetta lavorò tanto che la soletta era lunga un buon palmo e mezzo. Quando le figlie videro quella soletta, le dissero: Mamma mia è vergogna che lei lavori tanto davanti alle persone, pare si abbia da mangiare! E che volete fare, rispose, sono mezza rimbambita, non conosco più le convenienze, tutti devono avere pazienza con me. E così celiando risero tutte e tre per questa lunghissima soletta. Mi sono diffusa troppo in questo, fuori di quello che mi ero proposta, ma era necessario accennare al tenore di vita che tenne dopo la malattia, posso dire con tutta verità che stava più in cielo che in terra.

Era da tempo che la madre di Elisabetta soffriva degli incomodi di salute anche per l’avanzata età di ottantanni e passa; la suddetta voleva spesso le nuove e in sua vece mandava le figlie con la donna e per mortificare quella tenerezza filiale si asteneva dall’andarvi di persona.

Ora avvenne che la buona Teresa fu sorpresa da malattia mortale; il medico le ordinò i sagramenti: Sì di cuore e volentieri li ricevo, disse l’inferma, ma assicurò il medico e anche il curato che ancora non era giunto il tempo della sua morte, perché avendo nella loro famiglia la figliolanza di San Francesco, non sarebbe trapassata senza un anticipato avviso, in ogni modo si confessò e ricevette il santissimo viatico.

Dopo migliorò in modo che era fuori pericolo, si può dire in convalescenza e la figlia nubile, che l’assisteva, si era consolata con tutti gli altri figli.

Un giorno all’improvviso Elisabetta dice alle figlie: Vestitevi e andiamo, devo andare a ricevere l’ultima benedizione da mia madre. Arrivata che fu si trattenne molto tempo da sola a discorrere con la madre, dopo entrarono le figlie a salutare la nonna, la quale prese congedo dalle nipoti, dicendo: Vedete, tutti si erano allarmati per la mia malattia, adesso in realtà sembra che io stia assai meglio. Il medico giudica che sia guarita e non mi vuole guardare. Poco più mi resta da vivere, l’ho detto anche al curato, «Stia pronto quando lo manderò a chiamare». Credete ragazze mie, ridono con me; ma io aspettavo l’avviso da San Francesco e da altri Santi, questa intelligenza l’ho avuta e vostra madre, mia figlia mi ha confermato il medesimo; pregate per me e vi benedico.

Appena tornata a casa, Elisabetta disse alle figlie: Lasciatemi andare in cappella per pregare il Signore per un felice passaggio all’altra vita della mia buona genitrice, che seguirà non ricordo bene se nella notte o il giorno seguente.

Benché si vedeva che Elisabetta era rassegnata alle divine disposizioni, in ogni modo la sensibilità naturale per la perdita della propria madre dovette sentirla al vivo. Prolungò la sua orazione in cappella, se non erro tutta la notte e tutto il giorno seguente. Disse poi alle figlie il momento in cui era spirata e le esortò a fare dei suffragi con lei.

Non rammento bene se facesse fare la Via Crucis ed altre preci. Intanto vennero i fratelli e la sorella maggiore che aveva assistito fino all’ultimo respiro la loro madre a sfogare il dolore. Elisabetta li consolò, dicendo: Bisogna rassegnarsi e consolarsi perché era una santa donna e ha fatto una morte preziosa al cospetto di Dio, adesso dobbiamo aiutarla con i suffragi. Come figli siamo obbligati a fare quanto possiamo. E in questo modo consolò tutti ed animò i suoi fratelli a fare del bene, delle comunioni e facendo celebrare delle Messe. Terminate le condoglianze se ne tornò subito in cappella a pregare con tutto l’impegno per la sollecita liberazione dal purgatorio della sua genitrice. Fu tanto efficace la preghiera che Gesù Cristo medesimo le disse: Quest’anima sarà liberata dal purgatorio durante la prima Messa che farai celebrare per i morti nella tua cappella. Non mi sovviene se il giorno dopo o l’altro giorno seguente combinasse di semidoppio per poter far celebrare la Messa dei defunti, e così si fece. Chi può descrivere l’esuberanza di affetti nell’ascoltare quella Messa e nel ricevere la Santa Comunione, nel qual tempo il Signore le fece vedere l’ingresso di quest’anima in cielo accompagnata dal suo santo angelo custode, in mezzo ad un bello splendore di chiarissima luce. Come restasse estatica tutto quel giorno non si può dire! mi pare che in quel giorno non prese cibo alcuno tanto era fuori di sé per la gioia. Così raccontò il tutto a sua figlia in confidenza. Non mi sovviene l’epoca precisa quando fu sorpresa di male apoplettico una nipote del consorte, figlia di una sorella del medesimo. Questa era una giovane molto qualificata per bellezza ed ingegno raro, molto ricca, aveva tre figlioletti, il consorte era il cavaliere Canoncini. Si amavano grandemente e nel più bello della gioventù fu sorpresa da male apoplettico. Al momento il consorte della medesima mandò a chiamare la madre della sua consorte e la nonna, suocera di Elisabetta. Quest’ultima, appena arrivata in casa dell’inferma che giaceva come morta senza sentimenti, mandò a dire subito ad Elisabetta che avesse pregato caldamente il Signore per la nipote inferma; se era giovevole alla sua anima le avesse restituita la salute di prima, se poi volesse chiamarla all’altra vita, le ottenesse di restituirle la facoltà per ricevere i santi sagramenti.

Elisabetta ricevuta l’ambasciata se ne andò subito in cappella ad orare e il giorno dopo l’inferma si riscosse dal suo letargo e ricevette con molto sentimento i santi sagramenti. Parlava in pieni sentimenti in maniera tale che i medici la tenevano per guarita tanto era notabile il miglioramento. Ma l’inferma disse: Non mi lusingo, la grazia l’ho ricevuta per l’anima, fece lo spoglio dei beni, raccomandò i figli al consorte, parlò a lungo con il medesimo e dopo aver accomodato tutte le sue partite, con molto spirito e rassegnazione, tornò al sopore mortale nel quale sopravvisse due o tre giorni. Niente le giovò per riaverla in sentimenti, nonostante i rimedi che furono applicati. Tutti attestarono che si poteva ritenere un vero miracolo l’avere per quel giorno riacquistato i sentimenti.

Non tralasciò Elisabetta di continuare la sua preghiera per quest’inferma, per aiutarla ad un felice passaggio, mentre il Signore le aveva fatto intendere che voleva richiamarla da questa vita, essendo il meglio per l’anima sua. Se ne stava dunque la medesima nella sua cappella quando ad un tratto chiama le figlie e dice: Sappiate che in questo momento è trapassata Maddalena - così si chiamavain un baleno mi sono trovata con lo spirito nella sua camera e ho veduto portare per mano di vari angeli Gesù Nazareno con tutto il tempietto come sta nella cappella, l’ha benedetta con la sua santa veste e poi è spirata.

Le figlie a questo dire della madre restarono stupefatte, benché non fossero tanto nuovi questi favori, perché in molte occasioni vedevano che il tutto si avverava comprese le grazie che molti ricevevano per mezzo delle sue orazioni. Restarono peraltro molto dispiaciute per la perdita della loro cugina che amavano molto essendo, si può dire, cresciute insieme, specialmente quando era vivo il nonno.

In questa nuova afflittiva dissero le figlie: Mamma mia, le faccia dei suffragi perché presto Maddalena vada in paradiso, noi pure faremo quanto potremo. Rispose Elisabetta: Non dubitate, spero che il Signore la condurrà presto a goderlo svelatamente in cielo, in premio del sagrificio che ha fatto della sua vita, dei figli, del consorte e delle ricchezze, con una generosità d’animo incredibile da capirlo per i nostri sensi. Difatti dopo pochi giorni, con assidue preghiere, Comunioni e Messe che si fecero celebrare, disse Elisabetta alle figlie: L’anima di Maddalena è giunta in cielo a pregare per noi.

E con questo discorso fece una bella esortazione alle figlie sulla caducità116 delle cose del mondo e il disinganno delle grandezze che fa l’anima quando si trova al divino tribunale, non avendo per compagnia altro che le buone opere e le virtù esercitate nel tempo della propria vita.

 




116 Corruttibilità.






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