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Suor Maria Giuseppa Mora della SS. Trinità, figlia della Beata Elisabetta Canori Mora
Vita della Beata Elisabetta Canori Mora

IntraText CT - Lettura del testo

  • INTORNO ALLA VITA DELLA SERVA DI DIO ELISABETTA CANORI MORA MORTA IN ROMA IL DÌ 5 FEBBRAIO 1825 – BREVI CENNI SCRITTI DALLA FIGLIA MEDESIMA, MARIA LUCINA MORA, OSSIA MARIA GIUSEPPA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, MONACA FILIPPINA
    • LIBRO PRIMO
        • 5 - Matrimonio di Elisabetta con il giovane Cristoforo Mora
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5 - Matrimonio di Elisabetta con il giovane Cristoforo Mora

 

Correva l’anno 1796, il giorno 10 di gennaio seguì il matrimonio di Elisabetta con Cristoforo essendo in età di circa 23 anni ed Elisabetta in 21. Si celebrò questo matrimonio con molta pompa e contento universale; nei primi giorni si vedeva la novella sposa molto accarezzata e con straordinaria attenzione servita. Avendo il consorte il suo legno28, la faceva sollevare e il tutto andava con molta pace e tranquillità. Ma non andò molto a lungo che il consorte fu sorpreso da gelosia così molesta e indiscreta che non le permetteva di trattare alcuno. Arrivò a segno tale che le tolse la consolazione di vedere e trattare i propri genitori. Ognuno può immaginare quale dolore recasse una simile privazione tanto per la povera Elisabetta, quanto per i buoni genitori, di maniera che presero l’espediente di passare per la strada se riusciva loro di vederla un momento alla finestra. A tutto questo si aggiunse che non voleva si prestasse nelle faccende domestiche e nemmeno si occupasse di lavorare. Quando tornava in casa le guardava le mani e se trovava qualche pelletta alzata, come accade nel lavorare, erano stravagantissime inquietezze. Ella per non stare oziosa, trovò il modo di lavorare con due ditali quando egli era fuori di casa e così, immersa in simili travagli, passò dieci mesi in questo penoso conflitto.

Ecco come ella stessa riferisce.

La divina provvidenza per liberarmi da molti pericoli peccaminosi, in cui sicuramente sarei incorsa, si servì di un mezzo molto efficace, e questo fu la gelosia del mio consorte, pena per me molto sensibile. In questo stato ricorrevo al mio Dio con lagrime e con orazioni, ma buon per me che il mio Signore mi teneva lontana affatto da ogni peccato. Ero incinta della prima figlia, già erano scorsi sette mesi di questa, quando la giustizia di Dio, giustamente irritata contro di me, voleva punire la mia audacia con tremendo castigo del suo giusto furore; s’interpose la misericordia infinita del mio Dio e, per mezzo di Gesù Crocifisso, mi liberò da mortale colpo.

Crocifisso mio Gesù, amor mio, già sarei piombata nell’inferno, se voi prodigiosamente non mi aveste liberato. Quali e quante sono le obbligazioni che vi professo, amor mio, vi rendo infiniti ringraziamenti.

Ecco il fatto come fu. Al mio consorte gli fu regalata una pistola, una mattina si levò di buon’ora, prese quest’arma. Io non mi ero levata dal letto, lo pregai a volere scaricare quell’arma, mentre per essere inesperto, credevo potesse piuttosto offenderlo che difenderlo. Il suddetto per compiacermi, alla mia presenza scaricò quest’arma; dopo averla scaricata, per dimostrarmi la sua esperienza mirò l’arma verso di me. Ecco si sente una voce che lo sgrida e gli comanda di mirare altrove il colpo. Obbedì, contro sua voglia, mentre eravamo entrambi certi che l’arma fosse scarica; ma cosa tremenda e insieme prodigiosa: l’arma era ancora carica di altra palla, capace di levarmi la vita. Colpì il mortale colpo l’immagine di un santissimo Crocifisso29, che stava poco distante dal mio capo; il cristallo del piccolo quadro si fece in minutissimi pezzi, il muro restò bucato e il santissimo Crocifisso restò illeso.

Fu tale e tanto lo strepito del colpo, che parve una cannonata; come restammo storditi e spaventati non è possibile ridirlo. La puzza, il fumo che tramandò questo colpo non pareva naturale. Accorsero spaventi i pigionanti, credendo che fosse rovinata la casa.

Eppure, - chi lo crederebbe? - non fu questo sufficiente a ricordare alla mia mente l’enorme delitto che avevo commesso.

Mio Dio, quale pazienza avete esercitato verso di me! Siate benedetto in eterno.

Mi è piaciuto mettere le sue proprie espressioni di vera e sincera umiltà; che delitto può chiamarsi, essere passata allo stato matrimoniale? Se aveva fatto il voto di castità, lo fece all’età di dodici anni, età tanto tenera, che pare non possa essere valutato. Da quando tornò alla casa paterna fino al 1805 non ricordò mai il voto fatto; ma quando lo rammentò, allora sì che se ne chiama in colpa, come avesse commesso i maggiori eccessi.

Compìto il nono mese, dette alla luce una bambina. Dopo il battesimo si avvidero che non poteva vivere perché non poteva inghiottire. La fecero cresimare e dopo due giorni se ne volò in paradiso. Con questa occasione restò mitigata la gelosia del consorte e i genitori potevano avere qualche accesso. Potevano farle qualche visita anche i fratelli e la sorella maggiore; i suoceri non solo la visitavano in questa occasione, ma bene spesso vi andavano per esibirle quanto poteva bisognarle, dimostrandole la loro stima e amore più che fosse una figlia. Nello stesso modo ricevevano le sue visite quando vi andava. Le due sorelle minori del consorte, principiarono a gustare la compagnia di Elisabetta e vollero bene spesso trattenersi con ella. I genitori volentieri vi acconsentivano, essendo certi che potevano acquistare e non perdere conoscendo bene le virtù della nuora; ma per Elisabetta non era piccolo pensiero il dovere guidare le due giovanette cognate. Il più che le recava travaglio era il vedere il consorte cambiato; aveva mutata idea in modo straordinario, avendo principiato a trattare, non saprei come, una persona di bassa condizione. La buona consorte con dolci maniere e specialmente con la sua rara prudenza, procurava di legarlo ed egli dissimulava i suoi inviluppi. Mentre le cose passavano così, l’anno seguente dette alla luce un’altra bambina che incorse la stessa sorte della prima, dopo il battesimo. Si avvidero che anche questa non poteva inghiottire; la fecero cresimare e se ne volò in paradiso. La buona Elisabetta si rassegnò alle disposizioni del Signore, ma le afflizioni crescevano sempre più per parte del consorte. I vari divertimenti che prendeva, le riuscivano bene amari, ma si prestava di andarvi tanto per compiacere e obbedire il consorte, quanto per condurre le due cognate che erano presso di lei, e bene spesso ci si univano le altre due cognate che stavano con i genitori. Molte volte tutte e quattro volevano stare con Elisabetta; i suoceri si mostravano soddisfattissimi della sua condotta, ma intanto il consorte sempre più imperversava in quella rea amicizia, molto bene di nascosto, acciò nessuno potesse avvedersene. Cominciarono gli spunti negli interessi, la madre del medesimo, siccome l’amava fuori di modo, come figlio unico, suppliva a tutto; le facoltà non mancavano e riversava quanto le domandava il figlio che ingrandiva le spese. La buona genitrice credeva a tutto quello che gli dava da intendere, senza domandargli il rendiconto, perché allora si sarebbe avveduta delle spese duplicate. Invece di una famiglia, c’era una lupa divoratrice che assorbiva più che fossero due famiglie, oltre il tempo che gli faceva perdere questa fiera mostruosa, ché trasandava lo studio di avvocato essendo quella la professione che voleva esercitare; benché così poco ci si occupasse egli riuscì benissimo nella professione. I giudici quando avevano le sue scritture, restavano sorpresi in modo che, dicevano: Non ci si può rispondere come questo giovane espone le ragioni convincenti dei suoi clienti, perché in realtà era dotato di un ingegno sopraffino. Aveva fatto tutto il corso degli studi, conosceva più lingue e la musica a perfezione; per i suoi rari talenti, sarebbe riuscito a tutto, ma si fece sopraffare da colei. Con quel falso amore lo condusse a molti precipizi come si vedrà in seguito. Per fare che la madre cavasse i denari, mise in capo a inesperto giovane che imprendesse qualche negozio di campagna. Cristoforo aveva già la vigna e un orto grande; egli ci si occupava molto, non tanto per vedere che questi terreni gli rendessero frutto, quanto per domandare denari ai genitori. Con questo pretesto sprecava e compiaceva l’amica. La madre di nascosto gli somministrava di più delle somme, dando credito al figlio con tutta semplicità, e non si avvedeva che gli recava un grande pregiudizio, disposto da Iddio per santificare l’eroina Elisabetta, la quale distingueva bene gli andamenti del consorte. Con molta prudenza e amorevolezza l’andava avvertendo, procurando con le dolci attrattive, di distoglierlo dalla vita intrapresa. Ma cieco, incapace di una tale cognizione, la rimproverava come potesse fare sinistri giudizi del prossimo, essendo ella tanto buona, e, in mezzo a queste burrasche, si rassegnava.

In questo tempo dette alla luce la terza figlia; le fu imposto nel battesimo il nome di Marianna. Questa sopravvisse e poté allevarla da per sé con molto piacere, gustando così di potere con il latte instillare in questa fanciulla i semi di cristianità. Proseguivano intanto le cognate a stare in compagnia di Elisabetta, ma il consorte continuava il suo male operare e il Signore lo visitò con una forte malattia. I genitori che tanto amavano questo figlio, gli fecero assidua assistenza, benché fosse di molto incomodo andare più volte al giorno a visitarlo e lasciare la casa sola in mano alla servitù. I genitori di Elisabetta si prevalsero della circostanza di questa infermità del consorte, conoscendo quanto soffriva la figlia, benché la medesima mai si lagnasse con loro. Era ormai troppo pubblica l’aderenza della rea amicizia che procurarono con il pretesto di far studiare medicina ad uno dei figli minori, ma maggiore di Elisabetta, e di metterlo in casa con la sorella, anche per assistere all’infermità del cognato, come fecero. Tutte e due le famiglie restarono soddisfattissime di questa risoluzione. Ma il Signore se ne servì acciò questo fratello le fosse come scudo di difesa in tante pugne che dovette soffrire la generosa Elisabetta. Il consorte si ristabilì dopo vari giorni, e il suocero pensò di riunire nella propria casa il figlio con la consorte, tanto più che le due figlie non volevano lasciare la cognata che tanto amavano. Il suocero aveva molta casa, ma poiché la famiglia era numerosa, prese al di sopra un piccolo appartamento, fece fare la scala interna e così riunì tutti in casa. Elisabetta pronta ai cenni del suocero, lasciò volentieri l’appartamento sontuoso che era nel palazzo Vespignani e si condusse nel piccolo appartamento che non era più grande di tre o quattro camere.


 




28 Carrozza signorile.



29 La suddetta immagine si trova nel Museo di San Carlo alle Quattro Fontane.






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