La storia di
una rivoluzione non è tanto storia dei fatti quanto delle idee. Non essendo
altro una rivoluzione che l'effetto delle idee comuni di un popolo, colui può
dirsi di aver tratto tutto il profitto dalla storia, che a forza di replicate
osservazioni sia giunto a saper conoscer il corso delle medesime.
Nell'individuo la storia dei fatti è la stessa che la storia delle idee sue,
perché egli non può esser in contraddizione con se stesso. Ma, quando le nazioni
operano in massa (e questo è il vero caso della rivoluzione), allora vi sono
contraddizioni ed uniformità, simiglianze e dissimiglianze; e da esse appunto
dipende il tardo o sollecito, l'infelice o felice evento delle operazioni.
La congiura di
Baccher, l'occupazione di Procida, i rapidi progressi dell'insorgenza aveano
scossi i patrioti, e, nella notte profonda in cui fino a quel punto avean
riposati tranquilli sulle parole dei generali francesi e del governo, videro
finalmente tutto il pericolo onde erano minacciati. Il primo sentimento di un
uomo che sia o che tema di esser offeso è sempre quello della vendetta, la
quale, se diventa massima di governo, produce il terrorismo.
Il governo
napolitano, quantunque composto di persone che tanto avean sofferto per
l'ingiusta persecuzione sotto la monarchia, credette viltà vendicarsi,
allorché, avendo il sommo potere nelle mani, una vendetta non costava che il
volerla. Pagano avea sempre in bocca la bella lettera che Dione scrisse ai suoi
nemici allorché rese la libertà a Siracusa, ed il divino tratto di Vespasiano,
quando, elevato all'impero, mandò a dire ad un suo nemico che egli ormai non
avea più che temere da lui. Noi incontriamo sempre i nostri governanti,
allorché ricerchiamo la morale individuale.
Ma molti
patrioti accusarono il governo di un «moderantismo» troppo rilasciato, a cui si
attribuivano tutt'i mali della repubblica. Siccome in Francia al «terrorismo»
era succeduta una rilasciatezza letargica e fatale di tutt'i princìpi, così il
terrorismo era rimasto quasi in appannaggio alle anime più ardentemente
patriotiche. Forse ciò avvenne anche perché il cuore umano mette l'idea di una
certa nobiltà nel sostenere un partito oppresso, per vendicarsi così del
partito trionfante che invidia: forse in Napoli si eran vedute salve talune
persone, che la giustizia, la pubblica opinione, la salute pubblica voleano
distrutte o almeno allontanate.
Ma vi era un
mezzo saggio tra i due estremi. Il terrorismo è il sistema di quegli uomini che
vogliono dispensarsi dall'esser diligenti e severi; che, non sapendo prevenire
i delitti, amano punirli; che, non sapendo render gli uomini migliori, si
tolgono l'imbarazzo che dànno i cattivi, distruggendo indistintamente cattivi e
buoni. Il terrorismo lusinga l'orgoglio, perché è più vicino all'impero;
lusinga la pigrizia naturale degli uomini, perché è molto facile. Ma richiede
sempre la forza con sé: ove questa non vi sia, voi non farete che accelerare la
vostra ruina. Tale era lo stato di Napoli.
In Napoli le
prime leggi marziali de' generali in capo erano terroristiche, perché tali son
sempre e tali forse debbono essere le leggi di guerra: esse non poteano
produrre e non produssero alcuno effetto, imperocché come eseguite voi la
legge, come l'applicate, quando tutta la nazione è congiurata a nascondervi i
fatti e salvare i rei? Robespierre avea la nazione intera esecutrice del terrorismo
suo. Quando le pene non sono livellate alle idee de' popoli, l'eccesso stesso
della pena ne rende più difficile l'esecuzione e, per renderle più efficaci,
convien renderle più miti.
Negli ultimi
tempi si eresse in Napoli un «tribunale rivoluzionario», il quale procedeva
cogli stessi princìpi e colla stessa tessitura di processo del terribile
comitato di Robespierre. Forse quando si eresse era troppo tardi, ed altro non
fece che tingersi inutilmente del sangue degli scellerati Baccher nell'ultimo
giorno della nostra esistenza civile, quando la prudenza consigliava un
perdono, che non potea esser più dannoso. Ma, quand'anche un tal tribunale si
fosse eretto prima, la legge stessa, colla quale se ne ordinava l'erezione,
sarebbe stato un avviso alla nazione perché si fosse posta in guardia contro il
tribunale eretto.
Il terrorismo
cogl'insorgenti si provò sempre inutile. «E che? - scrivea la saggia e
sventurata Pimentel - quando un metodo di cura non riesce, non se ne saprà
tentare un altro?».
Difatti si
accordò un'amnistia agl'insorgenti: non a tutti, perché sarebbe stata inutile;
ma a coloro che il governo ne avesse creduti degni, onde così ciascuno si fosse
affrettato a meritarla, e questo desiderio avesse fatto nascere il sospetto e
la divisione tra tutti. Ma tale perdono dovea farsi valere per mezzo di persone
sagge ed energiche, le quali avessero potuto penetrare ed eseguire gli ordini
del governo in tutt'i punti del nostro territorio. Io lo ripeto: la mancanza
delle comunicazioni tra le diverse parti dello Stato e la mancanza delle forze
diffuse in molti punti per mantener tale comunicazione, la mancanza a buon
conto della diligenza e della severità erano l'origine di tutti i nostri mali e
facevan credere necessario ad alcuni un terrorismo, il quale non avrebbe fatto
altro che accrescerli.
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