Ma eccoci
alfine ai giorni infelici della nostra repubblica: i mali da tanto tempo
trascurati, ormai ingigantiti, ci soverchiano e minacciano di opprimerci. Le Calabrie
si erano interamente perdute, e gl'insorgenti delle Calabrie comunicavano di
già cogl'insorgenti di Salerno e di Cetara e si stendevano fino a Castellamare.
Questa stessa città fu occupata dagl'inglesi, e si vide la bandiera dei superbi
britanni sventolar vincitrice in faccia della stessa capitale.
I francesi
ripresero Castellamare e Salerno; Cetara fu distrutta. Ma, pochi giorni dopo, i
francesi furon costretti ad abbandonare il territorio napolitano, richiamati
nell'Italia superiore; e, sebbene tentassero colorire con pomposi proclami la
loro ritirata, gl'insorgenti ben ne compresero il motivo e ne trassero audacia
maggiore. Salerno fu di nuovo occupata: a Castellamare s'inviò da Napoli una
forte guarnigione, la quale però fu ridotta a dover difendere la sola città,
quasi assediata dalle insorgenze che la circondavano.
Magdonald,
partendo, lasciò una guarnigione di settecento uomini in Sant'Elmo; circa
duemila rimasero a difender Capua, e quasi altri settecento in Gaeta. Egli avea
promesso lasciar una forte colonna mobile; ma questa poi in effetti altro non
fu che una debole colonna di quattrocento uomini, i quali, distaccati dalla
guernigione di Capua, venivano a Sant'Elmo, donde altri quattrocento uomini
partivano alternativamente per Capua.
Questa forza
sarebbe stata superflua presso di noi, se da principio ci fosse stato permesso
di organizzar la forza nazionale. Poiché il far questo ci era stato tolto, la
forza rimasta era insufficiente.
I rovesci
d'Italia mostravano già lo stato di languore, in cui la rilassatezza del
governo direttoriale avea gittata la Francia. La Francia diminuiva di forze in
proporzione che cresceva di volume; le nuove repubbliche organizzate in Italia,
che avrebbero dovuto essere le sue alleate, furono le sue province; invece di
esserne amati, i francesi ne furono odiati, perché essi, invece di amarle, le
temettero.
I romani, di
cui i francesi volevano esser imitatori, ritraevano forza dagli alleati. Gli
spagnuoli tennero una condotta diversa, ed avvilirono quelle nazioni che
doveano esser loro amiche. Ma ciò che potea ben riuscire per qualche tempo agli
spagnuoli, per lo stato in cui allora si ritrovava l'Europa, non poteva
riuscire al Direttorio, che avea da per tutto governi regolari e potenti ai
loro confini.
Quando, in
séguito di una conquista, si vuole organizzare una repubblica, l'operazione è
sempre più difficile che quando conquista un re. Un re deve avvezzare i popoli
ad ubbidire, perché egli non deve far altro che schiavi; un conquistatore, che
far voglia dei cittadini, deve avvezzarli ad ubbidire e a comandare. Ma non si
avvezzano i popoli a comandare senza dar loro l'indipendenza, la quale richiede
un sacrifizio, per lo più doloroso, di autorità per parte di colui che
conquista. E quindi è che quasi sempre vana riesce la libertà che si riceve in
dono dagli altri popoli, perché, non essendovi chi sappia comandare, non vi
sarà nemmeno chi sappia ubbidire, ed, invece di saggi ordini di governo, non si
hanno che le volontà momentanee di coloro che comandano la forza straniera;
volontà che sono tanto più ruinose quanto il comando è più vacillante e poco o
nulla vale a prolungarlo il merito della buona condotta. La libertà invidia e
la legge toglie gl'impieghi anche agli ottimi.
Questi
cangiamenti ne produssero degli altri ugualmente rapidi nel governo delle nuove
repubbliche. Quasi ogni mese si cangiavano i governanti nella repubblica
romana. Come sperare quella stabilità di princìpi, quella costanza di
operazioni, che solo può rendere le repubbliche ferme e vigorose?
Talora, oltre
dei governanti, si violentava anche la costituzione; e quello stesso
Direttorio, che avea violata la costituzione francese, rovesciò anche la
cisalpina. Si trovarono delle anime eroiche, che seppero resistere agl'intrighi
ed alla forza, e preferirono la libertà del loro giuramento al favore del
conquistatore. In Napoli, quando si temeva che le idee del Direttorio potessero
non esser quelle dell'indipendenza e felicità della nazione, tutt'i governanti
giurarono di deporre la carica. Non vi fu uno che esitò un momento. Ma possiamo
noi contare sopra un popolo di eroi? Il maggior numero è sempre debole; ed il
popolo intero come può amar una costituzione che non si abbia scelta da se
stesso e che non possa conservare né distruggere se non per volere altrui?
Si aggiunga a
ciò che il principio fondamentale delle repubbliche, che è il rispetto e
l'amore pe' suoi cittadini, mentre rende un governo repubblicano attentissimo
ad ogni ingiustizia che si commetta tra' suoi, lo rende negligente sulla sorte
degli esteri: un proconsolo era giudicato in Roma da coloro che erano suoi
eguali e che temevano più di lui che delle province desolate. Le repubbliche
italiane segnavano l'età con sempre nuovo languore invece di rassettarsi cogli
anni, quanto più vivevano più si accostavano alla morte; e le altre repubbliche
d'Italia, dopo quattro anni di libertà, si trovarono tanto deboli quanto la
nostra lo era al principio della sua politica rivoluzione.
Se i francesi
avessero permesso alla repubblica cisalpina di organizzare una forza regolare,
se lo avessero permesso alla repubblica romana, avrebbero potuto più lungo
tempo contrastare in Italia contro le forze austro-russe:
se non impedivano l'organizzazione delle forze napolitane, queste avrebbero
assicurata la vittoria al partito repubblicano. Ma il voler difendere la
repubblica cisalpina, la romana, la napolitana colle sole proprie forze; il
voler temere egualmente il nemico e gli amici, era la massima di un governo che
vuol crescer il numero dei soggetti senza aumentar la forza55.
Si parla tanto
del tradimento di Scherer: Scherer tradì il governo, ma la condotta di quel
governo avea di già tradita una gran nazione.
La rivoluzione
di Napoli potea solo assicurar l'indipendenza d'Italia, e l'indipendenza
d'Italia potea solo assicurar la Francia. L'equilibrio tanto vantato di Europa
non può esser affidato se non all'indipendenza italiana; a quell'indipendenza,
che tutte le potenze, quando seguissero più il loro vero interesse che il loro capriccio,
dovrebbero tutte procurare. Chiunque sa riflettere converrà meco che, nella
gran lotta politica che oggi agita l'Europa, quello dei due partiti rimarrà
vincitore che più sinceramente favorirà l'indipendenza italiana56.
Il destino avea
finalmente fatto pervenire i momenti; ma il governo che allora avea la Francia
non fu buono per eseguire gli ordini del destino, ed i prodirettoriali governi
d'Italia non seppero comprenderne le intenzioni.
Dura necessità
ci costrinse a trascurare tutti gli esterni rapporti che avrebbero potuto
salvar la nostra esistenza politica. Noi ignoravamo ciò che si faceva nel
rimanente dell'Europa, e l'Europa non sapeva la nostra rivoluzione se non per
bocca dei nostri nemici. Dalla stessa Cisalpina, dalla stessa armata francese
non avevamo che gazzette o rapporti più frivoli di una gazzetta e più mendaci.
I generali francesi ci scrivean sempre vittorie, perché questo loro imponeva la
ragion della guerra: ma il nostro interesse era di saper anche le disfatte; e
l'ignoranza in cui rimase il governo e le false lusinghe che gli furon date di
prossimo soccorso accelerarono la perdita, se non della repubblica, almeno dei
repubblicani. Napoli avrebbe potuto salvar l'Italia; ma l'Italia cadde, ed
involse anche Napoli nella sua ruina.
|