Ma Napoli non
era presa ancora. I nostri si eran battuti con sorte infelice nel dì 13 giugno
al ponte della Maddalena, e furono costretti a ritirarsi nei castelli. Il
governo si era già ritirato nel Castello nuovo. Il solo castello del Carmine,
il quale altro non è che una batteria di mare e che per la via di terra non si
può difendere, era caduto nelle mani degl'insorgenti.
E quale
castello di Napoli, all'infuori di Sant'Elmo si può difendere? Il partito
migliore sarebbe stato quello di abbandonar la città, e, fatta una colonna di
patrioti, che allora forse per la necessità sarebbe divenuta numerosissima,
guadagnar Capua per la via di Aversa o di Pozzuoli. Questo era stato il
progetto di Girardon, che comandava in Capua le poche forze francesi rimaste
nel territorio della repubblica napolitana. Se questo progetto fosse stato
eseguito, Napoli non sarebbe divenuta, come addivenne, teatro di stragi, d'incendi,
di scelleraggini e di crudeltà; ed ora non piangeremmo la perdita di tanti
cittadini.
Durante
l'assedio dei castelli il popolo napolitano, unito agl'insorgenti, commise
delle barbarie che fan fremere: incrudelì financo contro le donne, alzò nelle
pubbliche piazze dei roghi, ove si cuocevano le membra degl'infelici, parte
gittati vivi e parte moribondi. Tutte queste scelleraggini furono eseguite
sotto gli occhi di Ruffo ed alla presenza degl'inglesi.
I due castelli
Nuovo e dell'Uovo, difesi dai patrioti, fecero intanto per qualche giorno la
più vigorosa resistenza. Se i patrioti avessero avuto un poco più di forza,
avrebbero potuto riguadagnar Napoli: ma essi non erano che appena cinquecento
uomini atti alle armi; e Mégeant, che comandava in Sant'Elmo, non permise più
ai suoi francesi di unirsi ai nostri.
Si sono tanto
ammirati i trecento delle Termopili, perché seppero morire; i nostri fecero
anche dippiù: seppero capitolare coll'inimico e salvarsi; seppero almeno una
volta far riconoscere la repubblica napolitana.
La
capitolazione fu sottoscritta nella fine di giugno. Si promise l'amnistia; si
diede a ciascuno la libertà di partire o di restare, come più gli piaceva; e
tanto a coloro che partissero quanto a coloro che restassero si promise la
sicurezza delle persone e degli averi. La capitolazione fu sottoscritta da
Ruffo, vicario generale del re di Napoli; da Micheroux, generale delle sue
armi; dall'ammiraglio russo; dal comandante delle forze turche; da Food,
comandante i legni inglesi che si trovarono all'azione; e da Mégeant, il quale,
in nome della repubblica francese, entrò garante della napolitana. Furon dati
per parte di Ruffo degli ostaggi per la sicurezza dell'esecuzione del trattato,
e questi furon consegnati a Mégeant62.
Per eseguire il
trattato fu stabilito un armistizio, ma nell'armistizio si preparò il
tradimento. Appena che la regina seppe l'occupazione di Napoli, inviò da
Palermo milady Hamilton a raggiungere Nelson. - Voglio prima perdere - avea
detto la regina ad Hamilton - tutti e due i regni che avvilirmi a capitolar coi
ribelli. - Che Hamilton si prestasse a servir la regina, era cosa non insolita;
essa finalmente non disponeva che dell'onor suo: ma che Nelson, il quale avea
trovata la capitolazione già sottoscritta, prostituisse ad Hamilton l'onor suo,
l'onor delle sue armi, l'onor della sua nazione; questo è ciò che il mondo non
aspettava, e che il governo e la nazione inglese non dovea soffrire63.
Nelson col
resto della sua flotta giunse nella rada di Napoli durante l'armistizio, e
dichiarò che un trattato fatto senza di lui, che era ammiraglio in capo, non
dovea esser valido; quasi che l'onorato e valoroso Food, che era persona
legittima a ricevere i castelli, non lo fosse poi ad osservare le condizioni
della resa; quasi che una capitolazione potesse esser legittima per una parte
ed illegittima per l'altra, e, non volendo mantener le promesse fatte alla
repubblica napolitana, non fosse necessario restituire ai suoi agenti tutto ciò
che per tali promesse aveano già consegnato. Acton diceva e faceva dire al re,
che era a bordo dei vascelli inglesi, circondato però dalle creature di
Carolina: che «un re non capitola mai coi suoi ribelli»64. Egli infatti
era padrone di non capitolare; ma si poteva domandare se mai, quando un re
abbia capitolato, debba o no mantenere la sua parola!
Intanto i
patrioti per Napoli erano arrestati; la partenza di quei che eransi imbarcati
si differiva; Mégeant che avea gli ostaggi nelle sue mani, Mégeant che avea
ancora forza per resistere, che poteva e doveva essere il garante della
capitolazione, Mégeant dormiva. Nel tempo dell'armistizio permise che i nemici
erigessero le batterie sotto il suo forte. Fu attaccato, fu battuto, non fece
una sortita, appena sparò un cannone, fu vinto, si rese.
Segnò una
capitolazione vergognosissima al nome francese. Quando dovea rimaner solo per
ricoprirsi di obbrobrio, perché non capitolò insieme cogli altri forti?
Restituì gli ostaggi, ad onta che vedesse i patrioti non ancora partiti e ad
onta che resistesse ancora Capua, ove gli ostaggi si poteano conservare.
Promise di consegnare i patrioti che erano in Sant'Elmo, e li consegnò. Fu
visto scorrere tra le file dei suoi soldati, e riconoscere ed indicare qualche
infelice che si era nascosto alle ricerche, travestito tra quei bravi francesi,
coi quali avea sparso il suo sangue. Neanche Matera, antico ufficiale francese,
fu risparmiato, ad onta dell'onor nazionale che dovea salvarlo e del diritto di
tutte le genti. Fu imbarcato colla sua truppa, partì solo colla sua truppa, e
non domandò neanche dei napolitani.
E vi è taluno
il quale ardisce di mettere in dubbio che Mégeant sia un traditore? E
quest'uomo intanto ancora «disonora, portandolo, l'uniforme francese», che è
l'uniforme della gloria e dell'onore?65. Bravi ed onorati militari
destinati a giudicarlo, avvertite: il giudizio, che voi pronuncerete sopra di
lui, sarà il giudizio che cinque milioni di uomini pronunzieranno sopra di voi!
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