Il re,
strascinato da' falsi consigli, produsse la rovina della nazione. I suoi
ministri o non amavano o non curavano la nazione: dovea perciò perdersi, e si
perdette. I repubblicani, colle più pure intenzioni, col più caldo amor della
patria, non mancando di coraggio, perdettero loro stessi e la repubblica, e
caddero colla patria, vittime di quell'ordine di cose, a cui tentarono di
resistere, ma a cui nulla più si poteva fare che cedere.
Una rivoluzione
ritardata o respinta è un male gravissimo, da cui l'umanità non si libera se
non quando le sue idee tornano di nuovo al livello coi governi suoi; e quindi i
governi diventano più umani, perché più sicuri; l'umanità più libera, perché
più tranquilla; più industriosa e più felice, perché non deve consumar le sue
forze a lottare contro il governo. Ma talora passano de' secoli e si soffre la
barbarie, prima che questi tempi ritornino; ed il genere umano non passa ad un
nuovo ordine di beni se non a traverso degli estremi de' mali.
Quale sarà il
destino di Napoli, dell'Italia, dell'Europa? Io non lo so: una notte profonda
circonda e ricopre tutto di un'ombra impenetrabile. Sembra che il destino non
sia ancora propizio per la libertà italiana; ma sembra dall'altra parte che egli,
col nuovo miglior ordine di cose, non ne tolga ancora le speranze, e fa che gli
stessi re travaglino a preparar quell'opera che con infelice successo hanno
tentata i repubblicani. Forse la corte di Napoli, spingendo le cose
all'estremo, per desiderio smoderato di conservare il Regno, lo perderà di
nuovo; e noi, come della prima è avvenuto, dovremo alla corte anche la seconda
rivoluzione, la quale sarà più felice, perché desiderata e conseguìta dalla
nazione intera per suo bisogno e non per solo altrui dono.
Queste cose io
scriveva sul cader del 1799, e gli avvenimenti posteriori le hanno confermate.
La corte di Napoli ha prodotto un nuovo cangiamento politico; e questo, diretto
da altre massime, può produrre nel Regno quella felicità che si sperò invano
dal primo.
Dal 1800 fino
al 1806 abbiamo veduto la corte di Napoli seguir sempre quelle stesse massime
dalle quali tanti mali eran nati; la Francia, al contrario, cangiar quegli
ordini, da' quali, siccome da ordini irregolarissimi, nessun bene e nessuna
durevolezza di bene poteva sperarsi; e si può dire che alla nuova felicità, che
il gran Napoleone ora ci ha data, abbiano egualmente contribuito e
l'ostinazione della corte di Napoli ed il cangiamento avvenuto nella Francia.
Per effetto
della prima gli stessi errori han confermata ed accresciuta la debolezza del
Regno: nell'interno lo stesso languor di amministrazione, la stessa negligenza
nella milizia, la stessa inconseguenza ne' piani, diffidenza tra il governo e
la nazione, animosità, spirito di partito più che ragione; nell'esterno la
stessa debolezza, la stessa audacia nelle speranze e timidità nelle imprese, la
stessa malafede: non si è saputo né evitar la guerra né condurla; si è
suscitata, e si è rimasto perdente.
Per effetto del
secondo, nella Francia gli ordini pubblici sono divenuti più regolari: i
diversi poteri più concordi tra loro: il massimo tra essi più stabile, più
sicuro; perciò meno intento a vincer gli altri che a dirigerli tutti al bene
della patria: le idee si sono messe al livello con quelle di tutte le altre
nazioni dell'Europa; perciò minore esagerazione nelle promesse, animosità
minore ne' partiti, facilità maggiore dopo la vittoria di stabilire presso gli
altri popoli un nuovo ordine di cose: il potere più concentrato; onde meno
disordine e più concerto nelle operazioni de' comandanti militari, abuso minore
nell'esercizio de' poteri inferiori, maggiore prudenza, perché comune a tutti e
dipendente dalla stessa natura comune degli ordini e non dalla natura
particolare degl'individui: al sistema di democratizzazione sostituito quello
di federazione, il quale assicura la pace, che è sempre per i popoli il
maggiore de' beni; e che finalmente ha procurati all'Italia tutti que' vantaggi
che non poteva avere col sistema precedente, secondo il quale si voleva amica e
si temeva rivale; onde, non formando mai in essa uno Stato forte ed
indipendente, andava a distruggersi interamente: e finalmente, oltre tutti
questi beni, il dono grandissimo di un re che tutta l'Europa venerava per la
sua mente e pel suo cuore.
Me felice, se
la lettura di questo libro potrà convincere un solo de' miei lettori che lo
spirito di partito nel cittadino è un delitto, nel governo una stoltezza; che
la sorte degli Stati dipende da leggi certe, immutabili, eterne, e che queste
leggi impongono ai cittadini l'amor della patria, ai governi la giustizia e
l'attività nell'amministrazione interna, il valore, la prudenza, la fede nell'esterna;
che alla felicità de' popoli sono più necessari gli ordini che gli uomini; e
che noi, dopo replicate vicende, siamo giunti ad avere al tempo istesso ordini
buoni ed un ottimo re; e che la memoria del passato deve esser per ogni uomo,
che non odia la patria e se stesso, il più forte stimolo per amare il presente.
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