Ma, prima di
trattar della nostra rivoluzione, convien risalire un poco più alto e
trattenersi un momento sugli avvenimenti che la precedettero; veder qual era lo
stato della nazione, quali cagioni la involsero nella guerra, quali mali
soffriva, quali beni sperava: così il lettore sarà in istato di meglio
conoscere le sue cause e giudicar più sanamente de' suoi effetti.
La Francia, fin
dal 1789, avea fatta la più gran rivoluzione di cui ci parli la storia. Non vi
era esempio di rivoluzione, che, volendo tutto riformare, avea tutto distrutto.
Le altre aveano combattuto e vinto un pregiudizio con un altro pregiudizio,
un'opinione con un'altra opinione, un costume con un altro costume: questa avea
nel tempo istesso attaccato e rovesciato l'altare, il trono, i diritti e le
proprietà delle famiglie, e finanche i nomi che nove secoli avean resi
rispettabili agli occhi de' popoli.
La rivoluzione
francese, sebbene prevista da alcuni pochi saggi, ai quali il volgo non suole
prestar fede, scoppiò improvvisa e sbalordì tutta l'Europa. Tutti gli altri
sovrani, parte per parentela che li univa a Luigi decimosesto, parte per
proprio interesse, temettero un esempio che potea divenir contagioso.
Si credette
facile impresa estinguere un incendio nascente. Si sperò molto sui torbidi
interni che agitavano la Francia, non tornando in mente ad alcuno che all'avvicinar
dell'inimico esterno l'orgoglio nazionale avrebbe riuniti tutt'i partiti
divisi. Si sperò molto nella decadenza delle arti e del commercio, nella
mancanza assoluta di tutto, in cui era caduta la Francia; si sperò a buon conto
vincerla per miseria e per fame, senza ricordarsi che il periglio rende gli
entusiasti guerrieri, e la fame rende i guerrieri eroi. Una guerra esterna,
mossa con eguale ingiustizia ed imprudenza, assodò una rivoluzione, che, senza
di essa, sarebbe degenerata in guerra civile.
L'Inghilterra
meditava conquiste immense e vantaggi infiniti nel suo commercio sulla ruina di
una nazione che sola allora era la sua rivale. La corte di Londra, più che ogni
altra corte di Europa, temer dovea il contagio delle nuove opinioni, che si
potean dire quasi nate nel seno dell'Inghilterra; e, per renderle odiose al
popolo inglese, mezzo migliore non ritrovò che risvegliare l'antica rivalità
nazionale, onde farle odiare, se non come irragionevoli, almen come francesi.
Pitt vedeva che gli abitanti della Gran Brettagna, e specialmente gl'irlandesi
e scozzesi, eran disposti a fare altrettanto: la rivoluzione sarebbe scoppiata
in Inghilterra, se gl'inglesi quasi non avessero sdegnato d'imitare i
francesi2.
L'Inghilterra,
sebbene non fosse stata la prima a dichiarar la guerra, fu però la prima a
soffiare il fuoco della discordia. L'Austria seguì l'invito della sua antica e
naturale alleata. Le corti di Europa non conoscevano le repubbliche. Dalla
perdita inevitabile della Francia speravano un guadagno sicuro. La Prussia
l'avea già ottenuto nel congresso di Pilnitz colla divisione della Polonia.
L'Inghilterra e la Prussia mossero lo statolder, il quale volea distrarre con
una guerra esterna gli animi non troppo tranquilli de' batavi, resi da poco
suoi sudditi, ed amava veder distrutti coloro che potevan essere un giorno non
deboli protettori de' medesimi.
La Prussia e
l'Austria strascinarono i piccoli principi dell'impero, i quali, più che dalla
perdita di pochi, incerti, inutili dritti, che la rivoluzione di Francia avea
lor tolti in Alsazia ed in Lorena, erano mossi dall'oro degl'inglesi, ai quali
da lungo tempo erano avvezzi a vendere il sangue de' propri sudditi. Il re di
Sardegna seguì le vie di sua antica politica, ed avvezzo ad ingrandirsi tra le
dissensioni della Francia e dell'Austria, alle quali vendeva alternativamente i
suoi soccorsi, tenne sulle prime il partito della lega, che gli parve il più
forte. Finalmente anche la Spagna seguì l'impulso generale; e la guerra fu
risoluta.
Si aprì la
campagna con grandissime vittorie degli alleati; ma ben presto furono seguite
dai più terribili rovesci. I francesi seppero distaccar la Prussia dalla lega;
la quale, ottenuta la sua porzione di Polonia, comprese che, tra due potenze di
prim'ordine che si laceravano e distruggevano a vicenda, suo meglio era quello
di rimaner neutrale.
La corte di
Spagna s'ingelosì ben presto dell'Inghilterra, che sola voleva ritrar profitto
dalla guerra comune. La condotta degl'inglesi in Tolone fece scoppiare il
malumore che da lungo tempo covava nel suo seno, e Carlo quarto non volle più
impiegar le sue forze ad accrescere una nazione che egli dovea temere più della
francese. Mentre i suoi eserciti erano battuti per terra, le sue flotte
rimanevano inoperose per mare; mentre i francesi guadagnavano in Europa, egli
avrebbe potuto aver un compenso in America e dar fine così alla guerra con una
vicendevole restituzione, senza quelle perdite che fu costretto a soffrire per
ottenere la pace. Il desiderio de' francesi era appunto quello che molti lor
dichiarassero la guerra e niuno la facesse con tutte le sue forze; così ogni
nuovo nemico dava ai francesi una nuova vittoria, e quella lega, che dovea
abbassarli, serviva ad ingrandirli.
La guerra era
ormai divenuta, come nell'antica Roma, indispensabile alla Francia, tra perché
teneva luogo di tutte le arti e di tutto il commercio, che prima formavano la
sussistenza del popolo, tra perché un governo quasi sempre fazioso la
considerava come un mezzo di occupare e distrarre gli animi troppo attivi degli
abitanti ed allontanare i torbidi che soglion fermentar nella pace. Quindi si
sviluppò quel sistema di democratizzazione universale, di cui i politici si
servivan per interesse, a cui i filosofi applaudivano per soverchia buona fede;
sistema che alla forza delle armi riunisce quella dell'opinione, che suol
produrre, e talora ha prodotti, quegl'imperi che tanto somigliano ad una
monarchia universale.
|